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La comparsa della ferrovia nel Molise

Le ferrovie sono nate in Inghilterra all’affacciarsi del XIX secolo e poi si sono diffuse nei principali Stati del continente. Tra questi vi è l’Italia, solo che qui fino all’unificazione della nazione l’estensione delle linee ferroviarie era assai inferiore a quella del resto dei Paesi europei dotati di strade ferrate. Ci sono ragioni politiche in questo ritardo, la Penisola era divisa in 7 unità statuali il che rendeva i collegamenti fra le varie partizioni del suolo italiano di minore interesse, la mobilità interstatale non era una priorità, contava di più di quella infrastatale del singolo staterello. Ci sono, in aggiunta, ragioni geografiche poiché l’Italia, salvo la Pianura Padana e il Tavoliere, presenta un territorio accidentato con molteplici ostacoli fisici che costituiscono impedimenti al passaggio dei binari, mentre l’Europa continentale ha una maggiore quantità di superficie pianeggiante. Lo Stivale è deficitario nel suo complesso di ferrovie e a questo deficit concorre in maniera significativa il Regno delle Due Sicilie che ha solamente 140 chilometri di strade ferrate, anche se ha i primi 38 chilometri italiani, la Napoli-Portici.

Alla fine del governo borbonico il Molise non aveva nessuno di quei 140 chilometri, è solo con il 1861 che iniziò la storia delle ferrovie nella nostra regione. La Provincia, di un tempo, molisana risultava penalizzata in riguardo alla dotazione di strade ferrate poiché la sua sezione trasversale, quella che va da nord a sud, è davvero minima, 36 chilometri e i tracciati ferroviari principali costruiti dopo l’Unità d’Italia vanno proprio da settentrione a meridione. L’obiettivo era, infatti, unire il nuovo Stato il quale, almeno nella sua porzione peninsulare, ha una forma lunga e stretta con la lunghezza nettamente alla larghezza. Il Molise che è posizionato fra l’Alta Italia e la Bassa Italia, come si diceva allora, è interessato da questi assi di trasporto ferroviario, ma solamente per un breve tratto. Furono sfruttati per il transito dei treni le uniche strisce pianeggianti di una certa consistenza e, peraltro, disposte in continuità fra loro le quali stanno lungo le coste, la morfologia territoriale dell’interno è troppo tormentata. Il treno passa, perciò, sulla costiera, per quanto riguarda noi, adriatica, che ha una tipologia di costa bassa, adatta allo scopo della quale un segmento, davvero corto, è il nostro. Ai fini dell’integrazione nazionale, le ragioni della politica, è poco significativa la costruzione di binari nella direzione est-ovest i quali sarebbero serviti meno ai fini del raccordo dei domini pre-unitari, e pure nel Meridione che rientrava totalmente nel reame napoletano, dall’Adriatico al Tirreno era il medesimo Stato, non c’era niente da unire. C’è, poi, da considerare, le ragioni della geografia, che si interpone tra i due mari la catena appenninica la quale costituisce una barriera impenetrabile salvo che in alcuni varchi. Uno di essi è in uno dei terminali della montagna matesina che è la valle del Volturno che sta in mezzo tra questo massiccio e le propaggini dei monti del Parco Nazionale d’Abruzzo spezzando in due l’Appennino, l’altro è nel terminale opposto del Matese, tra quest’ultimo e il monte Taburno. All’altezza della fascia di Penisola nostrana è obbligatoria, in definitiva, il bypass del Matese (all’epoca non si parlava ancora del traforo del Matese!) per mettere in comunicazione le due opposte sponde del Mediterraneo. Quello della congiunzione tra l’oriente e l’occidente, limitandoci ancora a vedere come stanno le cose dalle nostre parti, è un problema che riguarda, ovviamente, tanto la mobilità su ferro che quella su gomma.

