IL PARCO DEL MATESE
Un parco per valorizzare il Matese
Forse il maggiore ostacolo all’affermarsi dell’idea di parco del Matese è l’assenza della stessa coscienza della presenza di questo massiccio montuoso. Nel sentire come il Matese non esiste come entità autonoma, dissolvendosi nei comprensori circostanti, la vallata dell’alto Tammaro, la piana di Boiano e così via, per rimanere nel Molise. Questo complesso montano sempre quale fatto a sé stante anche dal punto di vista economico e sociale (il Patto Territoriale del Matese ha abbracciato anche Campobasso) e, addirittura, per tanti esso costituisce una sorta di “terra di nessuno”. Se non fosse per i 2 Campitello, quello più celebre di S. Massimo e quello di Roccamandolfi, e per il lago del Matese esso sarebbe un luogo perfettamente sconosciuto. Ce se ne ricorda ora della sua esistenza per la collocazione su alcuni rilievi, monte Crivali e monte Cavuti, rispettivamente nei Comuni di Roccamandolfi e di Longano, di impianti eolici. Con esclusione degli escursionisti, che sono ancora pochi nonostante l’intensa azione del CAI, la montagna sembra essere dei pastori (meno dei carbonai che sono, per la loro attività, dei nomadi non rimanendo sempre nello stesso luogo); neanche gli agricoltori, che prima coltivavano le patate anche a quote elevate, dove i tuberi maturano meglio, sono più presenti nelle zone di altitudine. Le attività lavorative della popolazione che vive nei centri dell’area del Matese hanno sempre meno a che fare con le risorse della montagna, se si fa eccezione all’industria casearia di Boiano, e lo sviluppo produttivo è, ormai, di tipo esogeno. Anche geograficamente è difficile riconoscere una unitarietà al Matese posto com’è al centro della Penisola sia in senso longitudinale che latitudinale, partecipando alle tante realtà diverse che sono ai suoi confini. Una oggettiva difficoltà ad essere letta come fatto ben identificabile è, di certo, la estrema diversità di fatti ambientali che si incontrano all’interno di questo sistema montuoso. Vi sono, infatti, ambienti di ogni tipo, da quelli planiziali nel fondovalle dove si trovano le sorgenti del Biferno, a quelli delle vette più alte i quali sono ambienti estremi per la scomparsa della vegetazione e la denudazione della roccia (si pensi ai ghiaioni dei circhi glaciali del Miletto e della Gallinola e alle guglie dolomitiche della valle del Fondacone). Neanche questi ultimi, però, costituiscono ecosistemi del tutto naturali per via dell’intensa frequentazione antropica in passato dell’intera montagna. Se il bosco può essere considerato la situazione ambientale prevalente del Matese, neppure per esso è corretto parlare di realtà uniforme in tutto il massiccio. Il patrimonio forestale matesino è importantissimo non solo per la sua estensione, ma pure per la sua varietà. Vi sono faggete, boschi di conifere, di quercia, di castagno, prevalentemente misti, in composizioni diversificate. Le superfici boschive si distinguono, poi, per le dimensioni che sono più vaste salendo di quota, mentre nella fascia collinare gli appezzamenti boschivi si presentano frammentativi e anche quando sono ampi si ha la loro strutturazione in piccole proprietà. In passato i boschi dovevano essere ancora più ampi, a formare delle foreste estese regno dei lupi e degli orsi come descrive il Galanti alla fine del 1700: in seguito si è avuto nella parte propriamente montana l’avanzata del pascolo a discapito del bosco, con la trasformazione dell’ecosistema originario, ma senza che si sia perso l’equilibrio ambientale. Il disinteresse che si manifesta per il Matese non riguarda solo una questione di identità, ma porta con sé il mancato sfruttamento di enormi quantità di terreni pubblici. Al di sopra dei 1000 metri il suolo appartiene ai Comuni, fatte salve alcune porzioni di privati, in genere di possidenti, non della gente comune. È il caso del pianoro di Campitello, all’indomani dell’abolizione del feudalesimo passato al principe Morra prima Marchese di S. Massimo. Il comprensorio di monte Caruso-monte Gallo in agro di Monteroduni è, invece, demanio regionale. Queste proprietà comunali sono sottoutilizzate: molte di esse sono gravate di Uso Civico, ma manca una mappa di questi