Non c‘è nessuna attrezzatura simile alla quale il palazzo della Gioventù Italiana del Littorio si sarebbe potuto ispirare: c’erano, sì, le palestre come c’erano le sale per spettacoli, ma non esisteva prima di allora alcun edificio che le comprendesse entrambe. Bisogna sottolineare per evitare equivoci che è vero che nelle scuole possono essere comprese sia l’una che l’altra nel medesimo tempo, ma qui esse hanno un ruolo sussidiario, mentre nella GIL le stesse rappresentano l’elemento centrale, in verità due, della costruzione.
Si vuole dire che in un istituto scolastico (di ogni ordine e grado) si va per frequentare il corso di studi nel quale sono previste pure l’ora di ginnastica e le esercitazioni sceniche magari nel doposcuola poiché non curriculari, da svolgersi in spazi dedicati, al contrario che nella sede della GIL istituzionalmente preposta allo svolgimento di esercizi fisici e alle rappresentazioni teatrali (prevalentemente dilettantesche). Mancava una tipologia architettonica definita e, bisogna ammettere, manca tuttora; negli ultimi tempi sono comparsi in diversi centri molisani manufatti destinati a centri sociali, prendi Lupara e Trivento (a Colle S. Giovanni), presi ad esempio perché l’uno parrocchiale, l’altro comunale, che hanno poco in comune tra loro tanto per dimensioni quanto per attività svolte, il che non permette di individuare l’affermazione di criteri tipologici condivisi. Il processo che si è compiuto a cavallo tra seconda metà del XIX e prima metà del XX secolo di messa a punto di modelli di fabbricati per le nuove funzioni urbane, dalla stazione ferroviaria al macello, non ha interessato iniziative analoghe a quella della GIL che si muovono nel campo della ricreazione, della cura del corpo e della cultura (la GIL, però, manca della biblioteca).
Forse, per trovare qualcosa di simile come finalità istituzionali a quelle della GIL bisognerebbe risalire alla civiltà greca in cui era presente il “ginnasio” con i giovani nella cui formazione è coinvolto tanto lo spirito quanto il fisico. In definitiva, dal punto di vista compositivo, la GIL va considerata un’opera sperimentale perché lo schema distributivo degli spazi da essa adottato ha i caratteri dell’originalità, non avendo a disposizione niente da copiare o meglio da replicare. A differenza dei centri sociali, pure di quelli ricavati in architetture esistenti, dalla Casa Casaccia fuori del nucleo storico di Riccia alla ex scuola rurale di località Taverna a Cantalupo, la GIL si colloca in una posizione preminente dell’abitato di Campobasso, all’interno della prima zona di espansione residenziale, perché essa non vuole essere il luogo della “distrazione”, di un dopolavorismo contrapposto ai momenti della vita ordinaria, del tran tran quotidiano, quanto piuttosto esprime la volontà di essere integrata nella comunità, di partecipare allo svolgimento dell’esistenza di tutti i giorni. Lo sport e le manifestazioni culturali devono occupare una parte sostanziale della nostra giornata e, dunque, il posto destinato ad esse deve essere baricentrico rispetto al quartiere abitativo. È significativa, poi, la contiguità della GIL con la sede dell’OMNI, Opera Maternità e Infanzia, in quanto così si viene a costituire un polo di aggregazione comunitario di maggiore attrattività rispetto alle stesse strutture del partito fascista. La GIL e l’OMNI sono organizzazioni in grado di rivaleggiare pure con l’associazionismo cattolico il quale durante il regime continua ad avere presa sui giovani (nel Ventennio non è presente lo scoutismo). Inoltre si rileva la vicinanza con la Casa della Scuola pur non potendo considerare la missione della GIL integrativa a quella del mondo dell’istruzione, avendo essa un rapporto con l’universo giovanile nel suo complesso. In precedenza abbiamo parlato del fatto se la GIL è o meno tipologicamente un’architettura innovativa e non siamo giunti a nessuna reale conclusione, di seguito si cercherà, sperando in un miglior esito, di mettere in luce in che modo la sua caratterizzazione formale è rispondente al ruolo di riferimento per il contesto sociale, in specifico per la gioventù, che è chiamata a svolgere. Innanzitutto è necessario dire che il fascismo non ha espresso un univoco stile architettonico, i suoi edifici presentando a volte caratteri stilistici richiamanti la tradizione monumentale, altre volte adottando quale codice linguistico quello razionalista. Siamo ai due opposti, da un lato la retorica neoclassica, dal secondo lato il linguaggio del funzionalismo. Non si tratta di dissociazione mentale, potendo intravedere in tale duplicità di atteggiamento verso l’architettura una precisa logica.
