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1. Il clima nel Molise

Oggi la questione del come fronteggiare i cambiamenti climatici è in primo piano nelle preoccupazioni della popolazione; le strategie possibili sono due, non in contrapposizione fra loro, quella della riduzione delle cause dell’innalzamento della temperatura e quella dell’adattamento della società alla mutazione del clima che è in corso. Qualcosa ci può insegnare a proposito della capacità dell’uomo di adeguarsi alla climatologia dei luoghi il fenomeno della transumanza: essa permette di sfruttare in modo complementare risorse, che sono quelle della disponibilità di pascoli, poste in zone con situazioni climatiche diverse, le montagne abruzzesi e le pianure pugliesi. La parte centrale del Tavoliere è una delle aree della penisola italiana con il minore indice di piovosità, e, pertanto, non utilizzabile che per il pascolamento degli armenti. Le civiltà del passato tendevano a modellare il sistema agricolo in relazione al contesto ambientale e non, come si è fatto dopo, a “plasmare” quest’ultimo per i propri fini. Ci si sta riferendo a quanto avvenuto nel Basso Molise con la realizzazione della diga del Liscione che ha sopperito all’aridità naturale del terreno irrigando i campi. A rendere il suolo secco deve aver contribuito l’eliminazione delle grandi distese boschive, vedi il bosco Tanasso, che coprivano un tempo le pianure del Basso Molise per avere campi da coltivare: l’apparato foliare delle piante favorisce l’evotraspirazione la quale è all’origine della formazione delle nubi e, quindi, della pioggia e ciò lo hanno capito bene i cinesi che stanno provvedendo ad impiantare alberi per arrestare il processo di desertificazione.

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Questa è stata la principale conseguenza della bonifica agraria, un vasto programma avviato già alla fine del XIX secolo e proseguito durante il fascismo al quale all’aridità che ne è conseguita si è riusciti a porre rimedio all’aridità con la realizzazione degli invasi artificiali. Peraltro, la massa d’acqua contenuta in questi bacini svolge una funzione moderatrice della temperatura nel comprensorio circostante tanto che a valle del lago di Guardialfiera si è sviluppata un’intensa produzione frutticola (l’azienda Desiderio). Il controllo degli agrosistemi è avvenuto, in maniera maggiore o minore, anche in altre aree della regione, salvo che in quelle più decisamente montane. Nella fascia collinare vera e propria vi è stata nel corso del 1800 un’autentica riconversione delle colture, ma qui non c’entra il clima, bensì l’introduzione del metodo della rotazione triennale il quale ha portato ad una accresciuta produttività delle superfici coltivate. Essa negli ambiti sub-collinari prossimi alla costa ha trovato la resistenza dei proprietari dei latifondi che erano gestiti in modo “estensivo” per i quali c’è stato bisogno della Riforma Agraria degli anni ’50 del secolo scorso che ha favorito la diffusione, conseguente alla parcellizzazione dei fondi, di nuovi indirizzi colturali. Il condizionamento climatico risulta più forte negli ambienti estremi, è scontato, dunque in montagna, così come lo era stata fino all’avvento della irrigazione permessa dagli invasi, la piana costiera. Nelle alte quote non è cambiato niente dalle epoche precedenti, dal punto di vista dello sfruttamento zootecnico del territorio continuando a praticarsi l’alpeggio secondo modalità tradizionali; si è aggiunto, però, il turismo invernale, almeno sul Matese con la nascita di Campitello, un settore economico che è climadipendente, nel senso che se non nevica non si può sciare e le annate con scarsa nevosità sono sempre più frequenti in tempi recenti.

