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Molise paesaggio acqua

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Il fattore idrico nel territorio regionale

Quando si parla di acqua si parla di tante cose insieme. Infatti l’acqua cambia di stato, potendo diventare ghiaccio o vapore; l’acqua può avere qualità differenti, trovandosi acque minerali, e nel Molise ve ne sono molte, o solfuree (quella di Isernia, ma anche meno conosciute come quella di S. Massimo) e qui è anche una questione di odore e di sapore;

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vi sono acque con colori diversi e ciò dipende dagli alberi che si riflettono in essa, come in alcuni tratti del Biferno, o dalla presenza di nuvole nel cielo (questi effetti sono leggibili nei grandi bacini artificiali del Liscione e di Occhito e meno nel mare, specie quando è mosso perché l’increspatura della superficie impedisce al cielo di specchiarsi); la forma dell’acqua dipende dal moto perché è ben diverso il suo aspetto quando un fiume crea una cascata (alcune veramente suggestive come quella di S. Nicola a Guardiaregia o dello Scaffaturo a Montagano) rispetto a quando corre placido e dal moto dipende pure il rumore dell’acqua; 

l’acqua presenta temperature differenti a seconda dei luoghi e delle stagioni. 

Vi sono, poi, acque che non vediamo perché stanno sottoterra nelle cavità dei grandi massicci carsici del Matese e della Montagnola; per la loro abbondanza esse sono utilizzate per alimentare i principali sistemi acquedottistici molisani. L’acqua è ricchezza anche quando si presenta sotto forma di neve, almeno per le località che vivono degli sports invernali (Campitello e Capracotta). La pioggia invece, un’altra manifestazione dell’acqua, a volte è invocata (le lunghe siccità estive come quelle recenti) ed a volte è temuta (per il rischio alluvione quale quella del 23 gennaio del 2003); sicuramente è meno gradita la grandine che la pioggia. La nebbia, la quale non è altro che acqua nebulizzata, è caratteristica di certe aree di pianura e delle vallate dei maggiori fiumi del Molise specie nelle prime ore del giorno. Guardandola da un altro punto di vista, quello che va alla ricerca dei valori simbolici nelle cose, si vede che all’acqua sono attribuiti molti significati. Essa è il simbolo della vita ed è la sostanza purificatrice del peccato (attraverso il Battesimo). Essa garantisce la protezione dai mali per cui a S.Angelo in Grotte nella chiesa di S. Michele il pellegrino la beve attingendola dal pozzo; è la stessa protezione che a Lourdes è data dall’immersione del corpo nell’acqua. l’acqua presenta temperature differenti a seconda dei luoghi e delle stagioni. 

L’ alluvione che ha colpito il basso Molise rimanda all’immagine del Diluvio Universale. Abbiamo sperimentato in quell’occasione l’effetto della “perdita del luogo” che deriva dalla cancellazione dei tratti del paesaggio in quanto l’inondazione ha coperto il territorio con una vasta distesa d’acqua. L’acqua, in ogni modo, non è associabile solo alle calamità (che non sono unicamente le inondazioni) poiché essa compare come elemento fondamentale nelle raffigurazioni che ci siamo fatte del Paradiso. Il Giardino Terrestre è il modello di riferimento della nostra cultura paesaggistica. Non è possibile immaginare un giardino nel quale non sia presente l’acqua; si tratta sempre di acque «dome» sia che esse compaiono nella loro forma naturale (ruscelli, stagni, ecc.) sia che esse acquistino forma dal manufatto architettonico in cui sono inserite (fontane, vasche, canali, ecc.). L’acqua arricchisce il giardino se non fosse altro per il suo suono quando scorre o perché d’estate serve a rinfrescare l’aria o, quando si tratta di fontane monumentali, per accentuare alcune prospettive. L’acqua ha una essenza vitale, tanto per la sua semplicità quanto per la sua forza, che la fa associare alla creazione del mondo. Bisogna considerare che il dissetarsi è una esigenza primaria dell’uomo e non esiste soddisfazione maggiore di quella del placare la propria sete;

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il gesto del bere, specie quando avviene direttamente ponendo la bocca a contatto con la fonte senza utilizzare recipienti, è un gesto primordiale che l’essere umano ha compiuto fin da quando è apparso sulla Terra. Per la carica semantica che l’acqua possiede essa è stata sempre oggetto di rappresentazioni artistiche. Si pensi alle fontane al centro dei peristili delle case romane o ai giochi d’acqua in epoca barocca oppure alla particolare caratterizzazione di alcuni abbeveratoi come quello di località Centocelle sul tratturo dove vi è uno stemma nobiliare oppure ancora alle fontane. Si cita tra queste ultime quella di S. Egidio di Boiano con le cannelle a forma di cinghiale. Una fontana particolare è quella di piazza Stazione ad Isernia dove si ha una catena d’acqua che scende in terrazze degradanti.

Vi sono, poi, i segni lasciati dall’acqua sulle pietre mediante una lenta erosione che hanno solleticato la fantasia popolare spingendovi a vedere impronte misteriose (l’impronta del piede dell’angelo a Macchiagodena, la “pedatella” di S. Margherita a Colledanchise, la mano del diavolo presso la Fonte dei Lontri a Boiano e così via). Sono questi effetti indiretti dell’acqua così come possiamo considerare come una conseguenza del passaggio di un fiume la visione dei ponti che, a volte, sono spettacolari suscitando meraviglia specie quando sono ad una sola campata per la loro arditezza costruttiva: è il caso del ponte a schiera d’asino denominato di S. Rocco sul torrente Tappone presso il centro abitato di Sepino o il ponte “del diavolo” detto dell’Arcichiaro in prossimità della gola del torrente Quirino nel territorio comunale di Guardiaregia.

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L’acqua è in definitiva parte integrante della nostra vita sia per i suoi effetti diretti che per quelli indiretti entrando in ogni aspetto dell’esistenza umana. L’acqua è indispensabile pure per le specie animali e vegetali e, pertanto, l’inquinamento dei fiumi, una costante minaccia anche per quelli molisani, rischia di compromettere la sopravvivenza oltre che dei pesci di tanti animali selvatici (tra cui la lontra di cui sono state trovate tracce lungo il Biferno) che in essi abbeverano e di diverse piante che crescono sulle loro rive. La primaria funzione riconosciuta all’acqua, dalla legge fondamentale del settore, la cosiddetta Legge Galli, è però quella potabile. Recenti dati ci dicono che 1 miliardo e 400 mila persone ancora non dispongono di acqua potabile. La sua scarsità fa pensare a molti che il bene più prezioso nel futuro non sarà il petrolio, bensì l’acqua. Si paventa il pericolo di guerre scatenate per l’approvvigionamento dell’acqua. Senza connotazioni minacciose e senza superare il livello della diatriba politico-amministrativa pure qui da noi vi è una contesa sull’acqua che ci contrappone alla Campania relativamente al prelievo dalle sorgenti del Biferno. È questo un contenzioso che non ha ragione di esistere perché per l’acqua, così come per l’aria, non hanno senso i confini amministrativi delle Regioni e, d’altro canto, per quanto riguarda il Biferno bisogna riconoscere che il Matese, la montagna da cui questo fiume trae origine, è un massiccio montuoso comune ad entrambe le regioni.

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Il mondo acquatico sotto e sopra la superficie terrestre 

A tale proposito, cioè relativamente al fatto che l’acqua che beviamo scaturisce dal Matese, va rilevato pure che, in effetti, è sbagliato pensare a questo complesso montuoso come ad un luogo remoto, distante dalla civiltà dovendo riconoscere che esso, fornendoci questa preziosa risorsa, è parte integrante del nostro spazio esistenziale e che, di conseguenza, va tutelato. Seppure il Matese costituisce un cospicuo serbatoio idrico e che vi sono anche altre copiose scaturigini per cui il Molise è abbondante d’acqua si ha che non sempre è sufficiente quella dei nostri acquedotti. Certo, sono stati fatti passi giganteschi a partire da un secolo fa quando bisognava andare ad attingere per gli usi domestici alle fontanelle, mentre oggi abbiamo tutti l’acqua potabile in casa, ma necessita intervenire per limitare gli sprechi e per ridurre le perdite lungo le reti.

Non basta la razionalizzazione definita da un Piano di Utilizzo delle Acque varato da parte della Regione, ma occorre la consapevolezza diffusa della necessità del risparmio nei consumi d’acqua. L’affermarsi di questa convinzione negli individui permetterebbe di scongiurare la privatizzazione della gestione idrica (che si paventa anche qui da noi) la quale trae la sua motivazione dal fatto che l’acqua, diventando un bene limitato e non più una risorsa illimitata non può continuare ad essere pressoché gratuita. In effetti la crescita dell’industria delle acque minerali, in particolare quando ad essere imbottigliate sono le acque di sorgente senza alcuna proprietà terapeutica, va in questa direzione. Da tale riflessione ne deriva un’altra ed è che più che di scarsità di acqua occorre parlare di carenza di acqua di qualità. Se è vero che il fabbisogno di acqua

potabile per usi domestici,dove è più necessario che l’acqua abbia caratteristiche qualitative elevate, rappresenta una quota minima del fabbisogno globale almeno a livello nazionale (viene al primo posto l’irrigazione seguita dall’industria) vi è, però, l’esigenza dell’industria agroalimentare, per la quale l’acqua è un fattore di produzione, e dell’agricoltura biologica che l’acqua non sia perlomeno inquinata. Al contrario, vi è una quota d’acqua impiegata nelle attività produttive, quelle idroesigenti, che spesso presenta valori qualitativi che non sarebbero necessari e che potrebbe essere sostituita, mettiamo, con il reimpiego dei reflui civili. È anche questo un sistema per risparmiare questa risorsa così preziosa. Una risorsa, va ribadito, che nel Molise è abbondante perché ci sono precipitazioni sufficienti, diverse da quelle dello stereotipo del Sud, per cui le carenze idriche si devono

più all’inefficienza delle condotte che alla natura. La differenza tra il quantitativo di acqua immessa in rete e quella di acqua erogata all’utenza è rilevante ed è principalmente attribuibile all’obsolescenza di tratti della rete. Le più cospicue riserve idriche del Molise sono quelle contenute all’interno del comprensorio carsico matesino. L’acqua è abbondante perché qui la piovosità è copiosa, anzi si può dire che il Matese è la zona a maggiore piovosità della regione. Vi è un rapporto diretto tra la quantità delle precipitazioni e l’entità del ricarico delle falde poiché vi è uno scambio d’acqua tra la superficie e il sottosuolo. Va poi considerato, ai fini della valutazione delle riserve idriche sotterranee, la vastità del massiccio del Matese che si estende per oltre 100.000 ettari abbracciando due regioni, il Molise e la Campania.

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Non si ha, comunque, una quantificazione realistica delle acque sotterranee (come del resto della risorsa idrica complessiva della regione mancando un catasto completo delle sorgenti) e questo è un problema comune a tutta la Penisola. Un atteggiamento prudente, per evitare l’impoverimento delle risorse idriche, dovrebbe stabilire che il ritmo di prelievo delle acque non sia superiore a quello dell’alimentazione delle falde. Le caratteristiche di queste acque sotterranee sono buone e le limitate contaminazioni batteriche riscontrate alle captazioni sono di scarsa significatività. Va sottolineato che la Regione non ha avuto mai bisogno di disporre deroghe ai requisiti di qualità delle acque erogate al consumo umano. Le acque sotterranee essendo meno esposte rispetto alle acque superficiali ai rischi di inquinamenti sia saltuari sia continuativi sono particolarmente idonee agli usi potabili. Inoltre, le acque sotterranee sono migliori a questo scopo per la loro elevata gradevolezza organolettica.

