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I DIFFERENTI MODI DI SENTIRE IL MATESE

       Il Matese è stato oggetto di interessi differenti a partire da quello scientifico il quale è stato lo stimolo iniziale per la conoscenza di questa montagna prima di allora, siamo nel XVIII secolo, frequentata solo da pastori e boscaioli e magari cacciatori. Solo nella seconda metà dell’Ottocento, anzi alla fine di questo secolo, cominciò ad affermarsi la passione per il paesaggio montano che nata sulle Alpi investe pure l’Appennino. Numerosi sono i resoconti scritti di escursioni nel massiccio matesino, i quali vengono a costituire quasi un genere letterario. I vari autori puntano l’attenzione su aspetti diversi, da quello naturalistico (alcuni accenni nello scritto di Beniamino Caso) a quello sociologico, cioè le condizioni della popolazione locale, che si coglie nello scritto del celebre meridionalista Giustino Fortunato. C’è pure una fioritura di studi antropologici come quelli di Luigi D’Amato di Campochiaro e di Luigi Manfredi di S. Massimo i quali raccolgono le leggende ambientate in questo comprensorio. Del Matese si occupano in molti, dai naturalisti ai letterati fino ai geografi ed è il caso di Federico Del Re di Cantalupo, il quale fu anche ministro del governo borbonico dopo la repressione dei moti del ’48; al Del Re venne in mente di verificare l’altezza effettiva di Monte Miletto stabilendo che la misura è 2.050 metri e per fare ciò usò come quota di riferimento quella del mare non fidandosi di altri punti per la sua campagna di rilevazione. Abbiamo parlato dell’altitudine della maggiore cima matesina la quale fu la vera scoperta di quell’epoca perché, essendo un luogo improduttivo a causa del cotico erboso troppo sottile, i montanari non la frequentavano. Non è che si trattasse di una vetta inviolata, ma se non fosse stato per i borghesi amanti delle camminate alpestri essa sarebbe rimasta un posto poco conosciuto. Invece, a partire da quegli anni salire fin sul colmo di Monte Miletto che è uno dei pochi 2.000 metri dell’Italia meridionale è diventato un motivo di orgoglio per gli escursionisti.

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Escursionisti, va detto, solo maschi in quanto fino a tempi recenti non vi era partecipazione femminile alle gite montane. La cima di Monte Miletto, riprendendo il discorso, si trasforma in punto simbolico che è stato dissacrato negli ultimi decenni dall’ubicazione lì di antenne e ripetitori per le trasmissioni radiotelevisive; per fortuna che alle alte quote il vento è eccessivo, altrimenti avremmo visto qualche proposta di installazione di pale eoliche investire il vertice della montagna. Neanche gli impianti funiviari della stazione di sports invernali di Campitello hanno osato spingersi fin sopra la vetta di Monte Miletto rimanendo, il più alto, ai piedi dell’anfiteatro, cioè il circo glaciale, e anfiteatro è, appunto, il nome di questa seggiovia; le ragioni non devono essere state, comunque, quelle del rispetto della vetta, bensì difficoltà tecniche. La funivia che funziona anche d’estate è bene che non posa trasportare i turisti proprio in cima perché quel percorso che essi devono compiere dalla stazione di smonto al culmine di Monte Miletto, peraltro non impegnativo, dà loro la sensazione della conquista della vetta. Il metallo, in verità, apparve sulla sommità del rilievo più alto del Matese già un secolo fa con la realizzazione di una grande croce e ciò sta ad evidenziare che anche dal punto di vista religioso le vette hanno un significato particolare. Esse sono sentite come i posti della Terra maggiormente vicini a Dio, però non deve essere stato sempre così in quanto esse costituiscono un’apparizione piuttosto recente (da noi si è detto 100 anni fa) sulle cime delle montagne. Inoltre, questo deve essere un sentimento esclusivamente dei fedeli del credo cattolico e non di tutte le fedi come dimostra l’assenza di segni rappresentativi di altre divinità nelle nazioni di osservanza islamica o buddista. Una parte della sommità di monte Miletto è identificata quale cima croce e peraltro questo è l’unico toponimo riscontrabile a tale quota dove l’uomo non avverte il bisogno di attribuire nomi ai posti in quanto li frequenta scarsamente. Sulla vetta accanto alla croce nello stesso periodo venne costruito un piccolo riparo dalla Società Meridionale di Alpinismo, mentre nei primi decenni del ‘900 un’altra Società Meridionale, ma questa volta per l’elettricità edificò il rifugio di Campitello poi divenuto di proprietà dell’Ente Provinciale del Turismo: i rifugi possono essere considerati, in qualche modo, la materializzazione dell’alpinismo il quale non si concretizza se non con i rifugi e con la rete sentieristica, le uniche infrastrutture di cui ha bisogno la seconda delle quali è però qualcosa di molto labile formati come sono i sentieri dall’usura dovuta al passaggio di uomini e animali.