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Neanche i cannoni per l’innevamento artificiale riescono a ridurre questa dipendenza. Soffermandoci su questo massiccio montuoso vediamo che l’unica stazione sciistica sta sul versante molisano che è il più freddo non solo perché è esposto a nord, ma pure perché dal nostro lato gli influssi marini si avvertono meno che in Campania data la distanza dal litorale adriatico superiore a quella che si ha nella regione confinante tra il Matese e il mare. Infatti la catena appenninica di cui fa parte il rilievo matesino, qui da noi è spostata ad ovest, non è nella mezzeria dello “stivale”. Perciò la faccia campana di tale monte risente maggiormente degli effetti mitiganti dei valori termici prodotti dal mare. Ad ogni modo, seppure sbilanciati verso il Tirreno siamo il pezzo della nazione in cui l’esposizione alle correnti d’aria, le brezze, provenienti dal Mediterraneo è significativamente superiore che altrove in quanto il più sottile, da cui l’enorme interesse dimostrato per la nostra terra dall’industria eolica. Si è detto che la copertura nevosa è incostante, considerando l’ultimo arco temporale, e la stessa cosa la si coglie se allarghiamo lo sguardo ad un periodo di tempo assai più ampio, ai 2 millenni che ci separano dall’inizio dell’era cristiana. Dal I secolo avanti Cristo al 400 dopo Cristo il pianeta ha vissuto una fase calda nella quale, di conseguenza, la quantità di neve caduta è stata limitata; ciò deve aver facilitato gli spostamenti, pure in inverno, sui valichi montani permettendo contatti frequenti tra i centri italici di Isernia, Boiano e Sepino e quelli di Telese e di Alife posti al di qua e al di là del Matese, quindi l’unità del popolo sannita. In seguito, cioè dal V sec. d. C. all’800 d. C., la Terra si raffredda: ed è in questa fase climatica che si ha la caduta dell’impero romano e, dopo, il ripopolamento del Sannio con popolazioni barbariche le quali non migrarono (quasi fossero “migranti climatici” ante litteram) a sud per sfuggire all’inclemenza del tempo nelle regioni nord-europee d’origine, dato che l’abbassamento dei gradi centigradi avvenne in tutto il globo. Dall’800 al 1200 le temperature aumentarono e con esse il livello dei mari, come si paventa oggigiorno per i cambiamenti climatici in corso, e la serie delle fasi continua, con un’alternanza tra momenti (di durata pluricentenaria) temperati e momenti freschi (la Piccola Glaciazione che si conclude nel 1750) ciascuno dei quali ha lasciato tracce sulla crosta terrestre (circhi glaciali, m. Miletto, paleodune Campomarino, ecc.) che rappresentano altrettanti moniti sulla precarietà degli equilibri ecosistemici.

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2. La meteorologia molisana

Il Molise è stretto fra l’Appennino e la riviera adriatica, in verità mica tanto, almeno se questa distanza la si rapporta a quella tra il Trigno e il Fortore, cioè in direzione trasversale alla prima. La nostra regione è, in altri termini, molto più lunga nell’asse est-ovest che in quello nord-sud cioè quello secondo il quale le temperature vanno decrescendo (al Settentrione è ben noto i valori termici sono più bassi che nel Meridione). È talmente corto il territorio regionale misurato tra i confini con la Puglia e con l’Abruzzo che la variazione di gradi centigradi è davvero minima, così minima che non ha significato parlare per l’aspetto climatico, a differenza di quanto si fa per altre caratteristiche ambientali, di zona di transizione e ciò confermerebbe, ironicamente, l’affermazione che “il Molise non esiste”. Non c’è alcun passaggio graduale perché il promontorio del Gargano, secondo i geografi, costituisce una cesura netta tra il clima del Mezzogiorno e quello dell’Italia Centrale. Comunque abbiamo detto prima e non lo smentiamo ora che il Molise è costretto tra la catena appenninica e il litorale e ciò è assolutamente veritiero se riferito alla climatologia, argomento di cui ha senso parlare in relazione alla longitudine (abbiamo visto che ne ha poco in riguardo alla latitudine). Infatti, dall’Adriatico provengono correnti fredde in alcuni periodi dell’anno che si arrestano contro i massicci montani appenninici e questi ultimi, a loro volta, costituiscono in qualche modo uno sbarramento alle perturbazioni che interessano il versante tirrenico dello Stivale.