Talmente grandi sono le difficoltà per superare l’Appennino che si rinunzia, addirittura, a formulare ipotesi in riguardo se non quella non realisticamente praticabile del tunnel. Stando così la situazione i percorsi sia stradali sia ferroviari sono pensati, anche il progetto dell’Autostrada del Molise, in chiave regionalistica, un regionalismo beninteso, di necessità e non per scelta. Il Molise all’essere longitudinalmente, lo si è fatto notare prima, piccolo, dal confine con l’Abruzzo a quello con la Puglia è esteso poche decine di chilometri, perlomeno due delle tre sezioni, ognuna è un terzo del territorio regionale, nelle quali usualmente si scompone, il Medio e il Basso, la terza è l’Alto Molise, si contrappone l’essere trasversalmente, quindi dai rilievi appenninici al litorale ampio. È un’ampiezza maggiore di quella delle altre regioni adriatiche in quanto qui l’Appennino non coincide con l’asse mediano della Penisola bensì è spostato verso il Tirreno. Le due peculiarità geografiche appena sottolineate ci portano ad esprimere altrettante considerazioni, una per ognuna di queste peculiarità: per la prima, essendo il suo territorio parallelamente al Meridiano ristretto esso non può beneficiare abbastanza dell’attraversamento delle grandi linee ferroviarie sovraregionali le quali corrono da sopra, il Nord Italia, a sotto, il Sud Italia, quasi per statuto. Tanto di quella litoranea, esistente, della quale, è interessante osservando, la Puglia per la sua conformazione lunghissima nel senso nord-sud si avvantaggia tantissimo, quanto di quella, allo stato di ipotesi che dovrebbe solcare il Molise nella zona collinare, appunto la “transcollinare”, un sogno non avverato, il cui naufragio è certificato dalla riduzione a “ramo secco” della Carpinone-Sulmona la quale ne sarebbe dovuta diventare una tratta. Per la seconda peculiarità geografica di cui sopra la relativa considerazione: la ferrovia locale, così possiamo definire la Campobasso-Termoli, fra l’altro la prima ad essere apparsa qui da noi, ha uno sviluppo chilometrico consistente che altrove le tratte ferroviarie mare-monti non hanno, anche questo un primato insieme a quello della longevità e della integrale molisaneità.

Stazioni e strade ferrate

Noi oggi nel Molise concepiamo le stazioni solo in funzione del trasporto dei passeggeri. In passato non era così, si pensi a quella di Campobasso vicino alla quale si erano localizzati i grandi mulini della celebre tradizione mugnaia di questa città, vicinanza che riduceva i tempi di carico e scarico, in partenza della farina, in arrivo del grano. Vi era un'impresa molitoria, è il Mulino Martino, addirittura attaccata al parco ferroviario, prossimità un tempo vantaggiosa e ora, una volta sfruttata la volumetria per ricavarne residenze in quanto non più utilizzato quale impianto industriale, è diventata svantaggiosa a causa dei fumi e dei rumori dovuti alle operazioni di sosta di avvio dei convogli ferroviari.

A Isernia, l'altro capoluogo di Provincia, la falegnameria Di Lello era servita da un binario che correva lungo il corso Garibaldi per ricevere il legname grezzo, e spedire quello lavorato, su treno. Gli stabilimenti per la produzione di laterizi sono sempre stati collocati vicino al luogo di reperimento della materia prima, la cava di argilla, per cui stanno in zona rurale; essi condizionano l'ubicazione delle stazioni, non il contrario come abbiamo visto nella "capitale" del Molise, e per esse si può dire che l'utilizzo per il trasporto dei passeggeri è una cosa succedanea, non primaria.

Si citano i casi delle fabbriche di mattoni di Baranello, S. Pietro Avellana, Ripalimosani, Cantalupo. A partire dagli anni ’70 nel secolo scorso vi è la deliberata volontà di allontanare le attività produttive dei centri abitati provvedendo a concentrarle in apposite aree attrezzate; la dipendenza dalle stazioni si allenta realizzando "passanti" ferroviari, cioè diramazioni della strada ferrata che portano direttamente a tali nuclei industriali e ciò succede a Pozzilli e a Campochiaro, ma pure a Guglionesi dove, però, l’unità produttiva è, appunto, una, lo Zuccherificio. La localizzazione delle fabbriche non asseconda il tracciato ferroviario perché è quest'ultimo che devia per raggiungere tali fabbriche. Esse non sono più in linea con, per l’appunto, la linea ferroviaria, non sono loro a mettersi vicino alla strada ferrata bensì è questa ad avvicinarsi ad esse con il predetto passante; le manovre dei treni merci mentre entrano ed escono dall’agglomerato produttivo sono facilitate, è un inciso, dalla potenzialità del locomotore che prima non aveva di muoversi in entrambi sensi di marcia, per intenderci come le funicolari; a dispetto del fatto che si chiami passante non vi è un ingresso e un’uscita ma è un unico braccio. In queste situazioni di passeggeri neanche a parlarne. I lavori per realizzare tali deviazioni sono gli ultimi interventi che hanno riguardato la rete ferroviaria molisana; stranamente hanno avuto ad oggetto il trasporto merci in quanto nonostante l'adeguamento dell'infrastrutturazione su ferro a loro favore le merci attualmente viaggiano pressoché del tutto su gomma. Merci o non merci, viaggiatori o non viaggiatori, la nostra regione è rimasta sostanzialmente al palo per quanto riguarda le attrezzature ferroviarie. Ciò che sta avvenendo oggi giorno a livello nazionale, la costruzione dell'Alta Velocità che è la principale opera pubblica contemporanea e ricorda quello che è successo negli anni ’50 e ’60 con la realizzazione dell’Autostrada la quale contribuì alla modernizzazione del Paese, non ha coinvolto il territorio molisano, le varie Frecce delle Ferrovie dello Stato lo sfiorano semplicemente, proprio come successe con l’autostrada. Il treno non fa per noi, preferiamo la macchina e ciò, del resto, è nelle cose. Per andare dal capoluogo regionale a Termoli, la seconda città del Molise, si impiega molto meno tempo in auto che in treno. In verità bisogna dire pure che, invece, i tempi di percorrenza sono simili lungo la direttrice di comunicazione centrale molisana, quella che da Campobasso passando per Boiano e Isernia porta a Venafro, in cui i binari sono affiancati alla superstrada. Le politiche attuali assecondano la tendenza in atto e lo dimostra la rettificazione delle curve tra Campolieto e Casacalenda lungo la vecchia statale Sannitica mentre si sarebbe dovuto procedere a migliorare la percorrenza dei treni nello stesso tragitto i quali, i pochi che continuano a circolare, non sono più competitivi con il mezzo automobilistico.