I sentieri non sono manufatti antropici, è vero, comunque, oggi sono diventati una cosa non costruita, ma attrezzata dall’uomo che li ha arredati con i cartelli i quali sono comparsi numerosi sul Matese, dovuti all’opera del CAI e delle Comunità Montane di Boiano e di Isernia. La segnaletica escursionistica risale a non molto tempo fa e costituisce un nuovo settore di attività delle sezioni molisane del Club Alpino Italiano. Quest’ultima è un’organizzazione assai antica anche nella nostra regione dove è stata costituita nel 1885 e alla sua inaugurazione venne effettuata un’escursione sul Matese a sancire il suo stretto legame con la montagna forse più rappresentativa del Molise. Seppure in origine il CAI era formato da esponenti dei ceti più elevati tanto che alla sua costituzione il consiglio direttivo ebbe il privilegio di essere ricevuto in Prefettura, istituzione all’epoca sicuramente non incline ad aprirsi alle classi popolari, esso in quanto associazione dimostrava il desiderio delle persone di partecipare a finalità comuni. Lo spirito partecipativo si andava affermando nel nostro Paese con la nascita negli stessi anni dei partiti politici. Il clima democratico si diffonde e così alle gite in montagna cominciano a prendere parte pure rappresentanti delle categorie impiegatizie (si legga il racconto di Luigi Manfredi). Gli ideali non sono più quelli romantici dell’aristocrazia dell’immersione nella natura, ma quelli più tranquilli e, per certi versi banali della piccola borghesia la quale è per definizione lontana dagli eccessi: lo immaginate il parroco di S. Massimo, uno dei partecipanti alla gita descritta dal Manfredi, voler scalare una vetta? Sarà il Fascismo, esaltatore delle gesta eroiche, a promuovere una visione dell’alpinismo quale sfida alla montagna. Nel Ventennio fascista si ha, da un lato, un risveglio dell’alpinismo che attira sempre più praticanti e, dall’altro lato, il condizionamento di questa attività da parte della retorica del regime. A dimostrazione che il vero alpinismo non ha nulla in comune con le idee fasciste c’è la scomparsa della sezione CAI di Campobasso la quale nonostante fosse stata una delle prime cinquanta sorte in Italia si scioglie e si trasforma in una sottosezione di quella di Roma. Nasce con sede a Boiano un altro sodalizio che conterà molti iscritti, gli Scarponi del Matese il quale a differenza del CAI è inquadrato all’interno delle strutture organizzative fasciste; il suo fondatore è l’avvocato Ugo Gentile il quale è pure Moschettiere del Duce. Dopo la seconda guerra mondiale tarda a ricostituirsi la sezione CAI di Campobasso la quale ha una forte ripresa a partire dalla seconda metà degli anni ’80 del Novecento ed emblematicamente, per i valori che porta con sé, la nuova fase fondativa può essere fatta coincidere con la prima edizione del Camminitalia, un percorso quello molisano che attraversa tutto il comprensorio matesino, percorso che viene fatto in gruppo e non impresa individuale, quella del   « super uomo ». Non è più il CAI di una volta: da una parte si ha una divaricazione tra alpinismo ed escursionismo il quale trova il suo campo di applicazione nell’Appennino, cioè montagne del tipo del Matese, e dall’altra parte l’escursionismo che è praticato dalle sezioni del Sud acquista una dignità pari a quella dell’alpinismo che, invece, è specifico delle Alpi. L’andare in montagna perde il carattere di un fatto elitario, tutti possono partecipare alle gite del CAI molte delle quali sono programmate dalle sezioni campane, pugliesi e molisane sul Matese.