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Si può dire che il mare Adriatico ci espone direttamente alle masse d’aria che giungono dai Balcani mentre l’Appennino ferma quelle che vengono dall’oceano Atlantico. All’inizio si è richiamato il fatto che andando verso nord fa più freddo, ciò perché ci si va allontanando dall’Equatore, senza, però, che vi siano salti di continuità nel senso che l’abbassamento della temperatura avviene gradatamente. È del tutto dissimile il comportamento che ha il clima se ci muoviamo nella direzione opposta, cioè ortogonalmente all’asse principale dell’Italia peninsulare in quanto in questo caso i cambiamenti avvengono in maniera brusca, in coincidenza con il crinale montuoso che divide a metà il territorio nazionale, che è un limite climatico deciso, non c’è niente di simile. Peraltro da ciò discende che le sommità dei nostri monti sono esposte ai venti marini da ambedue i lati, tirrenico e adriatico, per cui tale fascia geografica è quella che ha la maggiore piovosità. L’effetto del mare nel determinare valori termici bassi, più bassi di quelli del versante opposto dell’Appennino a parità di latitudine, è sensibile poiché l’Adriatico è una distesa marina poco profonda, meno profonda della tirrenica che in aggiunta è molto più vasta per cui è in grado di esercitare un’azione calmieratrice delle temperature superiore.

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Oltre alla minore capacità mitigatrice dei valori termici va considerato che l’Adriatico, in fin dei conti, è un canale solcato da flussi di acqua fresca che si spostano da nord a sud, fenomeno che ha influenza sul clima rendendolo più, si insiste sulla parola, fresco. È come se il bacino acqueo più freddo del golfo di Trieste si spostasse al meridione, con cadenza costante. Per quanto riguarda la frontiera climatica ad occidente essa è formata dalle alture del parco Nazionale d’Abruzzo le quali sono in continuità con le emergenze montane dell’Italia centrale e che proseguono a sud con il bastione matesino; l’interruzione del sistema montuoso è costituita dal Volturno che separa il Matese dal resto delle montagne e in tale varco, figurativamente, si inseriscono Venafro e Sesto Campano dove si avverte l’apporto d’aria del Tirreno; identica conformazione orografica la ritroviamo all’altro capo del Matese, ma questa volta a penetrare nella Campania è il Tammaro, il cui corso iniziale è l’estremo lembo del Molise, storicamente centrale nel Sannio. Salvo le eccezioni che si sono appena descritte, troviamo che il territorio molisano ha eguale esposizione all’Adriatico che è il suo fronte orientale e all’Appennino che è quello occidentale. Ciò non significa, però, che il clima al suo interno sia uniforme, dipende dalla distanza di un luogo dai due elementi, il mare e i monti, che qui da noi può essere notevole, dato lo sviluppo trasversale consistente della regione per via di quella singolare traslazione dell’Appennino che non è come altrove nella mezzeria della Penisola, bensì, spostato verso il Tirreno. Il clima non è lo stesso dappertutto nel Molise, vi sono numerosi fattori che incidono su di esso. Tra di essi vi è la presenza dei grandi invasi artificiali del Liscione e di Occhito che temperano il clima nell’intorno, vi è la differente altitudine dei comprensori (l’Alto Molise è un ambito abbastanza largo che forma una vera e propria unità sub-regionale in cui sono presenti diversi insediamenti che superano i 1000 metri di quota), vi sono le valli dei corsi d’acqua più grandi della regione i quali corrono ortogonalmente alla costa favorendo così la diffusione degli effetti del mare nelle vallate di tali fiumi, vi sono piane in cui l’umidità ristagna favorendo la formazione della nebbia (vedi Boiano), vi sono episodi montuosi che, al contrario delle aste fluviali che le agevolano, ostacolano la penetrazione delle influenze marittime nel resto della regione ad esempio Monte Mauro. È doveroso, infine, far notare, per valutare l’effettivo ruolo del mare sul clima regionale, che l’interfaccia del Molise con l’Adriatico è minima, solo 36 Km., e che trovandoci nel punto più stretto dello Stivale siamo vicini ad entrambi i mari e, perciò, climaticamente calati in pieno nel Mediterraneo.