Per inciso si fa rilevare che il tracciato della ss. 87 meritava forse di essere salvaguardato in quanto, prima dell'ammodernamento, era nel contempo un percorso storico e panoramico. Il treno, per sopravvivere, deve imparare a convivere con le automobili le quali servono a raggiungere gli scali ferroviari di frequente distanti dal centro abitato, ma anche con gli aerei; nel Molise non vi è un aeroporto né vi sono collegamenti diretti, per quel che ci interessa, su ferro con quelli prossimi, Pescara, Foggia e Napoli. Ad ogni modo si sarebbe trattato di azioni per conquistare viaggiatori e non per il convogliamento delle merci per il quale i veivoli non sono proprio idonei. All'inizio il treno era alleato con la nave trasportando le derrate di grano dal Molise Centrale che ne era un gran produttore al "caricatoio", l'antecedente del porto, di Termoli dove veniva imbarcato su navigli con basso pescaggio, le uniche che possono attraccare qui essendo il fondale poco profondo. Questa tra Campobasso e Termoli fu la prima ad essere fatta nel Molise, non si sa se per pressione degli agrari, I produttori di cereali, mentre la successiva fu la Sulmona-Carpinone-Isernia-Boiano e poi diretta verso i centri pugliesi sede di approdo della transumanza la quale invece rispondeva agli interessi degli armentieri i quali così potevano servirsene per inviare le greggi, che un tempo percorrevano i tratturi, nel Tavoliere, un particolare tipo di mercanzia il che dimostra la versatilità del treno il quale si può trasformare in un carro-bestiame, un'opzione che arricchisce l'offerta di trasporto, la versatilità dei treni, che si rivela assai competitiva ancora oggigiorno.

Ponti e viadotti in Molise

Ci sono sostanziali differenze tra un ponte e un viadotto, Strutture che spesso nel pensiero accomuniamo, le quali non si riducono solamente alla lunghezza dell’impalcato. Ne vediamo alcune, non tutte, ce ne sarebbero di ulteriori. Il ponte è, per così dire, un punto certo nella geografia dei luoghi. Esso, causa l’impegno costruttivo che era necessario profondere per la sua edificazione, era un fatto raro in passato quando i mezzi per l’esecuzione dei lavori erano limitati. Il ponte è, era, concepito in modo che durasse a lungo, cedimenti fondali e spondali permettendo; una merce di prim’ordine non si avaria a differenza di quella a basso costo e di qui la qualità architettonica oltre che la bellezza di moltissimi ponti molisani. Con la tecnologia del cemento armato si va più veloce, e da ciò derivano i numerosi viadotti che in breve tempo si sono diffusi nel territorio e, quindi, nel paesaggio molisano. Vediamo, vedremo, se i viadotti hanno la medesima proprietà di durabilità dei ponti, vanno ancora messi alla prova del tempo non avendo i più vecchi più di mezzo secolo. Il viadotto è indistinguibile rispetto al resto dell’asse viario cui appartiene, il ponte ne è un momento particolare.

