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Il restauro del restauro del monastero di S. Brigida a Civitanova



C'è un ulteriore passo da fare, una volta compiuta la ricostruzione della porzione di muratura mancante che ha assicurato la stabilità del manufatto, il quale è la riattribuzione a tale monumento, almeno dal punto di vista formale del carattere di rudere. La sua bellezza era incrementata dall'essere allo stato, in parte, ruderale, cosa che si è persa con l'intervento di restauro effettuato il quale ci ha probabilmente restituito immagine originaria del manufatto cancellando il processo di degradazione che nei secoli aveva subito. Un'operazione legittima, beninteso, che però fa perdere un po' di fascino ai resti del monastero “de iumento albo”. L'estetica del rudere si è affermata in giro un po' in tutta Europa nel XVIII secolo e si associa all'amore, in particolare, per l'epoca medievale e al medioevo, di certo, risale l'edificio monastico in questione. È una specie di moda che pervade tra ‘700 e ‘800 la letteratura, prendi i romanzi "gotici" e la pittura, i pittori definiti “preraffaelliti”. Vi sono molti dipinti nell'età del Grand Tour che hanno quale soggetto la campagna romana con, sullo sfondo, le arcate diroccate di qualche acquedotto antico e, in primo piano, greggi al pascolo mentre è più tardo il quadro di Raffaele Musa che sta nell'aula magna del Convitto M. Pagano a Campobasso che ritrae quel che rimaneva di una chiesa romanica a Castropignano davanti alla quale vi sono ovini che stanno brucando. È specialmente nell’ “arte dei giardini” che il gusto per le rovine trova la sua massima espressione. Si tratta dei cosiddetti giardini all'inglese i quali si contrappongono ai giardini all'italiana dove la natura si presenta ordinata, una serie di viali che si incrociano ripartiscono in maniera geometrica lo spazio, vedi villa De Capoa nel capoluogo regionale, mentre in quelli stile inglese essa è disordinata, quasi a voler configurare un angolo di mondo al naturale. All'interno dei giardini all'inglese vengono collocate finte pagode, riproduzione di templietti classici, false chiesette campestri e archi e colonne sparsi con effetti di straneamento notevoli sull'osservatore. In definitiva un ambiente artificiale con architetture artificiali, dirute o esotiche.


A Civitanova vi è l'enorme vantaggio che l'uomo non deve assolutamente intervenire, tutto è autentico, il paesaggio circostante e ciò che rimane del remotissimo convento benedettino si presenta già di per sé bello, ornato di querce secolari, e così sono veri i monconi di muratura sopravvissuti e la torre campanaria sbrecciata della chiesa conventuale dedicata a S. Brigida. Perché non approfittarne per fare di questo sito una sorta di area verde che abbia quale riferimento il modello del giardino all’inglese? Mica si prestano tutte le fabbriche storiche diroccate ad essere lo spunto per la realizzazione di un simile giardino. Occorre che tali lacerti murari insistano nell'agro, in una campagna con valenze paesaggistiche elevate come succede qui; ciò, peraltro, non è un caso fortuito perché le abbazie edificate dei monaci dell'Ordine di S. Benedetto sorgono sempre in territorio rurale. Per raffronto vedi i suggestivi resti dell'eremo di S. Spirito a Isernia, il cui fascino oggi si è molto ridotto poiché in prossimità dello stesso è stato realizzato qualche decennio fa un complesso edilizio, operazione immobiliare resa possibile dal fatto che era un lotto edificabile rientrante in una zona classificata urbanisticamente residenziale. Si precisa che si è scelto quale paragone tale architettura non solo per la vicinanza territoriale, siamo nella medesima provincia, ma pure perché si tratta di un fabbricato sacro il quale, non solo per il suo valore architettonico, per il sentimento religioso che ispira, avrebbe meritato una significativa fascia di rispetto all'intorno, cosa che al monastero civitanovese non necessita essendo distante dall’abitato.



Per quanto riguarda quest'ultimo e per quanto riguarda la sacralità del posto è da segnalare che in alcune circostanze viene celebrata la messa nella superficie antistante all'ingresso del vecchio luogo di culto. Torniamo al giardino all'inglese e non per passare dal sacro al profano bensì per evidenziare un'altra sua caratteristica costitutiva che è quella non della semplice coesistenza tra artefatti umani e componenti ambientali, due categorie, quella antropica e quella naturale, che inevitabilmente entrano in conflitto fra loro non fosse altro che per il dinamismo dei sistemi vegetazionale con le piante che tendono a sopraffare le opere dell'uomo ad esempio mirandone le fondamenta con le loro radici. Ha una denominazione apposita, ha meritato un appellativo specifico per la sua ricorrente presenza sui monumenti, la vegetazione che ha quale habitat elettivo le superfici murarie dell'antichità, ed esso è quello di flora ruderale. Il richiamo emotivo al rudere nel nostro subconscio e forte ogniqualvolta notiamo piante rampicanti avvinghiate ad una muratura. Sfruttando tale rimando che cova nell'immaginario collettivo insito nell'edera e in altre specie vegetali che vivono negli interstizi tra i conci lapidei o i mattoni che avviluppano le strutture murarie, compreso il muschio che aderisce allo strato superficiale delle pietre e dei laterizi si potrebbe pensare di favorirne lo sviluppo su quella porzione cadente della torre campanaria ripristinata con i lavori di restauro eseguiti. I nuovi inserti che colmano le lacune del muro verrebbero mascherati da rampicanti i quali così restituirebbero, figurativamente, le sembianze di rudere al manufatto. Per nascondere le risarcitorie murarie effettuate si potrebbe, in alternativa, impiantare un roseto lungo il settore del perimetro esterno del campanile interessato dal rifacimento voluto dalla Soprintendenza, ma non produrrebbe lo stesso effetto, l'effetto sarebbe più limitato conseguente all'altezza inferiore che può raggiungere una siepe di rose.



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