3. La ventosità nel territorio regionale

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I cambiamenti climatici sono un argomento all’ordine del giorno che si impone con forza nelle scelte politiche in ogni campo, anche, e forse principalmente, in quello dell’energia. Aumenteranno le ondate di calore che hanno investito in alcune giornate estive pure Campobasso. La temperatura media del nostro pianeta è destinata a crescere di 1,5 gradi, se non 2, rispetto a quella misurata nel cinquantennio che va tra il 1850 e il 1900 e ciò avverrà in questo secolo. Lo scioglimento progressivo dei ghiacciai porterà ad un innalzamento del livello del mare che è stimabile in un minimo di 26 centimetri ed un massimo di 82, pericoloso specie per le coste basse come la nostra. Mentre si incrementa la temperatura è prevedibile una diminuzione delle precipitazioni; a quest’ultima, di nuovo un’alternanza fra ciò che sale e ciò che scende, si contrappone un aumento di eventi meteorologici estremi. Da quest’ultimo fenomeno deriva un maggior numero, da un lato, di frane e, dall’altro, di alluvioni. La diminuzione della piovosità porta all’inaridimento del terreno il quale ha come conseguenza prevedibile quella dell’innesco di processi di desertificazione.

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Il Molise già oggi, nella fascia di territorio a confine con la Puglia, è minacciato dalla desertificazione. La riduzione delle precipitazioni insieme alla salita della temperatura è destinata a favorire gli incendi boschivi, un rischio da scongiurare se non si vuole la distruzione di una importante componente del paesaggio molisano, che è collinare e montano essenzialmente, costituita dal patrimonio forestale, intaccato più volte in passato dal fuoco. L’estremizzazione delle precipitazioni, questa volta non la diminuzione, è un fattore di pericolo per la stabilità del suolo specie nella parte centrale della regione dove vi è la prevalenza di formazioni geologiche argillose, maggiormente predisposte all’erosione e quindi, pure per questa via, alla perdita dello strato di terra fertile, alla desertificazione. Per quanto riguarda le inondazioni, che come si è detto saranno più frequenti, cioè con più ristretti «tempi di ritorno», esse interessano gli ambiti di pianura e, perciò, in primo luogo la zona costiera. Nelle aree urbane, poiché coperte estesamente da cemento ed asfalto, materiali impermeabili, vi sono difficoltà superiori nel favorire il deflusso delle acque frutto di qualche straripamento. Qui da noi le preoccupazioni sono concentrate sull’agricoltura, un settore essenziale per le prospettive di sviluppo regionale, che subirà ripercussioni dai cambiamenti climatici in corso i quali determinano frane e isterilimento del suolo, come si è esposto sopra, in definitiva perdita di superficie agraria. Le pratiche agricole, inoltre, saranno costrette a modificarsi per via della carenza d’acqua la quale costringerà a eliminare, almeno parzialmente, le coltivazioni troppo idroesigenti e questo fatto avrà ricadute negative sull’economia del basso Molise in cui è stata l’irrigazione a permettere il decollo del settore primario. Risparmiare le risorse idriche è uno dei capisaldi delle strategie di adattamento che si stanno mettendo in piedi a livello internazionale, europeo e nazionale che sarà necessario trasferire alla scala regionale. La lotta ai mutamenti del clima assegna un ruolo decisivo al comparto energetico; la produzione di energia, linfa vitale della società, è un nodo cruciale nelle politiche da adottare sia per contrastare l’incremento dei gradi centigradi sul pianeta (la combustione nelle centrali convenzionali emette gas serra) sia per adattare la specie umana alle nuove condizioni climatiche.