Per i palazzi del potere è opportuno che si scelga uno stile aulico, vedi le semicolonne ad ordine gigante del coevo Tribunale che non è molto lontano, mentre la matrice legata al Movimento dell’Architettura Moderna informa la composizione dell’edificio della GIL. Sicuramente, è un inciso, nell’ambiente provinciale della Campobasso dell’epoca suscitò scandalo tale ultima opera non avendo mai visto i suoi abitanti niente di simile. L’architettura è chiamata a rappresentare la società, ragion per cui non c’è nulla che si addica meglio quale veste formale ad un edificio per i giovani, i quali, in ogni fase storica, hanno per valore la modernità, degli stili modernisti che connotano l’immagine della GIL. La grammatica moderna assunta a guida della progettazione rende la sede della GIL ben riconoscibile dalle “palazzine” per abitazioni, pur rapportabili per dimensione ad essa in particolare quando presentano la tipologia “in linea”, cosa che succede a via Milano e dintorni; l’imprenditoria privata riceverà un impulso verso la strada della modernizzazione proprio da questa realizzazione che rimane a lungo l’unico esempio di international style qui da noi. Di necessità, data l’Autarchia, un international style in salsa nostrana poiché, essendo il ferro un materiale d’importazione e l’importazione é impedita, non si può fare ricorso nella costruzione alla tecnica del cemento armato, se non parzialmente, per cui essa è realizzata con murature portanti, riducendosi, di conseguenza, le possibilità espressive.
La destinazione d'uso della GIL
Fin quando non è arrivato il Fascismo risultava poco sviluppato il tema dell’aggregazione sociale la quale per un regime repressivo è finalizzata al controllo delle persone, più facile se in gruppo che una per una. In verità ad esclusione di quanto faceva la Chiesa con le sue parrocchie più che con i conventi i cui relativi ordini erano stati soppressi all’indomani dell’Unità d’Italia e ripristinati solo con il Concordato (intanto i beni erano stati incamerati); essa era un terribile competitor al quale occorreva togliere l’esclusività nella realizzazione di occasioni aggregative della società. Una sfida tra visioni contrapposte, la seconda confessionale e la prima laica di cui è tradizionalmente portatrice l’entità statuale la quale durante il Ventennio è rappresentata dal Partito Nazionale Fascista che fa tutt’uno con lo Stato. Uno Stato centralizzatore come si conviene ad una dittatura che vuole, da un lato, limitare le libertà individuali e, dall’altro lato, una “collettivizzazione”, rendere collettivi i momenti della vita quotidiana, in particolare il tempo libero, e le due cose, ovvero i due lati, vanno a braccetto.
