Il pendolarismo nei piccoli comuni
La crisi dei borghi è in effetti una crisi di sistema. Il sistema è il sistema territoriale costituito, in quasi ogni comprensorio regionale, da un centro di una certa consistenza demografica cui fanno riferimento per una molteplicità di servizi, commerciali, scolastici, terziari in genere, i comuni che vi stanno intorno, una sorta di entità satelliti.
Per l’alto Molise il polo che eroga tali prestazioni, diciamo così, di tipo direzionale è Agnone, per il medio Trigno è Trivento, per l’area del Fortore molisano è Riccia, per l’ambito matesino è Boiano e così via. La perdita di funzioni che ha colpito queste cittadine intermedie tra paese e città (le uniche città nel Molise sono i due capoluoghi di provincia e Termoli) con la soppressione di alcuni istituti di istruzione superiore (a Larino non c’è più il liceo classico), la chiusura, da molto tempo, delle Preture, l’eliminazione, da poco tempo, delle Comunità Montane, per citarne alcune, nell’indebolire la struttura socioeconomica dei comuni in cui erano insediate provocano a catena la riduzione delle opportunità di servizi per gli abitanti dei paesi circostanti ad essi; ne diciamo una, viene impedito di poter usufruire di scuole secondarie nelle vicinanze di casa. Oltre al peggioramento
della situazione di contesto giocano negativamente nel decadimento dei borghi anche la fine dell’artigianato, resiste solo la fabbricazione dei coltelli di Frosolone, e il declino delle attività agricole, zootecniche e forestali, cioè di tutto il comparto primario delle cosiddette aree interne. Le conseguenze sono una vistosa diminuzione degli occupati che ha portato progressivamente, i flussi migratori più consistenti si sono avuti negli scorsi anni ’60-’70, insieme alla carenza di attrezzature civili di cui si è detto, ai minimi termini la popolazione, non solo la degli “attivi”, che li vive. Il numero di abitazioni rimaste vuote è altissimo e non si riescono a individuare soluzioni valide per riempirle nuovamente, cioè per il ripopolamento. Le proposte formulate dai Sindaci sono molteplici, quella maggiormente ricorrente è la vendita di case a 1 euro.
Si tratta di una cifra simbolica che è poco più che uno slogan, addirittura potrebbe apparire come una soluzione liquidatoria. Il problema della rivitalizzazione dei borghi non ammette ricette semplificate. Aver avuto in regalo un edificio che è collocato, mettiamo, in un vicolo ormai deserto a fianco di fabbricati fatiscenti non invoglia, di certo, a trasferirsi in quel comune. Occorrono, piuttosto, progetti di rigenerazione urbana con la configurazione di offerte abitative aderenti ai nuovi modi di vita e diversificate in base alle varie tipologie familiari e sociali e con alloggi dalle prestazioni energetiche elevate, meglio se facenti parte di Comunità Energetiche. Solamente una visione “futurista” potrà salvare gli agglomerati “tradizionalisti”.Non è futuribile bensì attuale la prospettiva occupazionale derivante dalla introduzione dello smart working come modalità di lavoro sostituendo la scrivania dell’ufficio con quella casalinga.
Così i borghi potranno diventare attrattivi per i giovani i quali sono disposti al cambiamento non solo per una questione generazionale ma perché sono cresciuti quando la comunità era ormai in corso di abbandono, senza nostalgia perciò per il mondo tradizionale che non hanno mai vissuto e perciò sono disponibili a reinventare il proprio paese. Parliamo adesso di un problema specifico della vita quotidiana di tanti che vivono nei paesi che è quello del pendolarismo casa-lavoro, dello spostamento giornaliero dei lavoratori residenti nei comuni delle “aree interne”, i centri minori, verso le sedi delle attività produttive o degli enti in cui sono impiegati, in genere collocate nei centri maggiori. Si ritiene sia una tematica, o meglio una problematica decisiva la cui risoluzione-attenzione, non si è detto abolizione – potrebbe favorire la permanenza nei posti di origine di molte famiglie. Risoluzione, lo si ripete, che qui non si intende come eliminazione ma come miglioramento delle condizioni di trasporto. Non è, in definitiva, un obiettivo minimo piuttosto un obiettivo concreto. Per diverse persone, una quota magari non maggioritaria del totale, l’essere pendolare viene sentito più che come un problema una opportunità utilizzando la nota espressione vichiana, non, di certo, quelli che sono costretti ad usare l’auto privata per raggiungere i luoghi di lavoro, non essendo questi serviti da mezzi pubblici perché non localizzati in Zone Industriali o all’interno di agglomerati abitativi, cioè le aziende del terziario. Troppo stress per la guida e troppi costi dover usare la propria automobile. Anche per evitare l’inquinamento dell’aria prodotto dai gas di scarico questa tipologia di pendolarismo dovrebbe scomparire, c’è poco da migliorare.
Tutt’altro discorso per chi viaggia in treno o in autobus: la distanza, non chilometrica bensì temporale che separa la postazione lavorativa dalla residenza può servire a creare un distacco, più che fisico psicologico, tra i due ambienti, a separare la dimensione del lavorare, con i relativi pensieri, da quella famigliare, a far stemperare la tensione accumulata durante l’esecuzione delle mansioni assegnate; stiamo parlando, lo si sarà capito, del rientro. Tutto ciò se il tragitto non è superiore, come durata, a mezz’ora poiché se si sorpassa tale soglia si possono avere effetti negativi sull’equilibrio psicologico di un individuo sottraendogli, è il danno principale, ore al sonno specialmente mattutino. A parte i riflessi deleteri sulla salute qui si vuole segnalare un’altra conseguenza negativa del tempo passato viaggiando è che esso va a detrimento della possibilità di frequentare una palestra, di seguire qualche corso formativo, di non poter sfruttare quelle opportunità ricreative che sono presenti in loco, anche una semplice passeggiata o l’incontro con gli amici, cose molto importanti per la qualità dell’esistenza. L’ottimale per il trasferimento da casa a lavoro sarebbe il quarto d’ora secondo lo slogan propugnato oggi dagli urbanisti della “città a 15 minuti”, non a 30 minuti, la mezzoretta di cui sopra, non è assolutamente realistico proporre il km. 0 tra casa e lavoro.
Vedendo ora le cose da un altro punto di vista, quello di Campobasso che è la meta più “accorsata” dei lavoratori pendolari, dobbiamo evidenziare che se non è bello che di giorno i borghi si spopolino per via del fenomeno del pendolarismo non sarebbe neanche bello il contrario, cioè privare la città dei pendolari in quanto essi sono parte integrante della vita cittadina. Il capoluogo di regione, infatti, sembra animarsi, in particolare la zona centrale dove sono gli uffici, al mattino e al pomeriggio, i due momenti topici dello sbarco e della dipartita dei pendolari. Questo flusso in entrata e in uscita di persone dal nucleo urbano ha acquisito il valore di un fattore identitario rappresentando un’immagine caratteristica della “capitale” del Molise. Forse, però, è solo un fatto sentimentale, un modo di sentire romantico, non è politically correct ed allora è da auspicare l’aumento di ore di smart working per permettere agli impiegati di non muoversi dal bucolico villaggio natio con buona pace dell’interscambio tra le persone, della frequentazione di ambienti differenti, metà giornata, il lavoro, da una parte e metà, il tempo libero, dall’altra, degli stimoli che ricevono gli individui nel partecipare ad una dimensione metropolitana in cui la città e i comuni vicini non sono entità distinte e separate, il nostro spazio esistenziale sempre più nel futuro.