Ci si accorge che ci si trova su un ponte quando durante un percorso che si sviluppa in aree collinari o montane le quali hanno un’orografia movimentata si incontra un tratto in piano: è facile che sia un ponte in quanto lì la superficie carrabile è piatta. Ciò non accade con i viadotti i quali seguono la medesima livelletta della strada di cui fanno parte. È quanto si percepisce stando all’interno della carreggiata; se si sta all’esterno si coglie altrettanto nettamente la diversità del ponte la cui lunghezza coincide con la larghezza del corpo idrico dal viadotto il cui sviluppo non è ristretto alle rive fluviali. Sinteticamente: il ponte e la strada sono 2 cose distinte, mentre con il viadotto sono un tutt’uno. Il destino del viadotto è legato a quello dell’arteria, se non del progetto dell’arteria, quella di collegamento tra l’altomolise e l’altovastese con un viadotto che si interrompe nel vuoto in aperta campagna, agnonese, in attesa, da decenni, del completamento del lotto. Oggi non si fanno più ponti, semmai li si rifanno: il ponte della “salsiccia” ad, non in, Agnone, l’originario demolito con la dinamite perché irrecuperabile per colpa del movimento franoso che aveva minato (non con l’esplosivo!) al piede i piloni. A Toro sul Tappino si è voluto un ponte ex-novo non per il crollo del preesistente, bensì per dirottare il traffico automobilistico da quest’ultimo, assai antico e assai pregevole, la cui stabilità sarebbe potuta essere compromessa dalle vibrazioni prodotte dalle auto; l’azione è degna di lode non la realizzazione poiché si è affiancato ad un ponte bellissimo uno bruttissimo sorretto com’è da tubi “armco”. Ponti come quello della valtappino a schiena d’asino, un altro è quello di S. Rocco a Sepino, sono una tipologia rarissima per cui rappresentano l’eccezione che conferma la regola la quale è che i ponti sono in piano; con i ponti usuali hanno in comune il fatto che gli appoggi ai due estremi opposti stanno alla medesima quota, mentre per i viadotti, i quali peraltro non è scontato che abbiano le spallette, non è, di nuovo, scontato. È scontato, invece, che i viadotti non abbiano un andamento arcuato come quello dei ponti con sagoma asinina, con il profilo che richiama il dorso di un animale da soma. Procediamo oltre. Su un ponte può convergere più di una strada, vedi quello sul Trigno a Sprondasino (forse in origine era a schiena d’asino?) raggiunto da molteplici percorsi viari; tanto era, e continua ad esserlo, strategico che vi si affiancò una taverna e una torre di difesa. Il viadotto, all’opposto, è connesso, si insiste, ad un unico tracciato viario.

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Andiamo avanti. Con i viadotti cambia la concezione stessa di strada. Il sedime viario, se ancora è lecito chiamare così, si svincola dal suolo, diventa aereo, sostenuto dalle pile in c.a., non deve essere più aderente al terreno, assecondare la morfologia dei luoghi; per esemplificazione indichiamo la serie ininterrotta di viadotti della nuovissima superstrada che dalla Bifernina porta a S. Giusta di Palata, i quali servono tanto a oltrepassare i rivi affluenti del Biferno, quanto ad uniformare l’inclinazione del piano viario. Il largo impiego di viadotti, i quali insieme alle frequenti gallerie rendono indipendente la Trignina dal rilievo terrestre, mette addirittura in discussione la denominazione di «fondovalle» perché solo nominalmente solca la «valle» del Trigno, tantomeno nel «fondo» della stessa. Il discorso per la Bifernina, salvo le gallerie che non vi sono, è simile ed in entrambe è leggibile la volontà di disegnare una direttrice viaria rettilinea, la più corta possibile per unire le zone interne con il litorale. Il tracciato fondovallivo bifernino deve fare i conti con i vari ponti, trasversali ad esso, che uniscono le due parti della regione spaccata in, appunto, due che da questo corso d’acqua, viadotto versus ponte. Problema analogo per la Trignina non c’è, il Trigno è un fiume di frontiera; sono gli svincoli che in modo mediato, non diretto come un ponte, congiungono il Molise con l’Abruzzo. La Bifernina ha un’ulteriore singolarità, i viadotti impostati su un bacino lacuale, il lago di Guardialfiera, cosa davvero inusitata. Il viadotto Molise 1 che sta dentro l’invaso artificiale aggiunge un’altra particolarità, la forma planimetrica curvilinea; ponti, un ulteriore aspetto che li distingue dai viadotti, sono sempre rettilinei, anche quelli più lunghi, il Ponte dei 25 Archi e il Ponte dei 13 Archi. La differenziazione tra ponti e viadotti sta pure nel rapporto che essi instaurano con l’alveo fluviale, i ponti sono costantemente ortogonali al letto del corso d’acqua (a smentita c’è il Ponte Sbieco a Colli a V.), i viadotti non si curano di essere perpendicolari all’asta del fiume. La finiamo qua, ma ci sarebbe, in aggiunta, il capitolo sulle tangenziali urbane che viaggiano di norma su viadotto.

immagini del riconoscimento del Ponte Cardarelli quale Luogo del Cuore del FAI
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Varie tipologie di ponti

