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Ponti e viadotti in Molise

Ci sono sostanziali differenze tra un ponte e un viadotto, Strutture che spesso nel pensiero accomuniamo, le quali non si riducono solamente alla lunghezza dell’impalcato. Ne vediamo alcune, non tutte, ce ne sarebbero di ulteriori. Il ponte è, per così dire, un punto certo nella geografia dei luoghi. Esso, causa l’impegno costruttivo che era necessario profondere per la sua edificazione, era un fatto raro in passato quando i mezzi per l’esecuzione dei lavori erano limitati. Il ponte è, era, concepito in modo che durasse a lungo, cedimenti fondali e spondali permettendo; una merce di prim’ordine non si avaria a differenza di quella a basso costo e di qui la qualità architettonica oltre che la bellezza di moltissimi ponti molisani. Con la tecnologia del cemento armato si va più veloce, e da ciò derivano i numerosi viadotti che in breve tempo si sono diffusi nel territorio e, quindi, nel paesaggio molisano. Vediamo, vedremo, se i viadotti hanno la medesima proprietà di durabilità dei ponti, vanno ancora messi alla prova del tempo non avendo i più vecchi più di mezzo secolo. Il viadotto è indistinguibile rispetto al resto dell’asse viario cui appartiene, il ponte ne è un momento particolare. Ci si accorge che ci si trova su un ponte quando durante un percorso che si sviluppa in aree collinari o montane le quali hanno un’orografia movimentata si incontra un tratto in piano: è facile che sia un ponte in quanto lì la superficie carrabile è piatta. Ciò non accade con i viadotti i quali seguono la medesima livelletta della strada di cui fanno parte. È quanto si percepisce stando all’interno della carreggiata; se si sta all’esterno si coglie altrettanto nettamente la diversità del ponte la cui lunghezza coincide con la larghezza del corpo idrico dal viadotto il cui sviluppo non è ristretto alle rive fluviali. Sinteticamente: il ponte e la strada sono 2 cose distinte, mentre con il viadotto sono un tutt’uno.

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 Il destino del viadotto è legato a quello dell’arteria, se non del progetto dell’arteria, quella di collegamento tra l’altomolise e l’altovastese con un viadotto che si interrompe nel vuoto in aperta campagna, agnonese, in attesa, da decenni, del completamento del lotto. Oggi non si fanno più ponti, semmai li si rifanno: il ponte della “salsiccia” ad, non in, Agnone, l’originario demolito con la dinamite perché irrecuperabile per colpa del movimento franoso che aveva minato (non con l’esplosivo!) al piede i piloni. A Toro sul Tappino si è voluto un ponte ex-novo non per il crollo del preesistente, bensì per dirottare il traffico automobilistico da quest’ultimo, assai antico e assai pregevole, la cui stabilità sarebbe potuta essere compromessa dalle vibrazioni prodotte dalle auto; l’azione è degna di lode non la realizzazione poiché si è affiancato ad un ponte bellissimo uno bruttissimo sorretto com’è da tubi “armco”. Ponti come quello della valtappino a schiena d’asino, un altro è quello di S. Rocco a Sepino, sono una tipologia rarissima per cui rappresentano l’eccezione che conferma la regola la quale è che i ponti sono in piano; con i ponti usuali hanno in comune il fatto che gli appoggi ai due estremi opposti stanno alla medesima quota, mentre per i viadotti, i quali peraltro non è scontato che abbiano le spallette, non è, di nuovo, scontato. È scontato, invece, che i viadotti non abbiano un andamento arcuato come quello dei ponti con sagoma asinina, con il profilo che richiama il dorso di un animale da soma. 

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 Procediamo oltre. Su un ponte può convergere più di una strada, vedi quello sul Trigno a Sprondasino (forse in origine era a schiena d’asino?) raggiunto da molteplici percorsi viari; tanto era, e continua ad esserlo, strategico che vi si affiancò una taverna e una torre di difesa. Il viadotto, all’opposto, è connesso, si insiste, ad un unico tracciato viario. Andiamo avanti. Con i viadotti cambia la concezione stessa di strada. Il sedime viario, se ancora è lecito chiamare così, si svincola dal suolo, diventa aereo, sostenuto dalle pile in c.a., non deve essere più aderente al terreno, assecondare la morfologia dei luoghi; per esemplificazione indichiamo la serie ininterrotta di viadotti della nuovissima superstrada che dalla Bifernina porta a S. Giusta di Palata, i quali servono tanto a oltrepassare i rivi affluenti del Biferno, quanto ad uniformare l’inclinazione del piano viario. Il largo impiego di viadotti, i quali insieme alle frequenti gallerie rendono indipendente la Trignina dal rilievo terrestre, mette addirittura in discussione la denominazione di «fondovalle» perché solo nominalmente solca la «valle» del Trigno, tantomeno nel «fondo» della stessa. Il discorso per la Bifernina, salvo le gallerie che non vi sono, è simile ed in entrambe è leggibile la volontà di disegnare una direttrice viaria rettilinea, la più corta possibile per unire le zone interne con il litorale. Il tracciato fondovallivo bifernino deve fare i conti con i vari ponti, trasversali ad esso, che uniscono le due parti della regione spaccata in, appunto, due che da questo corso d’acqua, viadotto versus ponte.

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Problema analogo per la Trignina non c’è, il Trigno è un fiume di frontiera; sono gli svincoli che in modo mediato, non diretto come un ponte, congiungono il Molise con l’Abruzzo. La Bifernina ha un’ulteriore singolarità, i viadotti impostati su un bacino lacuale, il lago di Guardialfiera, cosa davvero inusitata. Il viadotto Molise 1 che sta dentro l’invaso artificiale aggiunge un’altra particolarità, la forma planimetrica curvilinea; ponti, un ulteriore aspetto che li distingue dai viadotti, sono sempre rettilinei, anche quelli più lunghi, il Ponte dei 25 Archi e il Ponte dei 13 Archi. La differenziazione tra ponti e viadotti sta pure nel rapporto che essi instaurano con l’alveo fluviale, i ponti sono costantemente ortogonali al letto del corso d’acqua (a smentita c’è il Ponte Sbieco a Colli a V.), i viadotti non si curano di essere perpendicolari all’asta del fiume. La finiamo qua, ma ci sarebbe, in aggiunta, il capitolo sulle tangenziali urbane che viaggiano di norma su viadotto.

 

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