Sul Matese vi sono anche sorgenti di acqua minerale come quella di località Tre Fontane a Sepino che provengono da falde profonde come fa pensare la costanza della temperatura che è di 9,6° C per tutto l’anno. Per la loro funzione strategica quale serbatoio idropotabile va prodotto ogni sforzo per salvaguardarle. I pericoli per l’acquifero carsico del Matese che è altamente vulnerabile sono numerosi e vanno dal metanodotto che passa su Guardiaregia allo sversamento dei liquami di Civita Superiore che sta proprio sopra la sorgente di Pietrecadute fino ad un ipotetico incidente aereo che può determinare l’infiltrazione nel sottosuolo del carburante. Uno dei motivi per cui occorre evitare l’apertura di nuove cave in questa montagna è in effetti quello dell’inquinamento delle falde. Oltre ai bacini idrici all’interno del Matese vi sono anche due fiumi perenni a corso sotterraneo, il Sava e il Lete (che fuoriesce da una parete della montagna formando una spettacolare cascata), ambedue affluenti del Volturno. In questi casi l’acqua non sembra caratterizzare

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l’immagine del paesaggio mentre essa, in moltissime altre situazioni, costituisce il connotato più evidente dei quadri visivi. L’acqua è determinante nella definizione dell’aspetto dei luoghi sia che si tratti di veri e propri fiumi sia che si tratti del reticolo idrografico minore che è fatto dalle rogge, dai fossi, dai canali di bonifica. L’acqua si manifesta nel paesaggio molisano in vari modi; sono segni paesistici differentissimi fra loro le pozze, i laghi (di Guardialfiera e di Occhito), i fiumi (il Trigno, il Biferno, il Fortore) e le loro foci, il mare, la rete di irrigazione, le sorgenti, le cascate, i corsi d’acqua tranquilli e quelli che formano rapide. Ci si accorge della presenza dell’acqua anche quando non è visibile perché la si avverte allora che si scorge una vegetazione più lussureggiante. Le diverse forme che assume l’acqua determinano distinti effetti paesaggistici. I torrenti rendono la natura mobile, movimentata, mentre le superfici uniformi degli invasi smaterializzano la realtà topografica dei luoghi suggerendo una sensazione di indeterminatezza.

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L’acqua, in ogni sua manifestazione, rimanda a significati ancestrali caricando di mistero i paesaggi; essa introduce nei paesaggi, specie in quelli monotoni, una microscala che li vivacizza. Le sponde dei fiumi e dei laghi poi sono segni forti nel paesaggio sia quando definiscono con chiarezza i contorni dell’acqua e della terra sia quando sono oscillanti lasciando nell’osservatore una sensazione di incertezza. Per il loro indubbio valore occorre proteggere i corsi d’acqua che oggi sono tutelati solo indirettamente perché per la loro salvaguardia bisogna fare appello a normative relative alla difesa di particolari specie animali o vegetali ad essi connesse oppure alle disposizioni per la conservazione del paesaggio. La particolare sensibilità delle fasce fluviali porta a pensare che sono indispensabili misure di protezione speciali e non quelle ordinarie definite dai piani paesistici, ma soprattutto azioni urgenti per migliorare la qualità delle acque.

Le forme dell’acqua

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L’acqua è l’elemento fluido per eccellenza che, quindi, cambia incessantemente di forma mutando il suo aspetto in relazione al recipiente che la accoglie. Pertanto parlare di «forma dell’acqua», è in un certo senso provocatorio, volendo attribuire all’acqua la forma che, invece, gli deriva dal contenitore in cui si trova.Possiamo distinguere, seguendo questo ragionamento, 2 tipi distinti di “forma” dell’acqua:

la forma naturale e la forma artificiale. Nella prima tipologia facciamo rientrare le immagini dell’acqua così come si presenta in natura. Nel Molise, regione che presenta un territorio estremamente variegato per caratteristiche morfologiche e climatiche, si ritrovano facilmente, basta osservare con attenzione i luoghi, i diversi volti che l’acqua assume nell’ambiente. A seconda delle condizioni meteorologiche la vediamo riflettere le nuvole

o risplendere con il sole oppure semplicemente rispecchiare il blu del cielo. Ciò si ha quando la superficie dell’acqua è calma e perciò scura come succede nei bacini idrici quali quello di Castel San Vincenzo o il lago stagionale di Civitanova. Qui si può notare che l’acqua, che è definita incolore, ha un colore che in questo caso è il verde il quale è il colore delle fronde dei rami dei faggi al suo contorno.

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A determinare una diversa immagine dell’acqua è la profondità del corpo idrico, sia esso fiume o lago; l’altezza dell’acqua insieme alla sua trasparenza, che da noi in genere è elevata, e al tipo di fondo, se melmoso, ghiaioso, ecc. caratterizza il suo aspetto. Ritorniamo alle rive evidenziando che quando esse sono boscate la superficie dell’acqua è oscurata, ma l’effetto è diverso se si tratta di un bosco compatto o di gruppi di alberi come i salici e i pioppi che, poiché alti lasciano filtrare la luce del cielo (alcuni tratti del Biferno). È importante parlare delle rive in quanto questi sono i punti più privilegiati dai quali osservare l’acqua: se la riva è allo stesso livello del pelo dell’acqua

(ad es. a Canneto lungo il fiume Trigno), avvicinandosi il terreno gradatamente alla sponda, ci si può riflettere comodamente, mentre ciò è impossibile quando il corso d’acqua lo guardi dall’alto (magari da uno dei tanti ponti storici molisani). Si è ritenuto di dover sottolineare la valenza della riva perché non si può disgiungere un quadro visivo dal luogo da cui può essere goduto. Passiamo adesso all’altro tipo di “forma” dell’acqua di cui si è detto all’inizio che è la forma artificiale. Questa è legata principalmente alle fontane che nella nostra regione sono moltissime e distinguibili in diverse categorie per caratteristiche architettoniche e per modo di trattamento dell’acqua.

Qui si avverte la contrapposizione tra l’acqua che è un elemento irregolare e fluido e i connotati geometrici del manufatto edilizio della fontana. Oltre alle fontane più antiche (quella di Cercepiccola, quella di Bonefro, ecc.) che sono sicuramente «cose di interesse storico» vi sono le fontane costruite nel secolo scorso nelle piazze di tanti paesi molisani per celebrare l’acqua portata da nuovi acquedotti. In questo periodo oltre alle fontane monumentali vi sono pure tipologie particolari di fontane che anch’esse si legano alla modernizzazione della nostra società e sono le fontanelle in ghisa sostenute dagli stessi pali che sorreggono i

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lampioni dell’illuminazione pubblica (una si trova a Busso e un’altra a Vinchiaturo): il palo, perciò, tiene insieme i due principali simboli del progresso civile. Vi sono vari modi di concepire le fontane, dalle fontane da muro (a Vastogirardi o a Boiano o a Mirabello) alle fontane su piedistallo (a Sepino in piazza Nerazio Prisco), alle fontane con getto dal basso verso l’alto (ad Agnone in piazza Plebiscito), alle fontane con getto dall’alto verso il basso (a Pettoranello), alle fontane con vasche in successione (a Civitanova). Per quanto riguarda le fontane con getto, l’acqua può essere spruzzata da un solo ugello (come a piazza Municipio a Campobasso dove lo spruzzo viene attivato solo nelle occasioni solenni) o da più (ad esempio nelle fontane, tutte identiche, regalate ai Comuni dalla Cassa per il Mezzogiorno in occasione dell’ inaugurazione dell’acquedotto).

Queste fontane sono composte dai getti e da un bacino in cui si raccoglie l’acqua il quale può avere forma circolare, poligonale, stellata, ecc. Quando l’acqua cade dall’alto essa può sgorgare da figure animali come le bocche dei leoni che stanno nella fontana posta nel giardino pubblico a San Massimo. A volte l’acqua sembra scaturire da rocce che simulano le sorgenti: è il caso della vasca di Villetta Flora a Campobasso dove si ha l’associazione di massi rocciosi, che richiamano le montagne, e di acqua, i due principali componenti di un paesaggio. Siamo di fronte, in definitiva, ad una fontana naturalizzata. Sempre a Campobasso, questa volta nel giardino cosiddetto del «Distretto», vi è un diverso tipo di significato della vasca che sta quasi al livello del terreno e perciò assomiglia ad un’aiuola, seppur d’acqua, omogeneizzandosi al «parterre»

d’erba che sta tutt’intorno. Questa fontana come altre già citate è ornata da una statua che si rispecchia nell’acqua. L’acqua e la scultura intensificano il loro effetto l’un con l’altro; la scultura aumenta la drammatizzazione spaziale che già l’acqua di per sé produce nell’ambiente urbano.

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In conclusione, l’acqua ha aspetti diversi che nel loro insieme ci rivelano la poliedricità della sua forma, che è in relazione anche ai molteplici usi che facciamo di essa. L’acqua infatti è presente in ogni momento della vita essendo un elemento indispensabile per l’esistenza umana, che quindi va tutelato così come intende fare l’ONU che a questo scopo ha proclamato l’anno 2003 l’Anno Internazionale dell’Acqua, assumendo in questa occasione impegni per una salvaguardia continuativa di questo elemento.

L’elemento liquido nei vari quadri visivi

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Il paesaggio, nella sua estrema essenza, è formato da montagne, pianure, coste, colline e fiumi. Pertanto i corsi d’acqua sono uno degli elementi naturali che stanno alla base della struttura del paesaggio. I fiumi molisani sono diretti alcuni verso l’Adriatico, cioè il Biferno, il Trigno e il Fortore, e altri, il Volturno, verso il Tirreno. Nel versante adriatico, che è poi quello che occupa la maggiore superficie del territorio regionale, i fiumi seguono la direttrice ovest-est e quindi sono trasversali rispetto allo sviluppo prevalente della Penisola italiana il quale, invece, ha un andamento che va da nord a sud. Spostandosi dal settentrione al meridione, quindi secondo l’asse longitudinale della nostra nazione, abbiamo che i fiumi che sfociano nel mare adriatico dividono il Molise in ampie vallate parallele fra loro. Tali valli, che occupano la gran parte della regione, sono centrate su questi fiumi i quali rappresentano il sistema idrografico principale a cui confluiscono una serie continua di corsi d’acqua minori secondo uno schema a pettine. I fiumi, sempre quelli che sversano nell’Adriatico,

costituiscono i confini fisici con le regioni limitrofi alla nostra: il Trigno con l’Abruzzo, il Fortore, o almeno il suo bacino, con la Puglia. I corsi d’acqua sono un sicuro confine naturale perché le fasce fluviali sono state per secoli poco abitate. Infatti i paesi non osarono collocarsi vicino ai fiumi né, sempre a causa del pericolo di inondazione, si è potuto praticare un’agricoltura stabile. In definitiva le aste fluviali sono circondate per tutto il loro percorso da ambiti quasi deserti. Il Biferno, a differenza degli altri fiumi molisani, appartiene interamente alla nostra regione, da quando nasce sull’Appennino fino a quando sbocca nel mare. Nella valle del Biferno arriva l’acqua di un enorme bacino montano rappresentato dal massiccio del Matese. Gli abbondanti apporti idrici matesini condizionano i flussi stagionali del fiume che sono molto variabili. Lo scioglimento delle nevi della montagna insieme alle piogge che in questo periodo sono abbondanti nella tarda primavera ingrossano il corso d’acqua provocando anche piene. Il fiume modifica totalmente il suo aspetto in relazione alla quantità d’acqua.

Il Biferno è stato oggetto di tanti brani della letteratura molisana poiché esso ha stimolato l’immaginazione collettiva. Nella parte bassa del Molise il Biferno ha il tipico andamento di un fiume di pianura con un percorso meandriforme, quasi che voglia tardare a raggiungere il mare. Il fiume solcando questa fascia pianeggiante subisce una serie di variazioni del suo corso con diverse anse abbandonate in quanto separate dalla corrente.