terreni e la Regione non ha provveduto al censimento degli utenti. È venuto anche a diminuire l’interesse per i boschi soggetti ad uso civico dove i cittadini praticavano l’autoproduzione di legname. Il parco può essere una valida ricetta per la valorizzazione di questi suoli pubblici; il vantaggio è, comunque, reciproco perché il piano di un parco acquista efficacia dall’avere disponibilità di terreni di proprietà collettiva. Il parco, inoltre, con la sua semplice istituzione potrebbe dare un contributo decisivo a riportare l’attenzione sul Matese, inducendo a percepirne la sua esistenza. La tabellazione dei confini, il primo passo che normalmente si compie e che precede qualsiasi altra azione, servirebbe oltre che a conferire visibilità al parco, a dare notorietà a questo complesso montuoso che, altrimenti, rimane un «buco nero» nelle carte topografiche privo com’è di insediamenti umani e non attraversato da vie di comunicazione. Un obiettivo, quello del parco, oggi facilmente raggiungibile perché ormai c’è una cospicua base conoscitiva sugli aspetti naturalistici, paesaggistici, ecc. per via di un’attività di studi più che decennale svolta dall’Università del Molise e di ricerche condotte da altri enti ed associazioni in un periodo anche più lungo.
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IL PARCO DEL MATESE, UN DIBATTITO LUNGO DECENNI
Fare un parco del Matese sembra una cosa abbastanza facile. Infatti si tratta di una montagna, a differenza dell’Alto Molise, non abitata e, quindi, non sono prevedibili conflitti con le esigenze insediative. È questa una affermazione parzialmente vera perché nel Matese la presenza dell’uomo si avverte attraverso alcune attività umane. La selvicoltura e l’allevamento coinvolgono quasi per intero il territorio montano. Per via dei pascoli e dei boschi il Matese era considerato dalle popolazioni del luogo fonte di benessere e non solo di pericolo come avvenne nel periodo del brigantaggio dopo l’Unità d’Italia. Se non fosse stato per l’attività umana tutto questo comprensorio sarebbe stato ricoperto da querceti e da faggete. In effetti oggi che la pressione antropica a causa dell’emigrazione e della riduzione degli addetti all’agricoltura è diminuita si sta osservando una ripresa del bosco. Il piano del Parco che si dovrà relazionare evidentemente con la struttura produttiva dell’area non potrà vincolare i pascoli in quota per via delle aziende con componente zootecnica a valle che vivono con l’alpeggio. Del resto la limitazione del pascolo in altitudine non farebbe che incrementare l’assurdità della situazione attuale in cui i latticini di Boiano, peraltro di elevato pregio, utilizzano il latte, se non la pasta cioè un prodotto semilavorato, spedito dall’Olanda e dalla Germania. Quale problema aggiuntivo vi è quello dell’incremento di traffico sulle strade per via del trasporto del latte settentrionale che ritorna verso nord sotto forma di formaggi con marchio di fabbrica boianese. D’altro canto è evidente che la ridotta dimensione delle superfici a pascolo matesine non sono in grado di far fronte alla forte richiesta che si ha di prodotti caseari. Il prodotto di montagna non può, in ogni caso, che essere un prodotto di nicchia: poiché le quantità sono piccole non si riesce a distribuirlo all’ingrosso e, pertanto, è opportuno che venga venduto sul posto e in questo modo si favorisce anche la crescita del flusso turistico interessato all’enogastronomia. Sono queste le conclusioni di una ricerca dell’ENEA avente per fine la valorizzazione della zootecnia del Matese. Non è di certo, però, la pastorizia la principale preoccupazione per i fautori del parco. Ben altri sono i pericoli che si paventano, dalla minaccia delle estrazioni petrolifere all’inquinamento elettromagnetico dovuto ai ripetitori posti sulla cima di monte Miletto al proliferare dei progetti di impianti eolici all’estensione del bacino sciistico. Qualche ansietà provocano pure altre problematiche minori, se non altro perché fenomeni ancora contenuti. Ad esempio il volo degli aeroplani che decollano dalla pianura di Campochiaro possono disturbare la fauna montana e perciò è necessaria una regolamentazione per evitare i voli a bassa quota sulla montagna. Vi