Vi sono fiumi molto incassati e allora i punti che servono a scavalcarli sono molto alti. Per realizzare questi attraversamenti è evidente che i piloni chiamati a sostenere il piano carrabile siano di notevole altezza. Le impalcature necessarie a tirarli su sono dal punto di vista realizzativo assai impegnative; è oltremodo costoso costruire incastellatura lignee, almeno un tempo, i telai metallici sono di età successiva, che si sviluppino tanto in elevazione. Per ovviare a tale problema si optava, ad esempio il ponte Cardarelli sul fiume Sordo a Isernia, per l'esecuzione di un doppio ordine di arcate, se non triplo, una specie di ponte multipiano. Sempre per una questione di centine da predisporre non è facilmente fattibile, in alternativa alla edificazione delle pile, la creazione di un arcone poggiante sulle due opposte sponde per superare il salto. Il problema esposto non è nuovo e già i romani avevano trovato la chiave per la sua risoluzione, vedi i lunghissimi acquedotti replicati anche in epoca successiva, prendi i "Ponti della Valle" a Maddaloni, acquedotti ovvero ponti con molteplici archeggiature le une appoggiate sulle altre. La differenza tra una serie, duplice o addirittura triplice che sia, di archi di un'opera acquedottistica dell'antica Roma quando corre in piano e la sovrammettitura di portali arcuati di un ponte su una valle a V pronunciata è che la prima è di dimensione, verticale, costante mentre il secondo ha un numero variabile di archi che si sovrappongono fra loro. Infatti man mano che ci si allontana dalla mezzeria dell'alveo la quantità di archi che si assommano verticalmente si riduce poiché si riduce la differenza di quota tra il piano di campagna e l'incisione valliva fino ad arrivare in prossimità delle sponde ad avere un unico arco. Se si dovesse scegliere invece di adottare la tipologia, al posto di quello pluripiano, di ponte sorretto da pile che vanno giù fino al fondo, queste ultime non avrebbero tutte la medesima altezza, bensì l’andamento altimetrico della struttura portante del ponte risulterebbe scalettato, in entrambi sensi partendo dall'asse centrale del corpo idrico, venendo ad assomigliare, per capirci, a canne d’organo.

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Nella progettazione delle spallette dei ponti (che sono una, o meglio due, per ogni teoria di arcate) in queste situazioni morfologiche, cioè di versanti assai inclinate della vallata fluviale, bisogna tener conto della stabilità del pendio su cui si appoggiano per evitare il franamento dello stesso. Per quanto riguarda l'impatto paesaggistico è ovvio che i ponti su più file di arcate hanno una forte incidenza visiva, ma nello stesso tempo va riconosciuto che essi costituiscono una interessante testimonianza dell'arte costruttiva storica. Oggigiorno allo scopo di minimizzare la visibilità dei ponti e, quindi, non alterare troppo il paesaggio, lasciando il più possibile integro l'ambiente fluviale, si punta su ponti ad unica tesa, ancor meglio con impalcato estremamente sottile, quasi una lastra sospesa nel vuoto. Si tratta di ponti che si distinguono con immediatezza da quelli di un tempo perché di forma rettilinea, non arcuata anche se, in effetti, pure oggi si fanno ponte ad arco, però non più in pietra o laterizio bensì in cemento armato come quello dell'Arcichiaro il quale ha una sola campata nonostante che la distanza che intercorre tra i lati dirimpettai dell'orrido del Quirino sia notevole, un'opera ingegneristica davvero ardita. Se le vallate sono larghe e basse i ponti sono formati dal succedersi di una sola serie di archi, non c'è bisogno di archeggiature a più livelli. In genere i ponti sono composti da archi, telai nel caso di quelli in c.a., della medesima sezione, longitudinale oltreché, è scontato, trasversale. Dalla numerazione degli archi prendono il nome due dei più importanti ponti del Molise, quello dei 25 Archi sul Volturno e quello dei 13 Archi sul Fortore, quasi che più archi vi sono più il ponte è importante. Avere tanti archi per un ponte è motivo di orgoglio e non si capisce la ragione per cui non lo sia il quantitativo di archi che si succedono verticalmente e non, come nei ponti definibili di pianura, orizzontalmente (il già citato ponte Cardarelli). C’è un aspetto che finora non abbiamo considerato e lo facciamo adesso il quale è strettamente legato all'estensione del ponte, l'equidistanza fra le pile. Esso è quello che i fiumi che solcano zone pianeggianti sono larghi il che non significa che nell'attraversare le fasce planiziali la portata aumenta per cui il proprio letto deve diventare più ampio. Dipende tale maggiore larghezza dalla circostanza che, diminuita la velocità della corrente poiché la pendenza qui è minima, i fiumi depositano i detriti che hanno trasportato a valle da monte, le sorgenti sono, di norma montane. Il fiume è costretto così a divagare tra i depositi che si sono accumulati nel piano non avendo le energie per scavare un solco rettilineo. Il corso d'acqua forma anse cercando di trovarsi una via tra la distesa dei ciottoli. Un inciso, questi tratti sono appetitosi per le imprese estrattive che cavano gli inerti. I ciottoli che il fiume rilascia in questi punti nel suo incedere verso il mare vengono a formare degli autentici isolotti o penisolotti, una speciale terraferma fra i rami nei quali si ripartisce il flusso idrico. Tali particolari isole sono, però, mobili, difficilmente risultano stabilizzate per cui non si può far conto sulla loro saldezza per posizionare le pile del ponte. Ciò comporta che il ponte venga disegnato avente arcate tutte uguali pur sapendo il progettista che solamente una, o alcune nel caso di fiumi pluricursuali, comunque poche, è interessata dal passaggio dell'acqua, gli altri risulteranno in breve ostruite.