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È il fiume stesso ad aver formato questa piana depositando materiali sempre più fini secondo il principio che più il fiume cammina verso la foce più diminuiscono il peso e le dimensioni delle particelle trasportate. A modificare la forma del Biferno in questo ambito pianeggiante è stata l’azione di bonifica compiuta nella prima metà del secolo scorso. La pianura paludosa è stata oggetto di una vasta sistemazione idraulica e di una radicale riorganizzazione poderale. Pertanto si tratta di un paesaggio plasmato dall’uomo, di un ambiente completamente trasformato o, come si diceva un tempo, redento. Nonostante ciò questi luoghi conservano una fisicità non artificiale, ma una sorta di naturalità conferita loro dalla ricchezza d’acqua. Su questa disponibilità idrica oltre che sulla fertilità dei suoli si basa la sua ricchezza agricola che ne fa una delle più importanti aree produttive della nostra regione. Scontata conclusione della pianura bassomolisana è la striscia litoranea; anche qui è l’acqua a condizionare il paesaggio e non solo per la presenza del mare. Insieme ai canali vi è un lembo di territorio a vegetazione palustre in località Ramitelli di Campomarino che può essere considerato un elemento superstite dell’antico assetto dei luoghi connotato dalla presenza di stagni (vedi la frequenza di toponimi quali Pantano e Padulo). La formazione di un impaludamento è tipica proprio delle coste basse e sabbiose come la nostra

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perché qui i cordoni di dune causavano lo sbarramento del corso dei fiumi e perciò determinavano la creazione di stagni. Questi ultimi sono stati distrutti dalla bonifica integrale e di essi rimangono solo residui i quali sono l’habitat ideale specie per gli uccelli. Lasciando ora la parte bassa della regione e tornando alla zona collinare abbiamo oltre ai fiumi principali una lunga serie di corsi d’acqua minori. Si tratta, in genere, di torrenti molto incassati tra i fianchi dei rilievi (si pensi al Succida, al Vallone del Cerro, al Sente, al Rivo, ecc.) passando, a volte, per profonde gole (ad es. il Callora e il Quirino) che essi stessi si sono aperti. Quando il corso d’acqua è incassato è più probabile che il territorio che lo circonda sia ancora allo stato naturale, non essendo appetibile, in quanto scosceso, per l’ubicazione di attività. Può succedere che il torrente nel suo scendere verso valle abbia il proprio corso interrotto da qualche gradino di roccia: in questo caso, come si verifica nello Scaffaturo a Montagano o nel Vallone delle Coste a S. Massimo, si hanno delle suggestive cascate. I morfotipi dei torrenti sono tantissimi e i torrenti oltre ad essere diversi fra loro presentano fisionomie differenti anche lungo il loro corso: partendo dalla parte più alta del corso si hanno canaloni incisi e poi, man mano, valli sempre più larghe e ciò perché i corsi d’acqua aumentano di importanza per il continuo apporto di affluenti secondari (vedi il Verrino). 

Un segno fluido nell’immagine paesaggistica

Un altro aspetto significativo del paesaggio molisano, sempre connesso all’acqua, è rappresentato dai laghi. Specialmente il lago artificiale di Guardialfiera si è conquistato il rango di segno caratteristico dell’immagine paesaggistica di questa parte del Molise; ai laghi si associano sentimenti romantici e non c’è niente che attribuisca valore ad un paesaggio più di un lago. Comunque, nella nostra regione non esistono solo i laghi di Occhito e del Liscione, ma vi sono anche alcune altre tipologie di bacini idrici che hanno in comune fra loro il fatto di essere di dimensioni piccolissime. Vi sono laghi stagionali qual’è il lago di Civitanova dove l’acqua scompare in estate inghiottita dalla montagna carsica. Ci sono pure laghi che si riempiono temporaneamente perché pensati come casse di espansione delle piene (finora solo quello di Ripaspaccata al quale si dovrebbe affiancare un altro, gemello del primo, in località Fossatella progettati dal Consorzio di Bonifica di Venafro). Vi sono, poi, semplici specchi d’acqua

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privi di immissari ed emissari, quasi asciutti nella stagione calda (lago dei Castrati sulla montagna di Frosolone), bacini realizzati per l’abbeveramento degli animali in alpeggio (in località Sogli nel cuore del Matese), laghetti microscopici nelle cave di argilla (a Busso nell’area estrattiva dell’Italcementi). I laghi veri e propri, dunque, sono unicamente gli invasi del Liscione e di Occhito: quando vennero completati nei primi anni ’70 essi costituirono una novità assoluta nel panorama regionale. Per i molisani vedere una distesa d’acqua pressoché immobile che il vento muove leggermente dovette essere una scoperta. Le oscillazioni

in altezza del lago portano ad avere una incerta divisione tra acque e terre che sono separate da una linea di confine estremamente mossa. Il quadro paesaggistico di tali zone è occupato, data la estesa superficie degli invasi, dalla massa d’acqua conferendo un carattere per così dire fluido all’immagine visiva. Nelle aree oggetto di bonifica, nelle due parti estreme del territorio regionale e cioè ad est e ad ovest, il disegno del paesaggio è dovuto ad una trama sottile fatta di segni regolari, rettilinei. Si legge una orditura geometrica nella suddivisione dei campi coltivati, nella disposizione dei canali irrigui, delle strade interpoderali. Si tratta di una trama esile, ma capillare basata sulla rettilineità degli elementi. Questo sistema di strade, canali di irrigazione e di scolo, di campi che si sovrappone al paesaggio naturale rivela la sua spinta artificializzazione. Un paesaggio dotato di continuità per la regolarità dell’orditura. In prossimità del mare i canali per permettere lo scarico delle acque anche quando c’è l’alta marea hanno bisogno di idrovore, diventate pure esse,

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nonostante ora siano in stato di degrado, segni del paesaggio litoraneo. Hanno rischiato di essere trasformati in canali anche i corsi d’acqua che sboccano nel mare; la difficoltà a trovare siti idonei sulla costa adriatica per realizzare porti ha spinto a pensare di sfruttare le foci fluviali per ottenere, previa una loro regolarizzazione, porti-canali (quello industriale sul Biferno, quello turistico sul Trigno). Finora abbiamo analizzato paesaggi in qualche modo dipendenti dall’acqua; pure se non è visibile anche i paesaggi carsici rivelano il loro legame con l’azione dell’acqua. Nelle montagne carsiche che sono il Matese e la Montagnola manca l’idrografia superficiale, ma le grotte, gli inghiottitoi, le doline ci informano sull’esistenza di riserve idriche sotterranee.

In alta montagna l’acqua si manifesta nel paesaggio anche con i segni dell’attività dei ghiacciai in epoche geologiche: presso la cima di monte Miletto e della Metuccia è possibile ammirare due circhi glaciali. Una diversa maniera con la quale l’acqua si manifesta nei quadri paesaggistici è la nebbia che è insieme al ghiaccio o alla neve (stato solido) e al fiume (stato fluido) un altro aspetto che assume l’acqua (stato aereo, come il vapore). Ci sono comprensori, come la piana di Boiano o le vallate dei principali fiumi, in cui la nebbia è presente di frequente, almeno nelle prime ore del giorno. Qui il paesaggio diventa quasi evanescente; i sensi vengono ingannati e le cose appaiono irreali avvolte come sono nella nebbia da cui solo a tratti emerge qualche fabbricato che viene ad assomigliare, anche il più anonimo, ad un castello incantato.

Non sempre i corsi d’acqua, pur presenti in un dato ambito territoriale, possono essere percepiti. Spesso i fiumi sono nascosti da una cortina di salici ed è proprio la presenza di simile vegetazione a denunziarne il passaggio. Neanche i torrenti quando scorrono in valli strette, ed è il caso più frequente, solitamente ricoperte da boschi sono visibili. Un altro schermo alla leggibilità percettiva di un fiume è rappresentato dai suoi argini come succede per il Fortore a valle della diga di Occhito. Queste arginature hanno isolato il fiume dal contesto ambientale circostante e, quindi, non solo visivamente. Bisogna dire, comunque, che la considerevole distanza che intercorre tra i due argini opposti e quindi la consistente larghezza della fascia fluviale permette di ottenere una

evoluzione naturale nonostante siano state ormai compromesse le condizioni originarie (si pensi solo al fatto che gli argini non consentendo il deflusso delle piene sono una causa dei frequenti allagamenti di questa zona a lato del corso d’acqua).

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Completamente differente da questo è l’alveo del Trigno che ha un vastissimo greto in cui si hanno continui depositi ghiaiosi. Nel Volturno si vedono isole, o meglio isolotti, fluviali e barre sabbiose. L’alveo del Callora è colmato dai detriti trasportati dalla corrente per cui si presenta interamente ciottoloso. Quando i corsi d’acqua scorrono in pianura essi costituiscono importantissimi corridoi ecologici; qui essi rappresentano i principali elementi di discontinuità, quasi una lunga incisione nel territorio. Gli alvei non sono fatti sempre per ospitare l’acqua, ma anche, quando il corso d’acqua è in secca, per consentire il passaggio delle greggi durante la transumanza: il Rio Bottone nei pressi di Cantalupo coincide con il tratturo Pescasseroli-Candela. L’acqua che per definizione è insapore a volte smentisce questa definizione: nel Molise vi sono diverse sorgenti solforose tra cui c’è quella che veniva sfruttata tradizionalmente nello stabilimento termale dell’Acqua Sulfurea di Isernia.

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L’acqua forma una specie di ragnatela nel paesaggio rurale tradizionale dove i confini dei campi sono costituiti in genere oltre che da alberi o da siepi spontanee, da minuscoli fossi. Un indicatore della presenza di un corso d’acqua è rappresentato dai mulini, molti dei quali oggi purtroppo allo stato di rudere, in quanto questi sfruttavano l’energia idraulica; il rapporto tra mulini e corsi d’acqua è reciproco ed esclusivo poiché nei fondovalle, giudicati pericolosi per le attività umane a causa del rischio di inondazione, si insediavano unicamente i mulini. Il sistema idrografico e il sistema insediativo vanno letti congiuntamente: i centri abitati si sono localizzati sulle alture anche per evitare le esondazioni delle acque e solo dopo la regimazione dei corsi d’acqua si è avuta la discesa a valle degli insediamenti.

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Il Biferno in Boiano

Un fiume ha un principio, un corso e un termine, sono queste usualmente le parti in cui viene suddiviso. Per quanto riguarda il Biferno il suo inizio vero e proprio lo si fa scattare dal ponte della Fiumara dove avviene la congiunzione tra i tre rii che provengono dalle altrettanto tre sorgenti, Calderari, Pietre Cadute e Rio Freddo e dove si verifica anche l’innesto in esso del Rio Bottone nel quale poco prima si è riversato il Callora. Il primo nasce alle pendici della Montagnola e il secondo sul Matese; la loro portata a regime non è di certo rapportabile a quella, singolarmente non solo la loro sommatoria, dei corpi idrici alimentati dalle scaturigini, per il Calderari è quella di Maiella, poste al limitare della montagna matesina nella piana di Boiano e, però, l’apporto di acqua al Biferno è consistente allorché siano in piena. 

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Il sistema di monitoraggio delle portate dell’asta fluviale ha una prima centralina di sorveglianza posizionata sul ponte sul Callora che sta all’ingresso dell’abitato di Roccamandolfi; il salto di quota tra la sorgente del Callora e la sottostante pianura dell’Alto Biferno è notevole per cui a preoccupare è oltre ai quantitativi d’acqua che si riversano a valle l’energia della corsa. Gli idrometri posti lungo l’asta del Biferno sono tarati proprio sullo strumento di misura della quota dell’acqua di Roccamandolfi per determinare il margine di tempo a disposizione prima del sopraggiungere dell’onda di piena. Questo per dire che l’inizio di un corso d’acqua non è cosa facile da stabilire con sicurezza, la piena del Biferno dipende dalla piena del Callora e ciò ne fa un tutt’uno almeno durante un’emergenza idrogeologica;