è il timore che l’apertura di nuove cave oltre che per il mancato recupero di quelle esistenti come grandi buche sempre nella pianura di Campochiaro con le loro pareti strapiombanti, prive di vegetazioni per le quali è ipotizzata la trasformazione in una zona umida. A questo proposito si citano esperienze già avviate come quella di Baggero in Brianza dove l’iniziativa in tal senso è partita da un cementificio, proprio come quello di Guardiaregia. La proposta di parco deve comportare anche i rimedi a queste problematiche. Uno dei vantaggi di un parco è la notorietà che ne deriva all’area e da qui la possibilità di attrarre visitatori: il parco, comunque, non deve essere solo un marchio di valore senza un reale impegno per la protezione della natura. Uno dei nodi cruciali del parco del Matese è ovviamente Campitello, l’unico insediamento in quota presente sul versante molisano del massiccio montuoso. La stazione di sport invernali è connotata dalla presenza di grandi fabbricati residenziali voluti dalla stessa società che aveva realizzato gli impianti di risalita. La costruzione e la vendita degli alloggi privati era servita a finanziare le sciovie e gli altri servizi e di coprire il passivo della gestione di queste strutture. Il risultato in termini urbanistici non è certamente soddisfacente perché la località sciistica ha assunto l’aspetto di un insieme di condomini. Il turista qui trova le stesse forme abitative dalle quali era fuggito evadendo dall’ambiente cittadino. Per quanto riguarda i servizi a Campitello, al di là di quelli di base, cioè ristorazione e ricettivi, vi sono servizi finalizzati solo alla vacanza invernale per cui si deve parlare di monostagionalità. Per ottenere la bistagionalità, quindi anche l’offerta di soggiorno turistico estivo, bisogna puntare proprio alla istituzione del parco del Matese. Attualmente potendo garantire, ad esempio negli alberghi, solo posti di lavoro stagionali non si può avere una professionalità di grande livello tra gli addetti e quindi una qualità di servizi elevata. Con il parco invece si può immaginare una continuità occupazionale estesa all’intero arco dell’anno. Le varie attività sia quelle alberghiere, sia quelle legate agli impianti sciistici, sia nei settori connessi come scuola sci, abbigliamento, pubblici esercizi, ecc. sono esposte agli andamenti atmosferici. Per tali attività non sono applicabili i benefici previsti per le aziende colpite da sfavorevoli fenomeni meteo-climatici e perciò esse non si debbono far dipendere esclusivamente dalla presenza della neve. Con il parco si verrebbero a creare occasioni alternative di lavoro quando non è possibile sciare. Venendo incontro in questo modo non solo agli imprenditori turistici, ma anche ai lavoratori i quali non godono della valvola di sfogo della cassa integrazione. Tornando al concetto di parco come strumento di tutela e non solo come occasione di crescita economica si deve dire che il Matese è già soggetto ai vincoli imposti dai piani paesistici. Questi piani sono vigenti da circa 15 anni, preceduti 5 anni prima dai « galassini » che stabiliscono l’inedificabilità assoluta fino al momento della loro redazione. L’inclusione dell’area del Matese nei decreti Galasso non ha suscitato sorprese in quanto questa già rientrava, fin dal 1974, tra le aree classificate di notevole interesse pubblico dal punto di vista paesaggistico. I piani paesistici si sono rivelati uno strumento efficace per la protezione della montagna, ma non potevano fornire per la loro stessa natura di piani vincolistici una ricetta per lo sviluppo. Il piano del parco che invece ha il compito anche di promuovere l’economia locale e, di conseguenza, sarà necessario un coordinamento tra la pianificazione paesistica e il piano previsto dalla recente legge regionale sulle aree protette. In verità, il coordinamento è indispensabile anche con altri tipi di piani, come quello di assestamento forestale redatto dalla Comunità Montana, il piano regionale delle cave, il piano energetico per via degli impianti eolici e così via. Il limite in questo processo di pianificazione è che si continua a cumulare piani specialistici che prevalgono sugli strumenti ordinari di governo del territorio.