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Abbiamo parlato di ponti e di acquedotti trovando analogie tra di loro senza fare alcun accenno ai viadotti che appartenendo alla modernità non rientrano nella finalità di questo intervento di mettere in luce una categoria di bene storico.

La viabilità

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Il Molise non esiste è uno slogan, è vero, ma vi è qualche fondo di verità nel senso che è un territorio estraneo al resto della realtà nazionale. Almeno dal punto di vista della rete di comunicazioni con l’eccezione della linea di collegamento tra il Sud e il Nord d’Italia, su ferro e su gomma, che passa lungo la fascia costiera, la quale, così come ogni costa evidentemente, è ai margini della regione. Per dovere di precisione occorre dire che ci sarebbe dovuta essere un’atra infrastruttura di trasporto, ferroviario, per congiungere i due capi della Penisola il cui tratto molisano è la Carpinone-Sulmona, che però è diventata un “ramo secco”, che prosegue verso Boiano e Sepino costeggiando il Matese; è una strada ferrata definita transappenninica (o meglio transiberiana quella che interessa gli alti Molise e Sangro viste le quote che raggiunge toccando Roccaraso, S. Pietro Av., ecc.) e in quanto tale corre lungo il perimetro regionale definito proprio dall’Appennino.

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Sempre per obbligo di completezza è necessario aggiungere che vi è un ulteriore canale di percorrenza che attraversa il Molise, in questo caso parzialmente e marginalmente interessando solo il venafrano e l’alta valle del Volturno, cioè il suo far west, che è la storica “via degli Abruzzi”. Essa, la quale fa tappa a S. Vincenzo al Volturno e a Venafro, due centri, rispettivamente monastico e urbano, che devono tanto della loro magnificenza al passaggio di tale arteria, è contemporaneamente il tramite fra il sopra e il sotto e fra l’est e l’ovest della Nazione consentendo alle province abruzzesi di collegarsi con la capitale del regno, Napoli; è da sottolineare, per quanto può valere nel nostro discorso, la valenza particolare della Via degli Abruzzi, condivisa da ben poche altre strade nell’Italia peninsulare, di mettere in contatto l’Adriatico con il Tirreno. Ricapitolando e approfondendo lo sguardo, le traiettorie di transito sono tutte ortogonali all’asse maggiore della regione che è quello parallelo, proprio così, al Parallelo e non al Meridiano, oltre che disposte lateralmente seppure all’interno dei suoi confini; manca, in definitiva, un asse stradale in asse, è il caso di dirlo, con quell’asse maggiore di cui sopra di sviluppo della superficie regionale. Né vi sarebbe ragione che vi fosse se si parla come stiamo facendo di direttrici di spostamento a scala sovraregionale e ciò non perché andando in tale direzione, ovvero nel senso longitudinale del Molise, si termina nel mare in quanto la distesa marina è solcata da numerose rotte lungo le quali, magari, proseguire il viaggio; il problema è che il nostro litorale essendo rettilineo è privo di porti veri e propri, neanche quello di Termoli lo è pienamente. Del resto, da noi il mare è poca cosa, solamente 36 chilometri di striscia litoranea e il tanto agognato “affaccio al mare” ottenuto con la trasformazione da Contado di Molise a Molise (desiderio consapevole o meno) non ha modificato assolutamente il suo assetto di regione collinare e montuosa. Al punto in cui siamo, dopo una esposizione forse troppo serrata, volendo delineare il quadro della viabilità molisana nel contesto nazionale in breve spazio, è d’uopo una pausa, cambiando, ma non molto, comunque, argomento.