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rimane che il contributo maggiore, nel tempo ordinario, dal punto di vista idraulico è dato dal flusso idrico che fuoriesce dalle falde sotterranee del Matese nel fondovalle. Comunque, va fatto notare che seppure si voglia considerare il Callora non un tributario bensì un prolungamento, una sottospecie di coda del Biferno ciò non incide sul rapporto che Boiano ha con il suo fiume in quanto la congiunzione fra Callora e Biferno avviene al di fuori del perimetro urbano. La cittadina bifernina, peraltro l’unica che possa fregiarsi di tale titolo perché lungo la vallata fluviale non vi sono altri centri abitati, è un po' il capolinea del Biferno, chi segue il suo asse non può andare oltre, dopo c’è la barriera montuosa. Vale la pena ribadire che quello boianese è il tronco primario del Biferno qualora si volesse riconoscere al Callora lo status di ramo dello stesso non di mero immissario. Se, invece, ci si muove in senso opposto Boiano è un nucleo abitativo di transito. Un passaggio facilitato dal fatto che il Biferno, prima di prendere la sua forma compiuta, con o senza il Callora per rimanere alla discussione precedente, si suddivide in più bracci, uno per episodio sorgentizio, dei quali due, Callora e Pietre Cadute, stanno all’interno dell’unità insediativa; nonostante siano copiose le fonti da cui nascono essi non sono difficili da valicare

cosa che, invece, diventa ardua quando si uniscono fra loro tanto che il futuro re di Napoli Franceschiello in visita al Molise dovette scendere dalla carrozza per superare il fiume. Di solito un corso d’acqua funge da confine tra comuni, regola alla quale soggiace pure il Biferno ma solo quando esce dall’agro boianese. Quando ci sta dentro non dà fastidio perché il Calderari e il Pietrecadute non sono soggetti ad ingrossamento e quindi non c’è pericolo di straripamento essendo originati da fonti perenni e, per il nostro argomentare, costanti. Essi, in particolare il Calderari che è tangente a lungo all’agglomerato edilizio e in parte ne è stato inglobato, scorrono in maniera tranquilla e la loro presenza arricchisce il panorama cittadino. Una città è più bella se possiede un fiume e solamente Boiano ce l’ha nel Molise. I benefit che il Biferno procura a Boiano sono molteplici, di tipo economico, paesaggistico e pure ricreazionale. Si può andare in canoa sia perché il corso d’acqua cammina nel piano e quindi cammina piano sia perché il flusso idrico è costante e quindi non ci sta la minaccia di piene sia perché è perenne per cui si può vogare tutto l’anno sia perché non vi sono ostacoli, mancano le briglie essendo in pianura, sia perché la corrente non è turbolenta sempre per la questione della piattezza.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto è da aggiungere che lungo tutto il Biferno non si può fare rafting mancando le rapide e ciò, da una parte, è un limite perché non attrae chi ama cavalcare le onde con l’imbarcazione e, dall’altra parte, è un vantaggio perché la placidità delle acque consente la pratica del canoing a un gran numero di persone. Allargando lo sguardo si vede che il Biferno, pure prima della captazione delle sorgenti che ha sottratto un quantitativo idrico considerevole al fiume, non è navigabile se non con le canoe e neanche nella sua interezza per via della diga del Liscione. Considerazione a lato è che il Biferno oggi a differenza che nel passato è sempre percepibile in quanto la Bifernina passa costantemente al suo fianco venendo a configurarsi come una sorta di lungofiume; essa assomiglia un po' ad una passerella poiché sopraelevata grazie ai viadotti che, a tratti, sorreggono il piano carrabile. A volte i viadotti vanno da una sponda all’altra per impiantare i piloni sul sedime maggiormente idoneo, non per collegare le rive e così da qui, senza distrarsi dalla guida, si può osservare dall’alto l’alveo fluviale e le eventuali canoe che lo solcano.

I principali problemi dei nostri corsi d’acqua

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Le dighe sono state immaginate anche ai fini della protezione civile, svolgendo esse la funzione di arrestare le piene. La diga di Ripaspaccata che insieme a quella in progetto in località Fossatella servono a proteggere la piana di Venafro sta esaurendo la sua capacità di ritenuta delle acque e di evitare così le inondazioni perché va interrandosi. Le dighe, accanto ai vantaggi indicati hanno degli effetti negativi, dal mancato trasporto solido necessario per il ripascimento delle spiagge alla modifica del microclima delle valli occupate dagli invasi alla riduzione della portata dei corsi d’acqua sotto le dighe garantendo solo il deflusso minimo vitale. Va detto, a proposito delle dighe, che se la ricchezza d’acqua significa la prosperità di un paese essa, però, può anche tradursi in catastrofi come è successo nel gennaio del 2003 con l’allagamento della piana del Biferno. I problemi dei fiumi non sono, comunque, solo quelli legati alle dighe, ma ve ne sono anche altri. Tra questi vi sono quelli prodotti da pesanti interventi di difesa spondale realizzati in passato, l’esempio più vistoso è il torrente Cigno, i quali impongono la redazione di progetti di rinaturalizzazione del corso d’acqua.

Le dighe, che nel Molise abbondano (Chiauci, Arcichiaro, Liscione, Occhito, Castel S. Vincenzo), sono state definite un simbolo della conquista della natura. Infatti le dighe provocano profonde trasformazioni dei fiumi, i quali sono tra le componenti più significative dell’ambiente. I primi invasi della nostra regione sono nati per lo sfruttamento idroelettrico (Rocchetta al Volturno e Castel San Vincenzo); in seguito l’esigenza di costruire dighe è legata all’irrigazione (Occhito e Liscione) a cui si è aggiunto lo scopo potabile tanto che una parte del basso Molise beve oggi l’acqua del lago di Guardialfiera. Per quanto riguarda l’impiego in agricoltura delle riserve idriche accumulate negli invasi non sono state ancora svolte indagini per vedere quali benefici hanno portato le dighe.

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Un diverso problema è quello delle derivazioni d’acqua sia quelle piccole, in genere per l’agricoltura (denominate attingimenti), sia quelle grandi per uso idroelettrico per le quali le concessioni sono pluridecennali. Ciò provoca, da un lato, l’ingabbiamento dell’acqua in stretti canali e, dall’altro, limita il potere della programmazione regionale per la quasi perpetuità delle concessioni.

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È difficile, tenendo conto di queste considerazioni, immaginare una pianificazione in chiave naturalistica del corso d’acqua nonostante il regime proprietario dei fiumi che è demaniale; la continuità della fascia fluviale e la sua appartenenza al patrimonio pubblico permetterebbero di pensare ad ipotesi di parco naturale. I fiumi costituiscono corridoi ecologici per la fauna, rappresentando un elemento di connessione tra gli habitat e così impedendo l’insularizzazione degli ecosistemi. Seppure non è possibile in molti casi prevedere parchi naturali le fasce fluviali vanno sempre vincolate per garantire la difesa del suolo, sia quando il fiume scorre in collina dove causa erosione sia quando solca la pianura per il rischio di esondazione. In assenza di azioni di pianificazione naturalistica un aiuto alla protezione delle aste fluviali viene da norme di salvaguardia emanate dalla Regione di carattere generale, come quelle che tutelano la fauna, in cui sono compresi i pesci, o i boschi, tra i quali è inclusa la vegetazione ripariale. Infine, occorre aggiungere che la tutela si deve estendere dal corso d’acqua al paesaggio circostante. Le vallate fluviali sono attraversate dalle principali arterie stradali e cioè la Bifernina e la Trignina le quali con il loro passaggio attribuiscono una nuova centralità alle pianure prossime ai fiumi. Questi paesaggi sono ormai dominati da capannoni, viadotti e dagli imponenti svincoli

tra i quali primeggia quello di Casacalenda. I fiumi sono stati considerati minacce per l’uomo non solo per le esondazioni (che avvengono in pianura), ma anche per l’erosione che dà luogo alle frane (che avvengono sui rilievi). L’erosione nell’alveo è più forte lì dove ci sono rocce di più debole compattezza, come avviene lungo il corso del Biferno con la creazione dei calanchi, caratteristiche emergenze geomorfologiche del paesaggio molisano. Forse la più pericolosa azione dell’acqua, dal punto di vista della stabilità del territorio, è la formazione di coni di deiezione nel punto di confluenza di corsi d’acqua allo sbocco delle valli; ciò è preoccupante quando vi si installano sopra nuclei abitati (vi è qualche caso nel Molise) perché essi sono soggetti ad elevata sismicità in quanto costituiti da materiale sciolto. Il fiume non è esclusivamente una minaccia, ma anche un elemento di attrazione: sul greto fluviale si fa pesca sportiva, si pratica il birdwatching, si sosta per scampagnate, mentre nell’alveo attivo ci si può fare il bagno e, quando il livello delle acque lo permette, andare in canoa. In molti corsi d’acqua molisani è possibile esercitare queste attività ricreative. Per permettere che anche in futuro possa essere possibile godere dell’ambiente fluviale bisogna adottare una valida politica di salvaguardia.

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Le minacce per l’ambiente fluviale e, di conseguenza, per il suo paesaggio sono molteplici. Come rivelano alcuni grandi frantoi sulle rive si scava la sabbia nell’alveo, anche se va detto che il prelievo oggi è molto minore che nel passato perché è stato limitato riducendolo solo a quello indispensabile per le esigenze idrauliche. Vi sono, inoltre, rischi di inquinamento delle acque legati a scarichi non controllati che è più forte nei mesi estivi quando vi è una riduzione delle portate dei fiumi e, perciò, una minore capacità di diluizione delle sostanze inquinanti. Un danno paesaggistico è sicuramente quello derivante dalle infrastrutture viarie che si sviluppano nei fondovalle del Trigno e del Biferno con, a volte, i piloni impiantati proprio nell’alveo. Altre alterazioni dell’ecosistema fluviale sono costituite dalle canalizzazioni e, in genere, da tutte le opere idrauliche che hanno comportato pure, in molti tratti, la scomparsa della vegetazione spondale

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Il Biferno come aorta del sistema idrografico del Molise

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Il Biferno nasce ai piedi del massiccio carsico del Matese. Qui al di là dei pochi torrenti, i quali poi affluiscono nel nostro fiume, che hanno origine in alto determinando la formazione di conoidi di deiezione su cui sorgono diversi centri abitati (S. Massimo con il vallone delle Coste, Campochiaro con il torrente Valle) l’acqua viene dai bacini idrici sotterranei. La ricchezza d’acqua del Biferno, ora convogliate in parte in Campania, deriva dal fatto che esso è alimentato da questo complesso calcareo. Il Matese ha il ruolo di immagazzinatore di acque che fuoriescono in basso, mentre in montagna le fonti idriche sono limitate ed esse vengono riservate, tradizionalmente, per l’allevamento del bestiame e per la lavorazione dei rinomati latticini della zona la quale richiede abbondanza di acqua corrente. L’assenza di nevicate di quest’anno sul Matese, frutto dei cambiamenti climatici in corso, fa presagire una riduzione delle portate del fiume. Le principali scaturigini del Biferno stanno a Boiano che per la presenza di questa fondamentale risorsa naturale e per la sua ubicazione in pianura (è l’unico insediamento dell’area matesina posto nel piano) ha la vocazione di capoluogo del comprensorio manifestatasi fin dall’epoca sannita. Il Biferno inizia così la sua corsa verso il mare (la quale avviene tutta in territorio molisano) che è celere perché il tragitto è diretto, essendo ortogonale al rilievo montuoso da cui sgorga. A fiancheggiare il percorso fluviale vi sono numerose emergenze geologiche

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le quali, spesso, sono state incluse tra i Siti di Interesse Comunitario. Vi sono ai lati del Biferno grandi massi su cui si ergono torrette di avvistamento (a Baranello e a Oratino) oppure spuntoni rocciosi non scalzati dalla corrente delle acque (es. Morgia dell’Eremita), le quali subitamente emergono nel paesaggio contraddicendo l’andamento dolce delle colline. Ci sono, poi, i calanchi che sono incisioni delle argille (i Calanchi di Castropignano, di Lucito, i Calanchi Manes, ecc.) solcate da piccoli rivi i quali provocano la loro continua erosione. Le pendici argillose retrocedono, così, costantemente; gli smottamenti determinano lamine sottili che separano calanchi vicini. Sui calanchi l’unica vegetazione che si installa è si tipo arbustivo e ciò li rende luoghi inospitali. La sterilità del suolo che forma i calanchi impedisce l’utilizzazione agricola, ma li trasforma in ambiti interessanti dal punto di vista ambientale perché la natura è indisturbata. Il colore grigiastro dei calanchi è simile a quello delle zone a frana. 

Il dissesto idrogeologico preoccupa più per la viabilità che per gli insediamenti abitativi; il movimento franoso più grave è quello di località Covatta che ha costretto l’interruzione per lungo tempo della Bifernina. Le frane alla stessa maniera dei calanchi e delle rocce calcaree isolate possono essere considerate segni paesaggistici tipici. Un altro fatto significativo della vallata del Biferno è la ricchezza del patrimonio boschivo, ridotto in parte dallo spaventoso incendio dell’estate dell’88. In alcuni pezzi, come tra Petrella e Lucito, la superficie boschiva interessa le sponde del corso d’acqua integrandosi la boscaglia ripariale con la vegetazione arborea che ricopre il versante. In altri tratti la presenza di alberi è limitata alla fascia ripariale e ciò avviene principalmente negli ambiti di pianura dove l’attività agricola intensiva ha eliminato le antiche distese boschive: è esemplare quello che è accaduto al Bosco Tanasso del quale oggi è rimasto solo il toponimo. Siamo già a valle della diga del Liscione dalla quale l’acqua del Biferno esce spurgata del trasporto solido che si deposita nel fondo dell’invaso.