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Non è, ad ogni modo, che non esistano pure nella catena appenninica itinerari di differente difficoltà la quale è legata spesso alla quota altimetrica che impone inevitabilmente una selezione degli escursionisti permettendo solo ad alcuni, i più preparati, di poter procedere verso l’alto. Il CAI che ha quale finalità principale quella della conoscenza della montagna ammette quale modo di avvicinamento all’ambiente montano anche le mountainbike e lo sci di fondo, accanto alla camminata a piedi, che si praticano pure sul Matese. Invece gli spostamenti in motoslitta, un’attrazione turistica di Campitello, non possono essere inclusi tra i modi corretti per conoscere le caratteristiche naturalistiche della montagna a causa, innanzitutto, del rumore. La comprensione dell’ecosistema montano passa pure per l’arrampicata, le cui tecniche sono indispensabili specie per affrontare le pareti dei monti alpini. L’associazione Molise Avventura ha attrezzato una parete rocciosa tra Boiano e Civita Superiore dove tiene lezioni di arrampicata le quali vanno intese sia quali corsi preparatori all’alpinismo (che abbiamo visto si fa innanzitutto sulle Alpi) sia quali rudimenti per l’approccio a questa disciplina sportiva che si va diffondendo sempre di più, specie tra i giovani. È stato l’occhio esperto di Riccardo Quaranta, istruttore di arrampicata ed animatore di Orizzonti Verticali, a capire le potenzialità arrampicatorie di quel masso roccioso chiamato « donna Mira », simile ad un monolite che era, peraltro, scarsamente visibile perché avvolto da vegetazione arbustiva, dalla quale, poi, per mezzo del lavoro di volontari è stato liberato. Il Matese, in definitiva, offre una pluralità di modi di frequentazione, anche quelle con il cavallo che si può noleggiare a Campitello presso lo stazzo delle Criniere del Matese, e un vasto numero di itinerari. Tale numero sembra non esaurirsi mai per cui ci sono escursionisti che per tutta la vita frequentano il Matese; si instaura in molti un legame addirittura sentimentale con questo complesso montuoso. Escursionisti tanto del versante molisano che di quello campano (vi è una sezione CAI a Piedimonte d’Alife con tanti iscritti) che si sentono attaccati al Matese senza distinzione tra la parte ricadente in Campania e quella appartenente al Molise; è un po’ la stessa cosa che succede ai pastori perché le bestie non conoscono i confini amministrativi tra le due regioni. Il Matese non è un luogo di confine, piuttosto un fatto che unisce. L’identità matesina, vedi i marchi di moltissime attività commerciali e artigianali di Boiano e di Piedimonte che usano come richiamo la parola Matese, a volte è più forte di quella regionale; per capirci, non si sa quando si legge, mettiamo, un’insegna  con la scritta « latticini del Matese » se ci troviamo in un paese del lato campano o di quello molisano. C’è poi la letteratura, le descrizioni delle gite del passato sono autentici brani letterari, insieme al folklore popolare ad aver contribuito a creare l’identità matesina, se non un vero e proprio mito del Matese, una sorta di “montagna sacra” (i villaggi turistici di Campitello e di Bocca della Selva sono, da questo punto di vista, una profanazione). Il Matese ha un carattere unitario, per cui questo nome sopravvalica nel sentire comune quello dei singoli rilievi che lo compongono (la Gallinola, il colle Tamburro, il monte Mutria, ecc.). I residenti dei comuni ai piedi del massiccio non dicono vado in montagna, ma vado sul Matese, quasi che i due sostantivi si equivalgano e ciò conferma la forte personalità di questo elemento morfologico. Comuni di entrambi i versanti per distinguersi da altri omonimi si sono dovuti dotare di un cognome che è costantemente Matese, vedi S. Polo e Gallo. Riprendiamo il discorso sui diversi interessi legati a questa montagna nel punto in cui lo avevamo interrotto che è quello dell’interesse escursionistico sviluppatosi a iniziare dalla fine del XIX secolo, aggiungendo che ciò coincide con la fine del fenomeno del brigantaggio il cui strascico si ha con il tentativo insurrezionale della Banda del Matese guidata da Errico Malatesta