Una delle questioni base nella definizione di un parco è la determinazione della sua dimensione. Per il Matese il parco deve essere necessariamente interregionale costituendo la montagna una unità ambientale inscindibile. Da questa caratteristica di abbracciare due Regioni, il Molise e la Campania, non si può considerare scontato che debba trattarsi di un parco nazionale, ma è possibile che esso sia un parco gestito insieme dalle due Regioni. Comunque, la differenza tra nazionale e regionale è secondaria, il concetto principale rimanendo quello di parco naturale. Un ulteriore argomento è quello della grandezza della sua superficie, poiché a volte è preferibile invece di avere un grande parco solo sulla carta averne uno più piccolo, ma che sia veramente un parco. Se un parco è esteso, allora esso viene a contenere accanto ad ambiti di valore naturalistico anche zone dove vi sono insediamenti umani. L’interconnessione tra fatti naturalistici ed elementi antropici certamente costituisce una ricchezza, ma nello stesso tempo introduce delle criticità nella gestione del parco. Parlando del Matese e riferendoci a quanto detto sopra abbiamo due distinte soluzioni, da un lato di limitare l’area protetta solo al territorio montano dominato da prati e boschi e, dall’altro, di includervi anche il fondovalle con i suoi caratteristici centri abitati storici. È questo uno dei temi classici nella delimitazione dei parchi naturali. Generalmente nel piano di un parco sono previste le zone pre-parco per avere una gradualità del paesaggio dalle zone normali che sono al di fuori dei confini del parco alle zone a più forte tutela. nel caso specifico del comprensorio matesino abbiamo che il massiccio montuoso è assediato ormai su quasi l’intero perimetro, sia dalla parte molisana che da quella campana, dall’urbanizzazione diffusa delle pianure sottostanti. Si pone, in altri termini, il problema cosiddetto dell’« insularizzazione »: molte delle minacce all’integrità ambientale del Matese provengono dall’esterno del parco e spesso dalle aree di bordo per via degli stabilimenti produttivi (vedi il cementificio di Guardiaregia) oggi e domani dal progetto dell’aeroporto nella piana di Sepino. Quindi l’attenzione va spostata dal cuore del parco alla fascia periferica che è la più vulnerabile. È strategico difendere le zone contigue, almeno sul versante molisano, anche perché qui passa il tratturo Pescasseroli-Candela il quale, una volta data attuazione alla legge regionale che prevede il piano dei tratturi, costituisce il corridoio ecologico che lega il parco del Matese con il Parco nazionale d’Abruzzo da dove il tratturo parte (Pescasseroli). Si sta parlando di un futuro del quale si sono già messe le basi oggi con l’entrata in vigore della normativa regionale di settore. In questa legge non si sono però individuati i parchi prioritari e nemmeno le aree potenzialmente suscettibili di diventare parchi per le quali magari si sarebbero potute stabilire disposizioni di tutela transitorie ed anche delimitazioni provvisorie degli ambiti. È vero che l’istituzione formale di un parco è solo un passaggio e che altri appuntamenti decisivi aspettano il parco, come dimostra il caso della Campania dove il parco regionale del Matese è rimasto pressoché ai blocchi di partenza pur varato da anni, ma esso è un momento essenziale per iniziare il lungo processo che porta alla protezione e alla valorizzazione di questo complesso montuoso ricco di valenze naturalistiche e ambientali.
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