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fondovalle del Biferno

Un altro fattore di turbamento dell’ambiente fluviale è stato la costruzione della fondovalle negli anni ’70. In precedenza erano poche le opere realizzate nell’alveo perché i ponti erano rari, privilegiando la viabilità i crinali (le due strade statali storiche, la Sannitica e l’Adriatica, passano sulle dorsali che delimitano la valle del Biferno ai due opposti lati) dove non c’è necessità di realizzare ponti. Siamo ormai in prossimità della costa: prima di inoltrarsi in questa pianura il Biferno accoglie il Cigno, che è il suo ultimo affluente, e proprio alla loro confluenza si hanno i più frequenti straripamenti. L’evento alluvionale più disastroso è stato sicuramente quello del gennaio 2003 il quale ha rischiato di provocare danni ad alcune importanti fabbriche chimiche installate nel nucleo industriale di Rivolta del Re. Nella zona litoranea il Biferno, ormai rettificato, appare alla stregua di uno dei tanti canali artificiali voluti per favorire lo sviluppo dell’agricoltura nei quali è deviata parzialmente l’acqua del fiume. Dalla fine del XIX secolo si è iniziata una grande azione di bonifica con il prosciugamento di quest’area un tempo

 Il fiume non sedimenta più nella vasta piana costiera che è formata da materiale alluvionale; alla stessa maniera i meandri, i quali sono la prova più evidente del processo di sedimentazione, hanno perso la loro funzione originaria per cui, con il cosiddetto «progetto Biggiero», si è tentato di rettificare le anse fluviali. La diga, pertanto, ha avuto conseguenze non solo sull’aspetto paesaggistico dell’area o sul clima, l’acqua immagazzinata nell’invaso fungendo da moderatore climatico, ma pure sulla dinamica del fiume.

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acquitrinosa a causa dell’impaludamento del Biferno. Vennero realizzati alcuni impianti idrovori per il sollevamento delle acque basse che non sono solo quelle del fiume Biferno, ma anche quelle di diversi corsi d’acqua minori che sfociano direttamente a mare (Sinarca, Rio Salso, Rio Vivo e così via) senza costituire affluenti del primo che, è privo di significativi rami secondari se si eccettuano il torrente Cervaro, il Rio Maio, il Quirino e il Callora.

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La qualità dell’ambiente per la qualità delle acque

È necessario proteggere le sorgenti che scaturiscono dalla montagna del Matese, tra le quali le principali sono quelle del Biferno in quanto da esse vengono alimentati acquedotti tanto molisani che campani. L’impegno deve essere quello di garantire la qualità di quest’acqua preservando la montagna dai rischi di inquinamento e ciò al fine di fornire disponibilità idriche qualitativamente elevate per i vari usi tanto nel territorio regionale che nelle zone contermini. Un’acqua “sana”, infatti, permette la conservazione dell’ecosistema del fiume se, di certo, viene assicurato contestualmente il “minimo deflusso vitale” stabilito per legge (1 metro cubo al secondo per il Biferno); tenuto conto delle particolari caratteristiche del comparto industriale molisano dove è forte il settore alimentare, l’acqua deve essere di qualità perché essa viene incorporata nei prodotti alimentari o, comunque, viene in contatto con questi durante le varie fasi del ciclo produttivo.

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dalle quali devono differire solo perché non vengono imbottigliate, ma escono direttamente dal rubinetto di casa. Raggiungere questo traguardo significa prevenire qualsiasi forma di inquinamento della montagna, le quali prima o poi si traducono in inquinamento delle acque sia superficiali che sotterranee. Le possibili fonti di inquinamento possono essere distinte in puntuali (la presenza della stazione sciistica di Campitello e l’abitato di Civita Superiore) e diffuse; tra queste ultime distinguiamo gli inquinamenti biologici (gli allevamenti) e quelli chimici (fertilizzanti agricoli e sale antigelo sulle strade di montagna). Il problema dell’inquinamento per le acque sotterranee come sono queste carsiche (il Matese è interamente carsico) riveste una particolare gravità (per la difficoltà di risanamento una volta inquinate dati i lunghi tempi di ricambio dovuti ai meccanismi di circolazione delle acque nel sottosuolo) e perciò è necessario il massimo sforzo nella prevenzione dall’inquinamento. Il mantenimento dei livelli

Anche la nostra agricoltura, almeno quella che si va indirizzando verso le produzioni biologiche, ha bisogno di acqua di irrigazione priva di organismi patogeni nocivi per la salute umana e ciò è valido in particolare per le verdure e gli ortaggi da mangiare crudi piuttosto che per le colture arboree e per il grano. Per quanto riguarda l’acqua da bere essa non deve essere solo potabile, ma deve essere anche gradevole, trasparente e senza torpidità ed, in effetti, l’acqua del Matese già lo è: tutte le acque che scaturiscono da questa montagna carsica e non solo le acque minerali (di Castelpizzuto e di Sepino). L’ambizione deve essere quella di rendere tutte le acque del Matese appetibili per il consumatore alla stregua delle acque minerali

Biferno

qualitativi attuali delle acque del Matese comporta pertanto la tutela di questa montagna. Ciò è possibile dando attuazione ai principi della “Carta europea dell’acqua”. 

Si tratta di un documento approvato dal Consiglio d’Europa nel 1968 che costituisce una “raccomandazione” per gli Stati membri, non tenuta sempre presente nelle politiche di utilizzazione delle risorse idriche. Seppure sono trascorsi oltre 40 anni dal varo di questo importante documento, esso, poiché non è ancora pienamente attuato, rimane di grande attualità. Occorre basare l’azione di valorizzazione del patrimonio idrico agli indirizzi fondamentali sanciti in questa Carta mettendo a punto efficaci strategie di salvaguardia di questo bene, in linea con le finalità della Carta europea dell’acqua. A cominciare dal punto in cui la Carta sottolinea che “la salvaguardia dell’acqua implica uno sforzo importante di ricerca” quindi con studi di settore.

Santa Maria del Molise

Un altro punto al quale si deve dare risposta è quello che recita: «le risorse idriche devono formare oggetto di inventario»; è indispensabile una ricognizione delle maggiori sorgenti presenti nell’area del Matese. È fondamentale il punto della Carta nel quale viene espressa la considerazione che «alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri viventi». Per raggiungere l’obiettivo della tutela la Carta indica la necessità della «conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale» poiché essa «è essenziale per la conservazione delle risorse idriche». Pertanto salvaguardare il manto boscoso del Matese ed effettuare interventi di restauro ambientale diventa un obiettivo primario che obbliga oltre che a definire norme per la conservazione dell’ambiente anche a promuovere lavori di riqualificazione. Per quanto riguarda quest’ultimo punto il quale richiede l’investimento di ingenti risorse finanziarie tanto per la compensazione delle misure di limitazione delle attività antropiche nel bacino di alimentazione delle sorgenti, cioè nel comprensorio matesino, quanto per l’esecuzione di opere di presidio ambientale, è necessario lo sforzo congiunto delle varie collettività che si debbono approvvigionare di quest’acqua la quale, secondo quanto riconosce la Carta « è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti ».

Le prospettive turistiche dei fiumi e non solo

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Non sono mai state pubblicate monografie sul Biferno né su altri fiumi molisani, neanche documentari dedicati o non so che per pubblicizzare le bellezze di alcuno dei corsi d’acqua nostrani. Le pubblicazioni servirebbero a far innamorare le persone di queste preziose presenze nel paesaggio del Molise. Se ci si appassiona di un luogo ci si adopera a mantenerlo integro. Attraverso la fotografia, la pittura, la letteratura e anche il mezzo cinematografico si riesce ad incrementare l’interesse della popolazione verso tali significative componenti naturalistiche le quali vanno tutelate e valorizzate. La loro valorizzazione potrebbe stimolare la nascita di un turismo per così dire fluviale, cosa che è presente al Nord della Penisola e che da noi appare molto al di là da venire. Per via della Bifernina che gli passa accanto il Biferno viene occasionalmente frequentato, in passato

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anche da bagnanti vedi la spiaggetta di Bivaro in comune di Oratino. Sono sempre visite giornaliere, non dei soggiorni con pernottamento, magari in qualche struttura ricettiva presente sulle sue rive, prendi l’antico albergo Buongusto sorti, alla stregua dei motel, principalmente per offrire ospitalità notturna ai viaggiatori che percorrono la principale arteria di comunicazione della regione. Non mancano, invece, ristoranti a lato del

Biferno molto apprezzati, dotati peraltro di aree ricreazionali attrezzate vicino alla corrente fluviale, si cita a questo proposito la struttura ristorativa de La Piana dei Mulini. Le attività ristorative, pure quelle presenti nel fondovalle fluviale non servono, comunque, a tavola pesci pescati nel Biferno, bensì provenienti da impianti di acquacoltura, il quantitativo ittico prelevabile dal fiume sarebbe insufficiente e, peraltro, mancano pescatori professionisti, ci si dedica alla pesca esclusivamente per hobby. È ovvio che una gita sul Biferno non permette di conoscere tale componente paesaggistica nella sua interezza, si riesca a coglierne qualche frammento. È vero anche che le specie vegetali presenti sulle rive sono uguali in tutta la sua lunghezza; si tratta di un’associazione floristica denominata nel programma europeo Natura 2000 Galleria di Salici e Pioppi e costituisce un classico esempio di vegetazione azonale.

Nel Basso Molise dove in agricoltura predomina l’orientamento monocolturale gli unici lembi di naturalità sono relegati sulle sponde delle aste fluviali le quali assolvono al ruolo di corridoio ecologico. Nel Medio Molise il Biferno è stato oggetto di una proposta di area protetta che poi non ha trovato attuazione coincidente con la fascia spondale dello stesso, rientrante nella classificazione dei parchi lineari, una fattispecie di parco particolare che si addice bene anche ai tratturi strisce di terreno di un certo spessore, estese e continue proprio come un fiume.

Con maggiore frequenza di una pista tratturale i fiumi, però, nel loro svolgimento sono caratterizzati da momenti singolari. Li citiamo a caso, senza seguire un ordine preciso sia in riguardo al segmento interessato del sistema fluviale sia alla ragione della singolarità. Incominciamo dal corso d’acqua posto alla latitudine superiore, il Sangro il quale all’altezza di S. Pietro Avellana venne rettificato e tale operazione, il taglio dell’ansa fluviale ha comportato che un pezzettino di suolo molisano ricompreso nella golena si trovi ora al fianco del fiume che per il resto è territorio

abruzzese; il bosco planiziale che ricade nell’ex area golenale avente il toponimo estremamente significativo oltre che evocativo di Isola di Fonte della Luna è una superficie boscata igrofila, cioè gli alberi hanno i piedi nell’acqua, e ciò lo ha fatto designare quale Riserva Naturale. Una rettificazione dell’asse ha subito pure il Biferno nelle immediate vicinanze dello stabilimento ex Fiat per permettere il rapido deflusso, il fiume va più veloce se segue una linea retta, ed evitare così l’inondazione della zona industriale. Sempre per fronteggiare le piene e sempre sul

Biferno, adesso in corrispondenza di Busso alcuni decenni fa fu costruito un ponte in cui il piano carrabile ha le arcate di sostegno invece che sotto sopra, quindi è un antesignano dei ponti sospesi e ciò, cioè l’assenza di pile è per facilitare il defluire delle acque. Il Volturno nella piana di Venafro presenta un’eccezionalità che è rappresentata dalla zona umida delle Mortine un tempo riserva reale di caccia e ora, al contrario, naturalistica per la ricchezza di selvaggina. Costituiscono di certo dei punti eccezionali le foci dove è pronosticabile, a seguito dei cambiamenti climatici che porteranno per via dello scioglimento dei ghiacciai all’aumento del livello del mare, l’ingresso di acqua marina nel tratto finale dei fiumi.

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Costituiscono discontinuità nell’andamento dei corsi fluviali gli innesti degli affluenti. All’incontro con i tributari avviene evidentemente il mutamento del regime della corrente del fiume in cui sversano. Le aste secondarie trasformano l’asta principale. Ci soffermiamo sul deposito solido nel letto fluviale che si modifica oltre ad accrescersi, in relazione ai suoli che il corso d’acqua incontra nel suo incedere verso la foce, trascinando particelle sottratte ai versanti posti lungo il suo percorso, ma cambia pure a causa dei detriti trasportati dagli affluenti.

confluenza Callora-Biferno

La varietà dei materiali, pietrosi e terrosi, portati con sé è riscontrabile nelle piastrelle a base cementizia realizzate un tempo da diverse industrie del settore ceramico, vedi quella della fabbrica Marmi Rossi sul Trigno, i granigliati per pavimentazione fatti con inerti fluviali. L’intersezione con gli affluenti determina la formazione di parcelle di terreno pianeggiante a seguito dell’accumulo degli inerti scivolati a valle depositati dai torrenti, le quali sono di dimensione sufficiente, spesso, a permettere la creazione di Piani di Insediamenti Produttivi come quelli di Fossalto, Castellino sul Biferno, ecc.. È una localizzazione ottimale tanto per la morfologia piatta quanto per la contiguità con la strada di fondovalle.