e Carlo Cafiero represso dai carabinieri. L’escursionismo, per certi versi, rappresenta la riconquista di questa montagna che era diventata la tana di pericolosi briganti nel periodo post-unitario e quindi luogo repulsivo alla frequentazione umana. La passione per le gite in montagna coincide anche con l’aumento del tempo libero a disposizione che è un fatto tipico dell’età moderna. Tutta l’evoluzione successiva degli interessi collegati alla montagna è connessa con questa accresciuta disponibilità di tempo libero la quale spiega anche la nascita delle stazioni di sports invernali di Campitello e di Bocca della Selva. Un’altra grande novità del periodo contemporaneo è l’affermazione della coscienza ambientalista che spinge alla tutela del paesaggio e dei beni culturali. Il vincolo paesaggistico del comprensorio matesino risale al 1974 ed esso viene reso più stringente dai piani paesistici, due degli otto redatti dalla Regione, il n. 3 e il n. 5, imposti dalla legge Galasso la quale segna l’avvio di una tutela non puntiforme del territorio bensì complessiva, basata non più sui valori estetici, ma su quelli ambientali. Questo tipo di salvaguardia che è esteso all’insieme delle componenti del paesaggio va accompagnato da azioni di valorizzazione che solo l’istituzione del parco può avviare, non importa molto se regionale, come ha fatto la Campania, interregionale o nazionale. Una spinta forte alla conservazione dell’integrità del Matese dovrebbe venire dalla consapevolezza che nelle sue cavità sotterranee sono contenuti imponenti bacini idrici che alimentano importanti acquedotti molisani (presto si aggiungerà l’Acquedotto Molisano Centrale che porta l’acqua a Termoli) e, tramite la galleria del Matese, campani. Ciò per via del carsismo il quale non è affatto un connotato nascosto della nostra montagna in quanto è ben visibile in superficie; si prenda l’ingresso del Pozzo della Neve, simile alla bocca di un vulcano, che sta vicino ad una strada forestale. Il paesaggio carsico è assai vario manifestandosi oltre che con le aperture dei numerosi inghiottitoi con le doline (ad esempio Campo dell’Arco) e le forre tra cui la celebre gola del Quirino. Insieme al carsismo a determinare l’assetto paesaggistico del Matese è stato il modellamento glaciale. I suoi cerchi glaciali che sono le tracce di antichi ghiacciai sono tra le testimonianze poste più a sud in Italia dell’ultima glaciazione che avvenne nel Quaternario; oggi che si parla tanto di cambiamenti climatici è istruttivo vedere cosa successe sulla crosta terrestre a seguito della mutazione del clima avvenuta in quell’era geologica. La paleontologia, scienza che ha diversi proseliti nell’area matesina a cominciare dal pioniere prof. Michele Mainelli, guarda ancora più indietro prima che il Matese emergesse dal mare e a Boiano si conserva una ricca collezione di rudiste, quegli organismi marini rimasti intrappolati nelle rocce. Per merito di Ciro, il piccolo dinosauro il cui scheletro fossilizzato è stato trovato a Pietraroia, il Matese ha acquistato una notorietà internazionale per il suo patrimonio paleontologico, al quale quindi va assicurata protezione. Il Matese è, comunque, innanzitutto un’area naturale di primario interesse, anzi di « interesse comunitario », e fin dal 2.000 è stato riconosciuto SIC. Mentre con la direttiva habitat si preservano le associazioni vegetali, tra le quali ve ne sono alcune rare nel panorama molisano a cominciare dai boschi di castagno per finire alla lecceta di S. Agapito e Monteroduni, con la direttiva uccelli si protegge l’avifauna ed il Matese è diventata pure Zona di Protezione Speciale.  Al contorno della ZPS c’è l’IBA che persegue il medesimo scopo della salvezza degli uccelli; si è parlato di ubicare al confine di queste aree, nel territorio di Cantalupo, un aeroporto il quale costituirebbe una minaccia sia per la futura autostrada trovandosi gli aerei in fase di atterraggio e decollo a poche decine di metri d’altezza dalle auto sia per gli uccelli che calano nella piana per abbeverarsi al Rio Bottone. L’aeroporto è l’ennesimo fattore di rischio per il sistema ecologico matesino e questa volta il pericolo, caso unico, viene dall’alto.