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La conversione del modello energetico attuale nel quale ancora hanno un peso preponderante gli impianti alimentati dai derivati del petrolio non può non far leva sulle energie alternative. Per quanto concerne le rinnovabili, va considerato, comunque, che l’idroelettrico è destinato a subire una flessione per quella scarsità d’acqua che è nelle previsioni e che per le biomasse non saranno consentite colture dedicate le quali costituirebbero sottrazione di suolo alla produzione alimentare, intollerabile nel futuro quando sarà ipotizzabile un decremento del terreno agricolo. Quest’ultima osservazione vale pure per il fotovoltaico ammissibile solo sulle coperture, ma non sui campi. Allora non rimane che l’eolico nei cui riguardi, però, si nutrono perplessità legate innanzitutto all’impatto visivo. Eppure, nonostante l’evidente incidenza sul paesaggio di questi pali, è necessario assicurare un quantitativo consistente di energia prodotta dal vento per limitare i danni derivanti dalla mutazione dell’assetto climatico sulla Terra. Danni che riguarderebbero anche il patrimonio culturale del quale quello paesaggistico è parte. I movimenti franosi, tipo quello che sta interessando Civitacampomarano o quello che ha distrutto un pezzo di Monacilioni, rischiano di annullare interi insediamenti storici e monumenti isolati, prendi il convento di S. Nazario a Morrone del Sannio. Le piene impetuose danneggiano i resti archeologici situati in pianura e ciò, per fortuna, nella nostra regione non si è finora verificato essendo rimasta allo stadio di pericolo senza tramutarsi in danno l’innalzamento del livello del Volturno nei pressi della Cripta dell’Abate Epifanio un decennio fa circa, perché non si superò la soglia di guardia. A causa dell’elevata densità abitativa in Italia è difficile reperire aree dove installare impianti eolici; le uniche disponibili risultano quelle appenniniche (le Alpi sono escluse in base all’assenza dei requisiti di ventosità richiesti). Qui si è di fronte a due tipologie, quella delle centrali eoliche e quella della torre a sé stante. Le prime con l’affollamento dei piloni conducono addirittura ad un mutamento di significato degli areali nei quali vengono collocate che passano nel modo di sentire da rurali a industriali nonostante, mettiamo, la convivenza con qualche attività agricola o zootecnica. Le turbine che stanno appartate, non in gruppo, riescono a raggiungere un maggior grado di integrazione con il territorio rimanendo, ad ogni modo, degli elementi emergenti percettivamente; il contesto in cui la torre è inserita non subisce una alterazione radicale, al contrario di quanto accade per i comprensori interessati dalla localizzazione delle centrali eoliche vere e proprie. Da ciò e dalle riflessioni precedenti sui cambiamenti climatici ne deriva una tollerabilità delle pale singole superiore a quella dei raggruppamenti di turbine che, pure si ritengono indispensabili.

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4. L'inquinamento atmosferico

La qualità dell’aria è tra gli indicatori principali della qualità ambientale nei centri urbani. Nella redazione del «rapporto ambientale» richiesto nella procedura di Valutazione Ambientale Strategica che è obbligatoria nella formazione dei piani urbanistici vi è un capitolo dedicato all’inquinamento atmosferico. I nuovi PRG dei diversi Comuni molisani, da Mafalda a Toro, da Mirabello a Colli al Volturno a Sesto Campano, hanno dovuto affrontare il procedimento VAS, con le difficoltà dovute all’essere una materia inedita e non unicamente qui da noi; all’interno di tale Valutazione è compreso lo studio della componente «aria». Non si tratta solo di studiare, è ovvio, ma pure di definire delle misure appropriate per contrastare il possibile deterioramento dell’atmosfera nell’abitato. Ciò lo si ottiene operando in più campi, in quelli che hanno maggior peso nella determinazione del livello qualitativo dell’aria. La pianificazione riesce a fornire un contributo decisivo limitando le Zone di Espansione, le «zone C», perché la crescita dell’insediamento aumenta crescendo le distanze tra abitazioni e servizi, un tempo accorpate nel nucleo storico, la necessità degli spostamenti automobilistici.

Si fa notare che quasi ovunque nel Molise il saldo demografico è nullo per cui non vi sarebbe la spinta allo sviluppo edilizio, in quanto vi è la sostituzione delle vecchie case perché considerate obsolete ubicate nel borgo antico con nuovi fabbricati all’esterno di esso. Strategie a metà tra urbanistica e piano del traffico sono quelle mirate a rendere la mobilità sostenibile: nei piccoli paesi non esiste il trasporto pubblico cittadino e perciò è alla scala comprensoriale se non regionale che bisogna intervenire migliorando i collegamenti mediante autobus con i posti di lavoro e le attrezzature per l’istruzione per trasferire i viaggiatori dai mezzi privati a quelli collettivi. Qualcosa, comunque, lo si può fare anche a livello locale così come hanno iniziato a fare Isernia e Campobasso: sono state collocate colonnine per la ricarica delle auto elettriche nei parcheggi, cosa alla quale sono obbligati dal Testo Unico sull’Edilizia i privati per le attività produttive, commerciali e direzionali. Le amministrazioni municipali, e pure ciò è collegato agli spostamenti, devono allontanare i veicoli dalle scuole, prevedendo, in aggiunta, percorsi a piedi protetti tra le residenze e l’edificio scolastico. Bisognerebbe installare, inoltre, almeno negli agglomerati insediativi di pianura, cioè Boiano, Termoli e Venafro, stalli per le biciclette; l’unica pista ciclabile esistente è quella fra il capoluogo regionale e Ferrazzano. Neanche a Campobasso vi sono corsie preferenziali per gli autobus urbani e zone a traffico limitato mentre vi è un’isola pedonale permanente. Sempre nel tema del traffico rientra la decisione delle domeniche senz’auto quando si ha il superamento dei valori d’inquinamento che non viene adottata neppure a Venafro quando si registra questa criticità, fatto che succede spesso, specie nel periodo invernale in cui all’aumento delle emissioni contribuisce l’incremento dell’uso degli autoveicoli da parte dei residenti per evitare il freddo. Incide sui trasporti la distribuzione dei prodotti agricoli e, perciò, bisognerebbe incentivare il commercio a Km. 0 (in tale ottica è da evitare il cambio di destinazione paventato del «mercato coperto» a Campobasso).