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I fiumi visti per tratti

Dire che ogni fiume ha una specifica personalità non significa dire che il fiume sia uguale in tutto il suo corso, la sua personalità può essere anche l’avere una molteplicità di facce proprio come una persona. Prendi il Trigno che si fa sottile per poter passare nella gola di Chiauci, non lo fa più da quando c’è la diga, e diventa, il suo alveo, ampio quando, dopo l’innesto del Verrino, raggiunge la pianura. È questo un carattere comune alle aste fluviali quello di essere stretto nelle zone montuose e largo nelle aree pianeggianti, non è una peculiarità del Trigno, non è un aspetto saliente della sua fisionomia.

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Piuttosto è un connotato distintivo del Biferno il quale nasce nel piano l’assenza del segmento, evidentemente quello iniziale, montano. Il Trigno e il Biferno condividono da un dato momento in poi, il quale per il primo è la località Spondasino in cui incontra il Verrino e per il secondo sta all’altezza di Colledanchise quando lascia la conca matesina in cui nasce, un certo modo di fare che è il progressivo allargamento del letto che va di pari passo con l’allargamento della valle che li ospita il quale è in ambedue i bacini idrografici graduale. In verità non è esattamente così per il Biferno il quale ha  un

incedere sincopato dovendo d’improvviso restringersi per superare la strettoia di Ponte Liscione e poi ridistendersi con il suo inoltro nel piatto comprensorio del Basso Molise. Non è una questione di primati da battere la lunghezza del corpo idrico, il Trigno è più lungo del Biferno, la loro estensione sarebbe in fin dei conti rapportabile se si considera solamente il fondovalle, il fondo della valle e non ciò che c’è prima di esso ovvero il pezzo in pendenza che solca un corso d’acqua nella sua fase giovanile perché il Biferno non ce l’ha.

Lo sviluppo lineare di un fiume, lo si ribadisce, non è una faccenda di orgoglio, magari per gli abitanti di quei comuni attraversati da esso, è, comunque un connotato davvero significativo in quanto ci dice della pluralità degli ambienti nei quali si immerge, stiamo parlando di acque, si, in qualche modo, immedesima, si fonde rappresentando, peraltro, di questi ambienti un elemento costitutivo forte, se non decisivo; è da ricordare che la diversità in campo naturalistico è una ricchezza, la famosa biodiversità, per cui in quanti più contesti ambientali differenti si imbatte tanto più il fiume è qualitativamente rilevante. Qualità ecologica e percettiva nel medesimo tempo, accrescendosi i valori visivi quando si è in presenza di varietà.

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È difficile ricondurre, per ritornare al tema iniziale, a definite tipologie i corsi d’acqua, cosa che viene complicata dal grandissimo numero di corsi d’acqua presenti qui da noi; tale quantità così elevata, peraltro, ne fa un carattere distintivo della regione. Un diverso motivo di distinzione fra i fiumi è costituito dalla frequenza degli opifici che ne sfruttano l’energia idraulica costellandone i percorsi e per questo aspetto il Biferno ha il primato.

Siamo arrivati al tema del paesaggio quasi incidentalmente, ma è semplice apparenza perché la lettura paesaggistica è fondamentale nell’approccio di una componente ambientale che comunica pure bellezza come sono i fiumi. Questa regione presenta una notevole articolazione, sarebbe meglio affermare disarticolazione, delle valenze panoramiche a motivo del succedersi in breve spazio, meno di 100 chilometri, configurazioni territoriali estremamente diversificate, dalla catena appenninica ai rilievi collinari alla vasta superficie pianeggiante costiera. Le metamorfosi che compiono i fiumi, in particolare il Trigno che viene dall’alto, dal distretto per l'appunto altomolisano, le scaturigini del Biferno, invece, sono in basse, e quindi ha anche una porzione in altura, sono in dipendenza delle trasformazioni che si colgono nel paesaggio molisano spostandosi dai monti alla fascia litoranea.

Nelle vedute che ricomprendono la pianura bassomolisana i fiumi, entrambi, sono la componente dominante dei panorami, mentre, è la situazione opposta ed è relativa al solo Trigno, il corso d’acqua sembra volersi nascondere alla vista tra i boschi dell’Altissimo Molise, si sta pensando a Collemeluccio in cui il Trigno si insinua. Paesaggio e fiume, in definitiva, sono strettamente interrelati tra loro. Finora abbiamo osservato il fiume seguendo la sua sezione longitudinale quale filo conduttore degli insiemi geografici che ripartiscono la nostra terra, ora passiamo a vedere cosa succede nella sua sezione trasversale muovendo dal suo incipit alla sua fine. Il fiume man mano si ingrandisce per accogliere nel suo letto i corpi idrici minori che vi confluiscono nel suo procedere verso il mare; nel caso delle piene occorre sostituire ai verbi ingrandire e procedere rispettivamente

ingrossare e correre con due specificazioni, l’una che può essere interessato all’evento di piena il fiume da un definito tratto in poi in quanto conseguenza della piena di un tributario, dentro Boiano il Biferno non si gonfia, la portata delle sorgenti è costante, l’altra è che le piene degli affluenti in un fiume dal “profilo” molto allungato possono verificarsi in periodi differenti, non tutti contemporaneamente mettiamo in montagna allo scioglimento delle nevi, vale per il Trigno, in altre stagioni nel Medio Molise.

ponte del Rio Bojano

Anomalie nella rete fluviale

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I corsi d‘acqua non sono una categoria del tutto omogenea. Ci sono differenziazioni fra loro, qui illustriamo le eccezioni rispetto al modello ideale di fiume che ricorre nella manualistica e, pure, nel modo di sentire comune avvertendo che l’ordine che si seguirà nell’esposizione è abbastanza casuale. Il primo caso è quello del torrente Callora. Esso è un corpo idrico che nasce assai in alto, sul Matese. Un apporto significativo lo riceve prima di arrivare a valle dal Rio. Quest’ultimo trascina con sé i detriti di roccia sgretolata dai cicli di gelo-disgelo scivolati dal circo glaciale denominato Fontanone e passati attraverso lo Scaricaturo, una stretta gola fra Forca di Cane e i Campanarielli, tutti nomi mitici un tempo per i pastori e ora per gli escursionisti, e li conferisce al Callora.

Essi una volta giunti nel piano, persa velocità la corrente del torrente e quindi capacità di trasporto si depositano sul suo letto innalzando sempre più il fondo dello stesso. L’acqua continua a scorrere sotto questo materasso di inerti di consistente spessore riaffiorando solo nel punto in cui il Callora si innesta nel Rio Bottone. In effetti, nei momenti di maggiore portata l’acqua riemerge sulla superficie di questo spesso strato di ciottoli divenuto ormai saturo. Per quanto riguarda i ciottoli, siamo al cospetto di sassi di piccolo taglio, sassolini, in quanto quelli più grandi il torrente, data la sua minore energia idraulica una pianura, non è in grado di spingerli oltre. Non c’è, però, il pericolo di inondazione perché l’alveo risulta assai incassato.

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Non ci allontaniamo molto da questo rio in quanto rimaniamo nell’agro di Boiano per parlare di una diversa tipologia di corpo idrico, quella dello “scolmatore di piena”. Al fine di evitare che i corsi d’acqua, minimi, che scendono dal versante matesino sovrastante l’abitato di Boiano nel 1980 si decise di dirottarli, il Fosso di S. Vito e il Ravone, dopo averli intercettati con un “canale di gronda”, in un, adesso, canalone all’esterno dell’area urbanizzata di sezione costante avente forma trapezoidale con setti cementizi. Un’opera che ha, di certo, una notevole incidenza sul contesto paesaggistico e che, però, si va rinaturalizzando a causa della crescita di vegetazione spontanea al suo interno. Se ciò è un bene dal punto di vista percettivo nello stesso tempo è un male dal punto di vista della sicurezza poiché inficia la sua funzionalità provocando le piante l’ostruzione del deflusso idrico.

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È da notare che così facendo questa asta fluviale si trova a cambiare non unicamente regione amministrativa ma anche climatica passando da quella a clima Continentale che contrassegna l’ambito molisano a quella Mediterranea che, invece, distingue la Campania. Nella prima, in buona sintesi, le stagioni si riducono a due, una calda e una fredda, mentre nella seconda si hanno le classiche quattro stagioni e ciò non può non avere conseguenze sulla piovosità e, a cascata, sul livello delle acque in un fiume. Si premette che quanto stiamo per dire a proposito del Volturno sono semplici curiosità, è arduo specularci sopra per scoprire le ragioni di queste peculiarità del Volturno. Iniziamo con l’osservare che esso va in direzione sud, non si ha conoscenza di fiumi che per sfociare seguono la direttrice nord per cui tale orientamento appare “naturale” ovvero normale. Il Volturno vuole proprio stupirci e in effetti ci riesce anche

mediante il dissentire dal comportamento ordinario dei fiumi appenninici i quali se hanno origine nel lato adriatico dell’Appennino vanno nell’Adriatico e viceversa; il Biferno che sgorga dal Matese, Appennino Meridionale, va correttamente verso l’Adriatico, al contrario il Volturno che viene dal fianco delle Mainarde, Appennino Centrale, che volge verso l’Adriatico si riversa, sorprendentemente, nel Tirreno. Un atteggiamento difforme nel sistema idrografico regionale, è l’ultimo caso eretico che vediamo, lo hanno i corpi idrici della fascia costiera. La logica generale che è quella di avere i corsi d’acqua organizzati gerarchicamente viene contraddetta dai rivi costieri i quali non appartengono ai bacini idrici principali, il trignino, il bifernino, ecc. ma si buttano direttamente al mare, senza alcuna intermediazione (il Mergolo, il Tecchio, il Sinarca per citarne alcuni).

Il lago di Castel San Vincenzo e l'orso

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L’Italia è tra i Paesi europei maggiormente avanzati quello in cui è più numerosa la popolazione dei grandi carnivori. Orsi e lupi frequentano anche l’Appennino dove, nei confini del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, vi è l’orso marsicano, l’unico orso di origine propriamente italica. Esso si distingue dagli altri orsi presenti in Europa, comprese le Alpi, per la sua taglia ridotta e i lineamenti particolari del cranio, caratteristiche fisiche che lo rendono ben riconoscibile. Tra i primi ad interessarsi di questa varietà di orso vi fu il dott. Altobello di Campobasso, allora, siamo nel 1921, provincia di Abruzzo e Molise.

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Oggi è un animale in pericolo di estinzione perché il numero di esemplari si è ridotto a 50, quantità di individui che è ritenuta dagli studiosi la soglia minima al di sotto della quale è a rischio la sua sopravvivenza. Tra i problemi di conservazione vi sono quelli legati all’indole di alcuni individui. L’orso marsicano stenta ad essere accettato dalle comunità che vivono in questa area protetta a causa di alcuni esemplari cosiddetti problematici i quali provocano danni alle colture e cercano di predare nei pollai; vi sono, poi, quelli cosiddetti confidenti perché familiarizzano con l’uomo avvicinandosi ai centri abitati.