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Particolari elementi del patrimonio ambientale del Matese sono tutelati da normative particolari, quali quella sugli alberi monumentali tra cui è compreso il « grande castagno » di Boiano. Il gambero rientra tra le specie da proteggere elencate nella legge regionale sulla fauna minore. Le richieste di concessioni idriche a scopo idroelettrico che ancora vengono presentate lungo il torrente Callora minacciano l’habitat di questi animali il quale necessita di sufficiente disponibilità d’acqua. Vi è stato un progetto Life Natura che ha interessato anche i territori di Sepino e Roccamandolfi dedicato al gambero di fiume. Tale programma comunitario è nato per incentivare l’applicazione della direttiva habitat ed il gambero è una specie di interesse comunitario, anche se più spesso con i progetti Life Natura si è teso alla conservazione delle associazioni vegetali invece che delle specie animali. Tra la fauna di interesse comunitario, rimanendo a quella che vive negli ambienti acquatici, vi è pure l’ululone che è un tipo di rana; esso si trova presso gli abbeveratoi i quali, a loro volta, sono importanti perché costituiscono « segni dell’uomo nelle terre alte » secondo la denominazione del CAI. In aggiunta essi sono indicatori del passaggio dei sentieri che per l’approvvigionamento idrico devono necessariamente congiungere le sorgenti montane le quali sono rare in un complesso carsico come il Matese dove le scaturigini più grandi stanno ai suoi piedi, a contatto con le formazioni impermeabili. Con i fontanili siamo arrivati al tema dei beni culturali tra i quali in montagna troviamo le chiesette rurali (S. Egidio) e le capanne pastorali; il campo dei beni culturali è in continua espansione e tra le aggiunte più recenti vi è quella dell’archeologia industriale della quale in questo massiccio si trovano interessanti esemplari dalla teleferica che trasportava a valle, nel periodo dell’Autarchia economica, il manganese, uno dei materiali ferrosi che insieme alla bauxite che si trova a Campochiaro sono rinvenibili in questa montagna, agli impianti idroelettrici, quello di S. Massimo. Parlare del Matese senza parlare approfonditamente di Campitello rimane una cosa per così dire monca. Con la crescita di questa stazione invernale si ha la comparsa in quota, 1.400 metri, dove non si aveva in precedenza alcun insediamento stabile, di un centro urbano. Esso è legato alla costruzione della strada che sale da S. Massimo, strada interamente sostenuta dal pubblico. In quel periodo, siamo negli anni ’60, vi è lo sviluppo del turismo automobilistico e questo rimarrà sempre l’elemento caratterizzante del turismo a Campitello favorendo il fenomeno del cosiddetto pendolarismo dello sci. Per risolvere il problema della gran massa di auto private che intasano il piazzale, uno dei più gravi problemi di Campitello, nel piano regolatore è prevista la predisposizione all’ingresso della stazione di un parcheggio di scambio modale da cui con una navetta, lasciata la propria auto, si raggiungono le piste. Negli stessi anni, che soni quelli del boom economico, si ha la diffusione dello sci in tutta Italia e la montagna viene catapultata nella modernità. Gli abitanti del posto si trovano impreparati per cui chi investe viene da fuori rimanendo ai residenti unicamente il ruolo di addetti alle attività di servizio. Neanche quello di insegnante dello sci perché seppure gli anziani arruolati tra gli alpini durante la I guerra mondiale avevano imparato a sciare non vi erano veri e propri maestri; neanche in seguito si sono formati in quest’area sciatori professionisti. Finora il carosello di piste è rimasto concentrato intorno al pianoro da cui partono tutti gli impianti e forse il fatto che essi siano così addensati provoca impatti maggiori che quelli prodotti nelle località alpine dove comprensori sciabili più estesi consentono una distribuzione più rada delle sciovie; non è, però, una soluzione accettabile per ovviare a tale problema quello dell’ampliamento delle piste verso Roccamandolfi. Anche perché sarebbe ancora più difficile far fronte all’innevamento artificiale che nelle ultime stagioni si è rivelato un rimedio indispensabile alla carenza di precipitazioni nevose aumentando la superficie sciabile.