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Lo spunto per tale momento di sosta ci è offerto dall’annotazione di prima circa la ristrettezza della nostra costa. Quest’ultima costituisce uno dei lati dell’ideale rettangolo che racchiude la superficie del Molise, con l’esclusione del comprensorio altomolisano, una protrusione che fuoriesce da tale figura geometrica. Avere una pianta rettangolare significa che la lunghezza è prevalente sulla larghezza e nel Molise tale rapporto tra i lati è assai accentuato da cui discende che, essendo la sua dimensione trasversale abbastanza ridotta, non è sensato, spesso lo si fa, usare l’espressione «terra di mezzo» per definire l’identità regionale. Dato lo spessore limitato della regione non si coglie granché della sua “anima” osservandola nel procedere dal Trigno al Fortore (una formula ad effetto che è il titolo di un libro di E. Spetrino, niente di più). Ritornando adesso, dopo aver ripreso fiato, al tema delle comunicazioni si vede che il peso dell’armatura viaria nazionale, la quale, lo si ricorda, taglia il Molise secondo la sua direttrice più corta portando dal settentrione al meridione, sulla mobilità regionale è limitato (si intende che questa è, in riguardo alla rilevanza che hanno le infrastrutture trasportistiche nazionali nella nostra realtà, un’argomentazione che si somma a quella loro perifericità nel territorio molisano). C’è una questione specifica che vogliamo affrontare ora della maglia stradale del Molise che è legata alla individuazione della sua capitale, ruolo per cui venne scelto Campobasso quando si istituì nel 1806 la Provincia di Molise. C’entra, lo si avverte, con il tema principale, della viabilità nazionale poiché concerne il rapporto tra potere centrale e potere periferico i quali devono essere in stretto collegamento, anche viario, fra loro.

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Venne prescelta Campobasso non solo per le sue indubbie doti, dall’essere stata la patria del Conte Cola alla posizione che aveva nel mezzo della maglia tratturale alla funzione di mercato del grano cui assolveva, ma soprattutto per la collocazione di questo agglomerato urbano nel baricentro per lo meno del vecchio Contado di Molise. Ciò andava a scapito della sua raggiungibilità da Napoli perché posta in una zona interna dalla morfologia complicata, ad una certa altitudine e quindi discretamente innevata tanto che a volte rimaneva isolata, tutti fattori, negativi, che Boiano ed Isernia non presentano, comuni, peraltro, di maggiore nobiltà storica. La geografia della regione è quella che è, o meglio quella che è diventata con la creazione voluta dai Francesi della Provincia, quel rettangolo molto allungata cui si è detto: il punto geometrico centrale è assai più spostato verso la costa rispetto a Campobasso e, però, la popolazione era addensata nella fascia pedemontana, pedappenninica se così si può dire, per cui la città del Monforte apparve come il giusto compromesso. Termoli rimaneva esclusa dal sistema di circolazione infraregionale (lo descrive bene Iovine in Gnora Ava), anche se è inserita in quello nazionale che predilige la pianura marina e che fa la fortuna di numerose cittadine pugliesi (Barletta, Trani, ecc.) tutte allineate alla costiera; vale la pena far notare che la Puglia è lunghissima e strettissima per cui è servita interamente dal flusso infrastrutturale adriatico il che è un bel vantaggio nei confronti del Molise. La condizione geografica ha influenza sulla condizione economica e, da qui, è un appello, l’importanza dello studio della Geografia in ogni ciclo scolastico.

Le infrastrutture di trasporto

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Nel Molise non si è andati avanti in numero di strade di attraversamento del territorio regionale in paragone al passato, anzi si è andati un po’ indietro. Infatti, l’unico canale di comunicazione di scala sovraregionale davvero importante rimane quello litoraneo con la ferrovia e la statale adriatica che vi corrono affiancate già da oltre un secolo, alla quale si è aggiunta qualche decennio fa l’autostrada, sempre lungo l’Adriatico. Si tratta di collegamenti di rilievo nazionale perché servono a tenere unito, da questo lato della Penisola, da nord a sud il Paese. Ha perso d’importanza, in concomitanza con la perdita d’importanza delle “aree interne”, la strada statale n. 17 che congiunge il rietino con il Tavoliere solcando, evidentemente per intero secondo tale direttrice, il suolo molisano e con essa la linea ferroviaria Sulmona-Carpinone-Boiano e quindi il beneventano, diventata oggi, il primo tratto, addirittura un “ramo secco”. Si è detto all’inizio che la regione registra un arretramento in termini di viabilità che la attraversa e ciò è tanto più vero se si includono in quest’ultima anche i tratturi i quali, se è certo che non sono specificamente destinati al transito delle persone e delle merci, bensì alle greggi, venivano, comunque, utilizzati pure per gli spostamenti pedonali sulla “via regia” posizionata di norma al centro delle piste erbose che dalle montagne d’Abruzzo portano in Puglia. Andando indietro nel tempo troviamo nel capo opposto del Molise rispetto alla costa la Via degli Abruzzi, detta così perché dalla capitale dello stato borbonico arriva alle province abruzzesi, altrimenti irraggiungibili da Napoli.