Per individuare le misure più opportune per garantire la permanenza di questo animale nel parco è stato redatto il Piano d’Azione per la conservazione dell’orso bruno marsicano (Patom) nel quale sono stati coinvolti il Ministero dell’Ambiente, l’ente Parco, le Regioni e l’Ispra. Il progetto Pizzone II si dovrà confrontare con la problematica di primaria importanza della salvaguardia di questa razza ovvero sottorazza che può essere assunta quale emblema, specie bandiera della biodiversità vista la sua rarità assoluta, tenendo conto delle indicazioni contenute in tale piano. Non è trattato come tema

a sé e però è un problema che esiste e allora proviamo a farlo qui: esso è quello che oltre all’orso confidente esiste pure l’uomo confidente. L’orso marsicano per la sua piccola taglia, inferiore a quella dell’orso bruno alpino, può suscitare sentimenti di tenerezza il che rende gli umani poco prudenti nei rapporti con questa specie selvatica. L’orso, in vero l’orsetto sentito come una sorta di animale d’affezione. A denunciare l’esistenza di tale atteggiamento sono le immagini delle incursioni di esemplari di orso, in particolare se è un’orsa con i suoi “cuccioli”, nei centri abitati riprese da videomaker, per così dire, casalinghi incuriositi più che preoccupati dagli avvicinamenti

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alle proprie case di queste bestie tanto da indurre, recentemente, le autorità ad invitare i cittadini di quei borghi a una minore esposizione al loro passaggio per evitare il pericolo di aggressione. L’orso non deve prendere confidenza con gli esseri umani. Non è stato sempre così, questa dimestichezza è una cosa dei tempi moderni. In qualche momento della storia recente, non più in là di un secolo, si è affermata la moda dei giocattoli zoomorfi, una spiegazione davvero esauriente di ciò davvero non c’è; in precedenza, e da tantissimo tempo, esisteva solo la bambola, tra l’altro un oggetto destinato esclusivamente al gioco delle bambine.

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Nel vasto repertorio faunistico in tale grande zoo di gommapiuma ad essere comparso per primo è proprio l’orsacchiotto di peluche il quale per moltissimi di noi è stato un compagno assai amato, lo si porta pure a letto con sé, lo si abbraccia soffice com’è. Più tardi si sono aggiunti la giraffa, il cane, ecc. ma l’orso quale pupazzo morbido cui fare le coccole rimane il preferito. La competizione maggiore, magari, è con il panda il quale, comunque, è un urside. Come fosse un cuscino il “manichino” a forma di orso lo troviamo nelle camere da letto, nelle stanze da gioco dei piccoli in tutte le abitazioni. Le figure zoologiche la fanno da padrona pure nei cartoni animati e nei fumetti e l’orso è spesso il protagonista dei cartoon. Tra gli audiovisivi di animazione seguitissimi da generazioni di persone in giovanissima età che hanno quale oggetto le avventure di un orso vi è la serie televisiva dell’Orso Yoghi con il suo inseparabile amico Bubu e in seguito un successo strepitoso lo ha riscosso, e lo riscuote ancora Winnie the Pooh.

L’orso sembra non suscitare più timore e ciò rischia di far assumere comportamenti sbagliati verso il “re della foresta”, il carnivoro, oltre che il mammifero più grande d’Europa invogliando quest’ultimo a prendere familiarità con l’ambiente antropico il che porta l’animale, in cerca di cibo, a frequentare financo i villaggi. È crudele dirlo e però non si deve essere amichevoli con l’orso, ne va della sua salvezza. L’altra tematica che dovrà affrontare l’intervento è quello della preservazione il più possibile dell’immagine del lago di Castelsanvincenzo il quale seppure un bacino artificiale costituisce un’attrattiva naturale. I bacini lacustri sono sempre elemento paesaggistico di grande rilevanza. Ad essi si associa una visione, per via delle sue acque calme, di tranquillità, una sensazione di mitezza che è alla base della seduzione che esercitano; la variabilità di quota dell’invasamento prevista nella progettazione produce uno sconvolgimento di questi effetti, ne a dire che vi sono altri laghi montani, prendi quello di Civitanova, che arrivano a prosciugarsi totalmente durante l’anno.

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Se c’è una cosa che hanno in comune i laghetti di origine carsica con invasi come quello di Castelsanvincenzo è il fatto che non c’è niente da pescare in entrambi perché in quanto a conformazione sono assai differenti fra loro, i primi, quelli dovuti al carsismo, sono in genere di forma circolare essendo doline che si riempiono d’acqua, mentre gli altri sono di forma allungata assecondando quella della valle che li ospita. Va sottolineato che, ad ogni modo, nonostante la sua artificialità il lago di Castelsanvincenzo è ormai entrato stabilmente nell’immaginario collettivo.

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Il paesaggio lacustre

Il lago del Liscione e quello di Occhito sono delle presenze importanti nel territorio molisano e ciò nonostante sono dei “beni” poco considerati, alla stregua di semplici, seppure enormi, serbatoi d’acqua funzionali alle attività agricole (e non più a uso potabile il Liscione da quando Termoli è servita dall’Acquedotto Molisano Centrale).

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Sono, invece, risorse notevoli, non sono dei “vuoti”, dei “buchi neri” nel contesto territoriale regionale. Alla stessa maniera di altri luoghi non “occupati” dalle attività antropiche, dalle fasce sommitali dell’Appennino, le cime del Matese e delle Mainarde, alle rocce, le morge del Parco delle Morge, alle dune, nella costa di Petacciato, sono decisivi nel determinare l’identità della regione. Gli invasi svolgono un ruolo importante nell’ecosistema. I bacini idrici nonostante siano artificiali hanno saputo conquistarsi un posto importante nel sistema ecologico diventando addirittura essenziali per gli uccelli migratori che vi sostano per abbeverarsi tanto da portare al loro riconoscimento quali Zone di Protezione Speciale nella Rete Ecologica Europea.

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Gli invasi, dunque, producono benefici e nello stesso tempo sono in grado di fungere, lo si è provato in passato, da volano per lo sviluppo di comprensori in cui sono inseriti, si sta pensando al turismo. Nella nostra terra l’interesse turistico, per quanto riguarda le aree naturali, è rivolto verso il mare, le montagne, le superfici boscate e meno verso i laghi, è quasi nullo quello verso i fiumi. A costo di smentire quanto appena detto è lungo le aste fluviali, del Volturno e del Biferno, che si è andata affermando la pratica del canoismo mentre negli specchi lacustri per ragioni legate alla sicurezza che limitano l’agibilità alle barche non hanno preso piede gli sport acquatici a vela. Eppure sono stati previsti allo scopo gli attracchi per le imbarcazioni e le cabine per il loro rimessaggio, i primi mobili per assecondare l’escursione del livello del lago che nel Liscione è più sensibile che ad Occhito. Erano stati pianificati approdi su entrambi i lati, s’intende quelli lunghi, dell’invaso del Liscione per ricomprendere in questa azione, la navigazione del lago, anche il comune di Larino effettuando una specie di forzatura poiché da questo centro è difficile scendere al lago. Si voleva a tutti i costi che fosse un’iniziativa di scala comprensoriale e in tale modo rendere il bacino uno spazio condiviso, fatto che avrebbe rafforzato la coesione tra le comunità dirimpettaie. Del resto è nelle cose questo spirito comunitario,

il lago diviene il perno delle proposte di programmazione che coinvolgono tutti i comuni circostanti ad esso. La sopravvenuta presenza lacustre dà una nuova visione di tale ambito, stravolge l’originario senso dei luoghi attribuendo una diversa significatività agli stessi. È segnato, in definitiva, un destino comune a tutti i borghi che stanno intorno. Non è immaginabile un domani distinto e separato, a sé stante per alcuno di questi. Ogni prospettiva futura, di sicuro, ruota intorno a questo forte segno paesaggistico. Niente è come prima, qualsiasi scorcio panoramico ormai è dominato dall’invaso idrico, la sua immagine è pervasiva. L’invaso condiziona le prospettive di crescita dell’economia locale le quali non possono non coinvolgere l’insieme delle entità comunali fronteggianti lo specchio d’acqua. Allargando lo sguardo, estendendo la visione dai distretti circumlacuali alla conformazione regionale nella sua interezza riscontriamo che i bacini idrici, la loro comparsa, contribuiscono ad aumentare la complessità del territorio molisano il quale è già caratterizzato da una notevole varietà delle sue componenti, dai boschi ai monti ai rilievi collinari alla costa alle pianure interne: essi influiscono non esclusivamente sulla singola unità sub-regionale o sub-interregionale, nel caso di Occhito, bensì incidono sulla totalità dell’assetto paesaggistico del Molise in quanto “segni” di grande dimensione.

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È consentito parlare di un Molise montano, di uno collinare, di uno costiero e così via fino al Molise lacustre. L’invaso di Guardialfiera a proposito dell’incidenza sul paesaggio regionale preso nella sua totalità essendo capace di mettere in rapporto fra loro le diverse zone in cui si articola, fa da cerniera tra il Molise centrale e il basso Molise, un autentico punto di snodo fra queste due distinte realtà. Non si cambia argomento, il tema rimane sempre quello dei laghi ma ora si ricomprendono in esso anche gli specchi d’acqua minori i quali hanno in comune con quelli maggiori il fatto di essere frutto di analogo intervento antropico, quello dello sbarramento del flusso idrico che porta all’invasamento del corso d’acqua. Essi sono l’invaso della diga di Chiauci, quello della diga dell’Arcichiaro e il lago di San Vincenzo al Volturno. Si differenziano fra loro perché lo sbarramento di Chiauci è su uno dei primari fiumi molisani, il Trigno, Arcichiaro è su un affluente del Biferno mentre S. Vincenzo è su un affluente di affluente per dirlo sinteticamente. Li accomuna essere tutti e tre posti nell’alto corso del percorso degli assi fluviali e, dunque, senza eccezioni essi sono collocati in circondari montani.

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Arcichiaro e S. Vincenzo è come se fossero incastonati in massicci montuosi, il primo in quello matesino il secondo nelle Mainarde e ciò, l’essere cinti dalle vette appenniniche, ne fa dei veri e propri gioielli paesaggistici. Le tipologie di dighe sono tante e tra queste ci sta quello degli sbarramenti inutilizzati, ne abbiamo una a Campolattaro appena fuori dal Molise, uno spreco di denaro per la costruzione del manufatto diga e uno spreco di suolo perché i terreni che dovevano essere invasati sono rimasti in abbandono. Infine, abbiamo avuto invasi temporanei come quello originato da una frana innescata dal terribile terremoto del 1456 che formò una specie di diga in terra sul Biferno in agro di Colledanchise con le acque che inabissarono Boiano.

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Il Lago di Guardialfiera

L’attraversamento del lago, poi, costituisce un’autentica esperienza immersiva. Ben altra situazione è quella che si verifica lungo il Trigno dove la Trignina pur se anch’essa definita fondovalle non lo è dall’inizio alla fine perché nell’Alto Molise si distacca dal corpo idrico, lo segue a distanza, privilegiando la rettilineità alla vicinanza con il fiume il quale qui si incurva e ciò avrebbe comportato la curvilineità dell’asse stradale. Il Biferno è diritto per l’intero percorso e perciò può essere affiancato da una strada veloce, velocità consentita dall’essere geometricamente una retta. Se, poi, ci soffermiamo sul lago l’oggetto del nostro discorso, vediamo che tale legame con il fondo della valle, la Bifernina è una vera e propria fondovalle, si fa ancora più stretto, la strada con i piloni dei viadotti che affondano

La diga del Liscione è tante cose insieme delle quali una è l’essere una delle principali attrazioni paesaggistiche della regione. Più degli altri invasi regionali, Chiauci e Guardiaregia, e interregionali, uno solo, Occhito che è in condivisione con la Puglia, e ciò perché sta in un punto strategico del territorio molisano, è quasi nel baricentro, e nello stesso tempo perché è ben visibile dalla Bifernina, la maggiore arteria viaria del Molise. Quest’asse di grande comunicazione corre appaiato al Biferno e conseguentemente al lago con il quale è in perfetta osmosi, peraltro sono coetanei, e di questo parleremo fra un po'; costituisce una sorta di ballatoio essendo a tratti un percorso pensile da cui osservare il fiume ed, è ovvio, anche il bacino lacustre.

nello specchio d’acqua forse proprio nel letto inabissato del fiume; tale integrazione tra manufatto viario e bacino lacustre è una rarità in Italia, vi sono solo altre 5 realtà simili. Passare in mezzo alla distesa acquosa è davvero un momento speciale reso ancora più interessante dalla sinuosità del viadotto. In definitiva, il lago del Liscione è un elemento di pregio del nostro paesaggio e ciò nonostante che sia artificiale. L’artificialità, peraltro, non impedisce che all’invaso in questione vengano riconosciute valenze naturalistiche notevoli da parte degli organismi comunitari che lo hanno incluso nel programma Natura 2000. Il bacino di Guardialfiera è stato designato quale Zona di Protezione Speciale perché punto di sosta dell’avifauna migratrice. Si passa ora a vedere altre peculiarità dell’invaso, prettamente di tipo geografico.