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Fortunatamente, nelle aree urbane a maggiore densità edilizia i percorsi viari si fanno stretti e i palazzi alti per cui in tali strade il vento si incanala e riesce a spazzare via lo smog; a via Cavour, nel centro della principale città della regione, diversi anni fa in occasione della manifestazione «Mal d’aria» di Legambiente vennero stese sui balconi al primo piano delle lenzuola bianche che rimasero tutto sommato pulite. Rientra sempre nell’urbanistica la materia dei sistemi di riscaldamento degli alloggi, almeno indirettamente, per via di prescrizioni nei Regolamenti Edilizi riguardanti i locali caldaia, i condotti dei fumi, ecc. Se non urbanistica è comparto compreso, ad ogni modo, nel corpus organico delle norme sulle costruzioni, il già citato Testo Unico dell’Edilizia, quello del contenimento dei consumi energetici nelle abitazioni che si ottiene con il fotovoltaico sul tetto, con i bruciatori ad alto rendimento i quali qui da noi sono, quasi ovunque, convertirti a metano e con la coibentazione dei fabbricati. Pur se non vi è ancora una apposita legge regionale sul risparmio energetico si sta affermando una classe di certificatori, anche corregionali, capaci di valutare le dispersioni di calore dalle pareti e vi sono proposte da parte di società locali di effettuare con foto aeree agli infrarossi una ricognizione dell’efficienza del patrimonio edilizio esistente rispetto a tale aspetto. Decisioni lasciate ai sindaci sono quelle di imporre, in particolari momenti di criticità atmosferica, l’abbassamento di 1° C della temperatura negli ambienti riscaldati e stabilire il divieto di combustione di biomasse in camini aperti, in altre parole nelle pizzerie a legna innanzitutto. Opportune scelte di pianificazione urbanistica possono favorire lo sfruttamento del calore residuo, attraverso reti di teleriscaldamento, di centrali termoelettriche come l’impianto Eraambiente di Pozzilli e la Turbogas nel basso Molise, l’uno prossimo a Venafro e l’altro a Termoli; qualora non si rivelasse conveniente riscaldare i quartieri periferici di questi centri si potrebbe favorire la nascita di serre in territorio rurale che utilizzino l’acqua calda frutto della degradazione dell’energia prodotta per scopi elettrici. A proposito di simili centrali si rileva che, da un lato, è conveniente che esse siano collocate lontano dagli agglomerati abitativi per evitare l’inquinamento dell’aria (come fece la Cassa per il Mezzogiorno quando negli anni ’70 creò i Nuclei industriali di Rivolta del Re, Pozzilli e Campochiaro), anche se il contraltare è che la vicinanza permetterebbe il teleriscaldamento di cui si è detto. Passi ne sono stati fatti in questi Nuclei per favorire il trasporto delle merci su ferro con la predisposizione a S. Polo e a Pozzilli di scali ferroviari e, invece, gli interporti di Termoli e di Venafro sono rimasti sulla carta; il treno è sicuramente un vettore meno inquinante del camion. Per quanto riguarda il trasporto passeggeri va perseguito il rinnovo dei mezzi destinati al servizio pubblico locale con l’acquisto di autobus elettrici il finanziamento dei quali per Venafro ed Isernia era previsto in un programma del Ministero dell’Ambiente per gli ambiti soggetti all’inquinamento atmosferico.

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