Produrre neve artificiale è costoso per cui, pur nell’ipotesi dell’affidamento della gestione della stazione a privati una volta sciolto il Consorzio, sarebbe sempre da finanziare con fondi pubblici. I cambiamenti climatici minacciano più degli altri settori il comparto del turismo invernale per la frequenza sempre maggiore di annate senza nevosità e perciò si è pensato di diversificare l’offerta turistica mettendo in cantiere uno stadio per gli sports del ghiaccio, invero meno praticabili dello sci. Non è, d’altro canto, che ci si possa ostinare a proporre altri impianti sciistici, cioè a continuare a ripetere idee di decenni fa quando prese l’avvio la stazione, stazione che oggi, va considerato, difficilmente si potrebbe costruire per la crescita dell’attenzione alla natura. È corretto puntare all’incremento del turismo multi stagionale, favorito, di certo, dall’istituzione del Parco del Matese. Bisogna abbandonare pure la convinzione che lo sci sia capace di essere l’industria trainante dell’economia dell’intera area con il suo indotto fatto da attrezzature alberghiere e da residences; è più opportuno, come si sta iniziando a fare a valle, a S. Massimo, Roccamandolfi, ecc. puntare ad un turismo morbido basato sull’agriturismo e sulla ricettività diffusa i quali sono in grado di attivare le filiere corte dei prodotti locali, cosa assai più ardua per i resort. È in atto già una trasformazione di alberghi in altro tipo di strutture di servizio ed è quanto è successo per l’hotel Miralago e per l’hotel Cristiania che sono diventati centri benessere i quali sono tanto più attraenti quanto più sono immersi nella natura, ancor meglio se in montagna ed è quanto succede qui. Il processo di riconversione della stazione sciistica è, comunque, assai impegnativo per via della pesante eredità edilizia. A Campitello si è avuta la mera trasposizione di modelli architettonici urbani alla montagna, con la edificazione di imponenti condomini (il S. Nicola 2, le Verande,il Kandhar), conservando dell’impostazione originaria di Laurent Chappis unicamente l’edificio a ferro di cavallo, il Montour in cui sono collocate le attività commerciali, ripetendo la tipologia edilizia che aveva già utilizzato a Courchevel. Diversa è l’organizzazione urbanistica di Bocca della Selva basata su una edificazione meno compatta e con fabbricati più piccoli. A questa visione, cioè a quella di un villaggio alpino, sembra voler tendere oggi Campitello che dopo l’eccesso di megalomania urbana cerca di reinventarsi come un centro, per quanto possibile, tradizionale con la piazza pavimentata in pietra, i lampioni in stile, le staccionate in legno lungo i percorsi pedonali e così via. Non tutti, però, credono in questo sogno e c’è qualche imprenditore che insiste nel voler realizzare ulteriori edifici e di consistenti dimensioni anche a scapito della visione della montagna la quale verrebbe interdetta dal fronte del fabbricato. Quello di voler far assomigliare la stazione ad un aggregato rustico è, ad ogni modo, una semplice mutazione della pelle, non cambiando nulla nella consistenza volumetrica, quella che, per via anche della rapidità dell’edificazione del centro montano, dovette colpire molto gli abitanti della zona che videro modificarsi completamente l’aspetto della montagna e con esso loro stessi che da contadini o pastori divennero alcuni addetti alle funivie (una tecnologia che già si conosceva per via della teleferica), altri camerieri, altri ancora commessi, ecc. Il passaggio successivo che si auspica per le nuove generazioni è quello di guardiaparco, guida naturalista e le altre professioni legate all’istituzione di un parco, quello del Matese.

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