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La prima, che non è una singolarità in senso assoluto poiché ricorre in tanti specchi lacustri di una certa estensione, è che nell’invaso sversano le loro acque oltre al Biferno il quale evidentemente è il tributario fondamentale anche dei corpi idrici minori e di questi uno dei più grandi è il torrente Cervaro il quale viene da Castelmauro. Non è scontato che i corsi d’acqua secondari vadano a confluire nel lago, potrebbero innestarsi nel Biferno prima o dopo l’invaso. Si verifica, per intenderci, una situazione simile, fatte le debite proporzioni, a quella dello Scudo Canadese: qui i fiumi non vanno in direzione del mare bensì verso i Grandi Laghi, cioè vanno verso l’interno del continente e non verso l’esterno.

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Il lago, l’acqua invasata, si accresce per via delle precipitazioni piovose che cadono perpendicolarmente al di sopra della sua superficie, un apporto che è maggiormente sensibile ad Occhito perché il perimetro della distesa idrica ha un’estensione superiore, e di molto, a quella del Liscione. Bisogna, inoltre, considerare che si riversano in entrambi le acque di scorrimento superficiali non incanalate in rii provenienti dai versanti della conca che li delimita poiché entrambi sono di natura argillosa quindi incapaci di assorbire le piogge. L’argilla che predomina nella costituzione geologica dei fianchi della vallata che ospita l’invaso di Guardialfiera impose al momento della realizzazione dello stesso, poiché materiale oltre che impermeabile anche soggetto a scivolamento, la piantumazione di boschi di conifere per impedire lo smottamento del suolo e con esso il rotolamento a valle di particelle terrose le quali avrebbero nel tempo portato all’interrimento del bacino. A influire sulla qualità dell’acqua dei laghi, al di là dell’intorbidimento provocato dalla terra che proviene dalle colline all’intorno la quale o rimane in sospensione o si deposita sul fondo è soprattutto il carico inquinante trasportato dall’immissario. Una causa dell’inquinamento nella fase iniziale di vita dei bacini è stata la putrefazione della vegetazione preesistente all’invasamento rimasta sommersa dall’acqua, dal disfacimento di fabbricati, percorsi asfaltati, ecc. ora subacquei. Allo scopo di garantire un livello qualitativo elevato della risorsa idrica utilizzata anche ai fini potabili antecedentemente, per il Liscione, all’entrata in funzione dell’Acquedotto Molisano Centrale è necessario che i depuratori dei Comuni rivieraschi siano tenuti in perfetta efficienza, che raggiungano standard di funzionamento ottimali. Tufara, bacino di Occhito, in passato ha avuto problemi nell’assicurare il soddisfacimento dei parametri fisico-chimici richiesti dai reflui in uscita dal proprio impianto di depurazione. Concludendo è indispensabile la salvaguardia della limpidezza delle acque la quale concorre a fare di tali invasi una primaria emergenza paesistica.

La tutela dei corsi d'acqua

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Un piano, qualsiasi piano che abbia ad oggetto il territorio è obbligato a predisporre una disciplina di carattere generale, non essendo realistico, data la vastità del suo campo, geografico, d’azione, pensare di fissare disposizioni specifiche per ciascuno degli elementi presenti in quell’insieme territoriale. Prendi la rete idrica la quale innerva ogni angolo della superficie regionale per cui occorerebbe una conoscenza dettagliatissima dei luoghi al fine di definire misure di tutela puntuali per i singoli membri di cui si compone il sistema fluviale; è una cosa impossibile perché troppo onerosa, l’operazione sarebbe antieconomica. Si rischia, peraltro, di perdersi fra troppe specificazioni.

Si ricorre, perciò ad una tipizzazione delle componenti del paesaggio, stiamo parlando della pianificazione paesistica, riconducendo le stesse ad alcune, poche, categorie; le norme di tutela sono differenziate proprio in relazione a tali raggruppamenti. Per quanto riguarda i corsi d’acqua, i quali sono l’argomento della presente nota, i piani paesaggistici molisani prevedono una distinzione tra di essi in relazione alla posizione che occupano in una scala gerarchica nella quale il primo posto è occupato dalle aste che sversano direttamente nel mare, cioè Biferno, Trigno, Volturno e Fortore, il secondo ai tributari dei primi, il terzo agli affluenti degli affluenti, fermandosi al quarto ordine, i rivi che riforniscono questi ultimi.

Una considerazione da farsi è che la gerarchia così stabilita non tiene conto della portata idrica dei singoli segmenti del reticolo fluviale per cui si trattano in maniera uguale entità dissimili, potendoci essere differenze in termini di quantitativo d’acqua che trasportano. Quando l’ampiezza del bacino si restringe è ovvio che i torrenti, i quali, ben si sa, non nascono da sorgenti, ovvero le aste minori della maglia fluviale, diventano più corti, raccogliendo meno acqua meteorica, a meno che i rilievi che delimitano la valle siano alti, la piovosità e, soprattutto, la nevosità aumenta con la quota. Il Trigno nel suo tratto iniziale corre tra i monti dell’Alto Molise e la Montagnola. Man mano che ci si avvicina alla costa le vallate, bifernina e trignina, si allargano e lo schema idrico secondario diventa articolato con i torrentelli che non si riversano direttamente nel fiume,

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bensì confluiscono, seguendo il classico schema ad albero, nel maggiore fra loro (anche merito dell’apporto d’acqua che gli forniscono) il quale funge da tronco ed è questo che si immette nell’asse fluviale. Giunti infine nella piana adiacente alla marina gli affluenti in quanto tali scompaiono, ogni corso d’acqua fa da sé, seppure esiguo quali il Mergolo, il Tecchio, il Rio Salso, hanno cioè una foce propria. Per l’applicazione della normativa predetta le cose, già difficili in sé come si è visto, si complicano ulteriormente quando, è il caso del Cavaliere, il fiume che si diparte da Isernia il quale prende vita da due tributari di pari rango, il Carpino e il Sordo, fiancheggiando negli opposti versanti la dorsale su cui sorge il capoluogo pentro. È singolare anche il rapporto che vi è tra Vandra e Volturno, l’uno con regime torrentizio l’altro alimentato da fonti perenni.

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Nei periodi di pioggia copiosa l’apporto idrico del Vandra, il quale ha un impluvio assai più grande, al Volturno è particolarmente significativo, mentre nel resto dell’anno è il flusso delle acque sorgentizie di Capo Volturno ad avere il sopravvento per cui è legittimo ritenere quest’ultimo il corso gerarchicamente superiore. Vale la pena far notare che se il Vandra ha origini in un sito, siamo a S. Pietro Avellana, che è stato sempre Molise, la sorgente del Volturno è in un luogo, Rocchetta al Volturno, che faceva parte della Terra di Lavoro, perciò Campania: nei momenti di precipitazioni piovose intense, il contributo molisano, quello dato dal Vandra, al Volturno il quale in seguito è interamente campano diventa rilevante, altrimenti, nelle stagioni asciutte, diventa irrilevante.

Ciò succede ad occidente della regione perché ad oriente c’è, comunque, il Tammaro a tributare acqua a questo fiume. Non esiste solo il genere delle persone, è una sciocchezza quella che si sta per dire, ma pure dei corsi d’acqua: Vandra è un nome al femminile non solo per la vocale finale, localmente la si chiama la Vandra, invece il Volturno è maschile per cui la loro unione assomiglia ad un matrimonio tradizionale, lo si ripete è una stupidaggine, che si celebra nella piana tra Montaquila e Macchia d’Isernia. Una relationship analoga vi è tra il Trigno e il Verrino, il quale ultimo pur assicurando un sostegno in termini di acqua al’altro non decisivo è stato capace di far compiere a questo una svolta brusca, costringendolo a piegare energicamente il suo “superiore gerarchico” verso l’Adriatico.

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Un breve accenno al Sangro, altrettanto breve che il tratto in cui lambisce la nostra regione, lo si fa per illustrare una rara tipologia di sdoppiamento di fiume, adesso all’interno del medesimo letto, il tipo a canali intrecciati, paritari in tutto, non c’è questione di gerarchia; tale configurazione porta alla formazione nella fascia centrale dell’alveo di isolotti, l’Isola di Fonte della Luna ci appartiene. Le regole per la salvaguardia dell’ambiente fluviale sono non solo identiche per tutti i fiumi, ma anche identiche per tutto un fiume seppure sia morfologicamente cangiante nel suo sviluppo longitudinale.

Il Trigno, che prendiamo come esempio, lo si può dividere in due pezzi con 2 connotati profondamente diversi. C’è quello concernente la luce che lo pervade, scarsa durante il suo incedere nella fase giovanile in mezzo alle montagne altomolisane ricche di boschi che giungono fin sulle sponde ombreggiandolo e la penetrazione dei raggi solari è un fatto che influenza la struttura ecologica oltre che la percezione visiva. Allorché raggiunge il piano esso presenta una sezione trasversale talmente estesa da sembrare quando è in magra una landa desertica; il canale sottile in cui si è ridotto a scorrere è esposto al sole senza che vi sia vegetazione ripariale, le piante non attecchiscono sulla ghiaia, a fare ombra e l’ecosistema

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acquatico ne risente. La conformazione del Trigno muta nel passaggio tra la zona montana e quella pianeggiante pure planimetricamente, la seconda connotazione preannunciata: il fiume che innanzi aveva disegnato una larga curva, era curvilineo, a partire dall’incontro con il Verrino si adegua all’andamento dei fiumi appenninici che è rettilineo. La rettilineità, vale anche per il Biferno che lo è nella sua interezza, con l’ortogonalità rispetto alla linea di costa; è questa una caratteristica costante delle aste fluviali provenienti dall’Appennino. L’andare diritti al mare, perpendicolari ad esso riduce la lunghezza e la pendenza del tragitto, cosa che fa risparmiare energia.

I corsi d’acqua minori

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I corsi d’acqua come è naturale che sia dovrebbero stare in tutto il Molise; ciò che apparentemente è scontato, lo si ripete, viene smentito dall’assenza di circolazione idrica in superficie nelle aree, peraltro ampie, qui da noi caratterizzate dal fenomeno del carsismo. Sul Matese, salvo poche sorgenti in quota tra le quali vi è Capodacqua vicino a Campitello, non vi è la presenza neanche di rivi, non si dice di fiumi. Nei massicci carsici, comunque, si formano al momento dello scioglimento delle nevi, quelle raccolte nelle doline, laghetti stagionali, prendi il piccolo lago dei Castrati e il grande Lago di Civitanova sulla Montagnola.

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 L’allargamento dello sguardo dai corpi idrici di tipo lineare a quelli di tipo areale, cioè gli specchi d’acqua, ci è utile anche per formulare la seguente osservazione: nel paesaggio molisano la componente, per così dire, acquosa ha una incidenza maggiore che altrove perché siamo ricchi di invasi, da quello del Liscione a quello di Occhito a quello di Castel S. Vincenzo e che nel prossimo, futuro aumenteranno ulteriormente con il riempimento dei bacini di Chiauci e di Arcichiaro. È doveroso, seppure non essenziale per ciò che riguarda il discorso sull’influenza che essi esercitano sulle vedute paesaggistiche, evidenziare che i primi, quelli carsici, sono di origine naturale, mentre i secondi sono artificiali, frutto dello sbarramento della corrente fluviale. La “liquidità” è, in qualche modo, un carattere di diversi scorci panoramici di una terra, quella in cui viviamo, fatta di terra, appunto, e di acqua; essa sarebbe addirittura superiore, in verità di

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pochissimo, se tutti i corsi d’acqua scorressero in superficie, ma ve ne sono alcuni, pochissimi, che spariscono alla vista o perché fluiscono, è il caso del Callora, al di sotto del letto di detriti che essi stessi hanno trasportato e che si sono depositati nel loro, per l'appunto, letto o perché si infiltrano nel sottosuolo, il canale S. Nicola a Monteroduni e, piace citarlo nonostante non sia in territorio regionale, bensì ai suoi confini e, però, nel comprensorio matesino il fiume Lete. Il Molise è una regione assai ben dotata dal punto di vista idrico tanto da rifornire di tale preziosa risorsa le regioni vicine tra cui la Campania, tramite la captazione del Biferno, anche se non è detto che l’intera acqua che vi circola sia scaturita da fonti che sgorgano dal suo suolo. Il Trigno ha origine nell’alto Molise il che non vuol dire che la sua corrente idrica sia interamente molisana, ricevendo nel cammino che compie l’apporto di vari affluenti del versante abruzzese.