Le istituzioni propriamente statali permangono durante la cosiddetta Era Fascista, tipo la Prefettura e la Questura e ad esse si affiancano, in maniera paritetica, a gestire l’inquadramento delle masse le strutture del partito, diciamo, monopolista. È sorprendente che gli edifici pubblici non siano più solamente (escludendo scuole e ospedale) le sedi del governo, se così si può dire, civile, ma pure quelle partitiche, ovviamente del partito unico, dalla Casa del Fascio a quella del Balilla. Non si è citata apposta l’ennesima casa, la quale a Campobasso è però la sola, quella della Gioventù Italiana del Littorio perché essa ci serve per evidenziare la novità assoluta che tra le attrezzature istituzionali ora compaiono anche quelle per attività extraordinarie, che per i giovani sono extrascolastiche, in genere dopolavoristiche. Non vanno identificate affatto quale il superfluo, in quanto, al contrario, sono sostanziali nel disegno di creazione dell’ “uomo nuovo” vagheggiata dal Duce. Occorre formare gli esemplari di questa specie umana, non si è alluso a razza, superiore che è tanto nuova quanto antica perché discendente dai fieri Romani. Non si tratta, comunque, di superomismo perché la forza sta nel popolo, che non è una semplice sommatoria di singoli, nella sua unità e allora per sostenere la formazione dello spirito di corpo, pardon di popolo, sono necessari aggregatori sociali quali la GIL. C’è un grande progetto politico, in definitiva, dietro la nascita di tale organismo e lo rivela la stessa sua architettura la quale non a caso è Razionale, della corrente Razionalista, razionalità che informa la progettazione architettonica e nel contempo la strategia governativa che oggi potremmo definire populista nel senso che si fonda sul mito del popolo, che tende a formarlo (altra cosa, è chiaro, da popolare). Non si era mai visto nella sua capitale e, dunque, nell’intero Molise nulla di simile, un’opera di grandi dimensioni totalmente destinata a funzioni socio-culturali (c’è anche il cinema, nel dopoguerra denominato Odeon, il quale, tenendo conto che i cinematografi cominciano ad apparire nella nostra nazione nella seconda metà degli anni ’30, è tra i primissimi in Italia). Dovette suscitare stupore oltre alla stazza del contenitore la sua polifunzionalità, cioè la compresenza all’interno di una pluralità di destinazioni d’uso in quanto si era abituati ad una collocazione delle stesse distinta e separata, la palestra, quella del Mario Pagano annessa al liceo-convitto, la sala per rappresentazioni teatrali e conferenze (e che sala!), il teatro Savoia.
Un’ulteriore osservazione, di differente genere, è che la costruzione della GIL è frutto di un’operazione eterodiretta, non di decisioni prese localmente. Una prova di ciò è che il progettista è un architetto romano, Filippone, fiduciario dell’ente nazionale voluto da Mussolini per i giovani, senza che venga concesso alle autorità locali di poter segnalare nominativi di tecnici (un po’ quanto è successo con l’edificio delle Poste, del Genio Civile, ecc.). A testimoniare tale dirigismo nelle scelte derivante dall’organizzazione gerarchica, i gerarchi, degli apparati del Fascio, che sia un manufatto calato dall’alto nella realtà cittadina, vi è l’impiego in origine del rosso scuro nelle facciate, il “rosso pompeiano”, il colore simbolo della romanità. È tale colorazione insieme ad altri aspetti dell’aspetto (non è una ripetizione) fisico come l’ordine gigante, non conta che non c’è il capitello, del pilastro all’ingresso, di per sé espressione di ricerca di monumentalità, a rivelarci la natura di strumento di propaganda anche attraverso i caratteri figurativi delle iniziative costruttive di cui parliamo. Se vuole essere una sorta di manifesto pubblicitario la sua collocazione ai margini del Borgo Murattiano, quindi del centro della città, non è proprio quella adeguata; del resto il quartiere sorto fuori le mura durante la dominazione francese, pur ampio, in poco più di un secolo si era armai saturato tanto che lo stesso tribunale, un’istituzione primaria, coevo della GIL si era dovuto accontentare di un lotto residuale che ne sacrifica, attaccato com’è ad abitazioni private, l’integrità dell’immagine architettonica il cui requisito fondamentale, tanto più che vuole assomigliare a un tempio, è l’isolamento.
Comunque, il Palazzo di Giustizia è riuscito trovare posto, un posticino, in seno alla scacchiera urbana ottocentesca, mentre la GIL rimane, si usa dire così, all’esterno. C’è il vantaggio, però, di un maggiore spazio disponibile che le consente di aver assegnata una particella fondiaria autonoma. Di frequente abbiamo sottolineato che si tratta di una attrezzatura innovativa per la quale e della quale non ci sono precedenti. In altri termini, non si erano ancora consolidati schemi tipologici da seguire, si era in una fase di sperimentalismo. Le GIL, al plurale, sono ognuna un’opera prima, il progettista non ha l’obbligo di misurarsi con alcun modello previssato. Neanche sono prestabilite, non vi è manualistica, le caratteristiche che deve possedere il sito il quale qui è in discreta pendenza e a sviluppo lineare; niente di cui lamentarsi, non sono, limitazioni, anzi stimolo per una originalità della visione, cosa che informa il manufatto campobassano il quale è un prodotto ben riuscito.
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