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Il punto di partenza è propriamente Venafro. A questo proposito c’è da sottolineare che tale cittadina è stata da sempre la porta d’ingresso non solo alla regione confinante, ma alla nostra stessa regione. Questo è l’unico varco che introduce al Molise, da qualsiasi direzione, sia nella striscia costiera sia nella sua zona mediana sia nella dorsale appenninica, contrassegnato dalla presenza di una città;  del resto, in epoche lontane il litorale che si è visto essere una fascia preferenziale di passaggio attraverso il Molise, una delle direzioni di cui sopra, era acquitrinoso e malsano tale da non favorire la nascita di insediamenti urbani, salvo Termoli che, però, è distante da entrambi i termini della regione, a metà strada tra quello con la Puglia e quello con l’Abruzzo. Vale la pena evidenziare ulteriormente che Venafro marca l’entrata, da un lato alla Via degli Abruzzi e dall’altro all’interno della regione la cui rete viaria primaria ha una struttura ad albero con il tronco rappresentato dalla statale Venafrana e i rami delle varie diramazioni, ad Isernia quella della Trignina, a Boiano la biforcazione tra la Bifernina che va verso Termoli e il tratto che serve Campobasso che è un capolinea. Torniamo ora a noi, alla casella iniziale del discorso, quello sulla viabilità di attraversamento per sottolineare che essa, seppure non in modo sincrono, ha interessato le due ali della regione, ad est le infrastrutture viarie e ferroviarie della costa e ad ovest, di nuovo, la Via degli Abruzzi (di attraversamento per il Molise e di penetrazione per l’Abruzzo). L’ambito centrale, lo si è accennato, non ha nessuna strada che l’attraversa da regione a regione, dall’Abruzzo alla Puglia, cioè superegionale; non è mai andato in porto il progetto della Transcollinare della quale sono stati realizzati esclusivamente alcuni spezzoni. Non si è affrontato finora un tema significativo delle arterie di attraversamento ed è il momento di farlo, quello della intercettazione dei flussi, di uomini e di beni, che vi transitano. È una questione cruciale per il Molise quella di sfruttare la propria collocazione geografica mediana nello Stivale, la capacità di arrestare una quota dei traffici che la solcano. Gli antichi sapevano farlo come dimostra l’ubicazione dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno ai margini della Via degli Abruzzi che dovette essere anche un luogo di scambi per cui la sua prosperità è legata ai commerci tra le floride terre degli Abruzzi Citeriore e Ulteriore, si pensi allo zafferano, una preziosa spezia, e il capoluogo del reame. Forse a contribuire alla fine del “potere temporale” di questo monastero di età carolingia fu la deviazione del collegamento con l’Abruzzo verso il più agevole, di quello delle Rampe di S. Francesco, passo di Rionero S. previa la costruzione del ponte dei 25 Archi sul Volturno; ciò avvenne sul finire del Regno delle Due Sicilie per cui non vi è stato il tempo per sperimentare tale innovazione di tracciato dato che di li a poco si ebbe l’Unificazione dell’Italia e il contestuale venir meno del rapporto centro-periferia fra la città partenopea e le Province Napoletane. Si è tentato di drenare una porzione della ricchezza che si muove dal settentrione al meridione anche sulla costa con la previsione, in era contemporanea, dell’Interporto vicino a Termoli che, purtroppo, è il caso di dirlo, non è andato in porto.

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Se le traiettorie fondamentali di percorrenza sono tangenziali al perimetro regionale è scontato che chi le segue non riesce a distinguere a pieno le peculiarità del territorio, addirittura a percepirlo in maniera precisa: può essere questa una delle ragioni che stanno dietro lo slogan «Il Molise non esiste». Con uno sguardo diacronico si rileva che per quanto riguarda il versante occidentale della regione la dotazione di una attrezzatura viaria adeguata inserita nel sistema stradale nazionale risale alla dominazione romana, la via Minucia, mentre, ad oriente, l’infrastrutturazione trasportistica adriatica che interessa pure il nostro litorale è moderna. In un’ottica sincronica il quadro dell’organizzazione territoriale che si delinea è quello di una più alta densità di popolamento dei contesti prospicienti la marina e di quelli pedemontani, i monti sono l’Appennino; è una immagine speculare con l’elevata concentrazione di abitanti del basso Molise che si ribalta nell’asse che tiene insieme Venafro, Isernia, Boiano e, un po’ più in là, Campobasso. Qualche legame ci deve pur essere tra tale sbilanciamento demografico a favore dei due estremi della regione con la faccenda descritta delle aste di comunicazione maggiori poste anch’esse lateralmente al suolo regionale.

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