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Osservando Campitello 

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PER CAMPITELLO LA STRADA È IN SALITA

​​Lo scioglimento del Consorzio che gestisce la stazione fa entrare questa località in una fase nuova. Anzi antica perché si torna alla situazione precedente in cui gli impianti erano affidati ad una società privata e non ad un organismo pubblico (infatti, il Consorzio è stato costituito tra i Comuni dell’area, la Regione e la Provincia). Campitello, del resto, ha nel “dna” la natura di una cosa privata come dimostra la sua origine che è dovuta all’iniziativa di un gruppo imprenditoriale che lo concepì come un investimento immobiliare al quale era funzionale la predisposizione delle piste da sci; la stessa cosa, lo si fa osservare per inciso, successe a Bocca della Selva, sempre sul Matese, solo che qui gli investitori erano economicamente di piccole dimensioni e ciò lo si nota anche nel taglio degli edifici che sono per lo più singole palazzine e non complessi residenziali. L’azione del pubblico in questo centro turistico è stata sempre al seguito delle varie imprese che si sono succedute nella conduzione della stazione sostenendole in molti modi, a cominciare dal miglioramento della viabilità di collegamento con il fondovalle costruita nei primi anni ’60. Per rimanere a tale caso, quello della strada, oltre alla sua rettificazione e

è caratterizzato da una galleria commerciale in cui era previsto il raggruppamento di tutti i negozi in modo da permettere a chi scia per l’intera giornata di non perdere tempo per la spesa e a chi alloggiava nei residence di arrivarci addirittura in pantofole. La piazza in corso di costruzione in qualche maniera vuole confermare tale necessità di un punto di riferimento collettivo, utile pure per manifestazioni ed eventi culturali, ubicato nel cuore geografico della stazione. La crescita di Campitello ha reso insufficiente l’area destinata a tali scopi racchiusa nel cosiddetto “ferro di cavallo” del Montour, la passeggiata al coperto per lo shopping di cui si è detto, ed, inoltre, il fenomeno del pendolarismo dello sci con la prevalenza degli sciatori giornalieri rispetto a quelli stanziali non richiede più la contiguità tra gli alloggi e lo spazio per i momenti aggregativi. Si può leggere anche sotto un’altra prospettiva la progettazione della nuova piazza che è quella dell’esigenza di abbellire il centro turistico, bisogno che in passato era stato messo in secondo piano assorbiti com’erano dalla realizzazione dei volumi edilizi. A Campitello si è costruito velocemente, molto più, mettiamo, che a Bocca della Selva dove lo sviluppo edilizio è

allargamento si costruì una galleria paravalanghe e, specialmente, la variante dell’abitato di S. Massimo per evitare l’attraversamento del centro urbano. Il nuovo tratto viario escludeva del tutto il paese dal flusso turistico per cui oggi con la sistemazione a verde della rotonda al bivio tra questa arteria e l’insediamento abitativo si vuole richiamare l’attenzione dei visitatori. Se, comunque, il pubblico nella fase iniziale dell’esistenza di Campitello è stato al rimorchio del privato ora esso ha un ruolo preponderante. Il compito che le istituzioni sembra essersi assunte è quello del completamento delle idee portate avanti dagli imprenditori che hanno determinato la nascita del nostro centro di sport invernali. L’impianto originario della stazione è quello di un nucleo di edifici (i residence Kandhar e Le Verande e l’Hotel Miletto) che sorgono intorno ad una superficie per uso pubblico. La massa edificata risulta così accorpata: i singoli fabbricati che la compongono sono collegati fra loro e con il nucleo di servizi centrale il quale lo si raggiunge con un ascensore che scorre lungo una corsia inclinata. Il luogo delle attività comuni (dove vi è anche il ristorante Il Pentolone)

Campitello Matese, Monte Miletto e le piste da sci

stato più lento per la pluralità degli operatori coinvolti, e ciò ha portato a trascurare per così dire i dettagli, cioè le opere di arredo, presi dai lavori per metter su presto le strutture architettoniche per rispondere alla forte domanda di seconde case degli anni ’70 quando vi fu il boom delle vacanze in montagna. La creazione, oltre che della piazza, dei marciapiedi con pavimentazione in pietra e di decorosi stalli per il parcheggio delle auto insieme all’apposizione di lampioni con design moderno conferisce un aspetto più gradevole alla stazione. Va detto, però, che a Campitello , nonostante non  si sia mai posta troppa attenzione alla problematica estetica, sono state adottate alcune soluzioni architettoniche in linea con le esigenze paesaggistiche, a cominciare dalla scelta urbanistica di non permettere la realizzazione di torri, bensì di complessi residenziali di 5 o 6 piani. Più basso è quello denominato S. Nicola 1 il quale è disposto sul pendio  secondo un’organizzazione lineare dei corpi di fabbrica, accorgimento che permette la riduzione dei volumi emergenti; per via del suo profilo degradante verso valle, il vallone, appunto, S. Nicola, esso è scarsamente percepibile dal piazzale (che si sta trasformando in quella «piazza» di cui si è parlato).

C’è chi ha cura dei fiori come si può notare dalle fioriere che adornano il Rifugio EPT, quest’ultimo un “segno” del periodo pioneristico di questa località montana. Esso è un manufatto in pietra e case di tipo tradizionale si trovano pure nel villaggio «svedese» che è il nucleo di fabbricati degli anni ’60, precedente all’espansione edilizia di Campitello. Ancora si esegue lo sfalcio della piana che pur se poco conveniente economicamente per la crisi dell’allevamento è una cosa importante per l’immagine del paesaggio. Il pregio maggiore di questo posto rimane, comunque, quello delle spettacolari vedute che si aprono sulla conca carsica e sul circo glaciale di monte Miletto e, poi, la neve che nella stagione invernale imbianca tutto nascondendo qualsiasi bruttura; va sottolineato che proprio d’inverno si viene maggiormente a Campitello quando l’innevamento abbondante la trasforma in un luogo magico. La neve rende bella questa località che, invece, in autunno, svuotata dei turisti si presenta spoglia. Negli anni venturi l’impegno delle amministrazioni pubbliche dovrà essere da un lato di migliorarne le caratteristiche paesaggistiche e, dall’altro lato, quello di rendere vivo questo centro in tutto l’arco dell’anno. Per quanto riguarda quest’ultimo

punto si è pensato alla formazione di uno stadio del ghiaccio pur in assenza di una tradizione nel nostro ambito degli sport sul ghiaccio, ma forse ciò è dovuto proprio all’assenza di impianti simili; che la scelta di tale attrezzatura non sia casuale lo si può capire se si riflette sul fatto che gli sport invernali e quelli del ghiaccio sono tipologie sportive rientranti nella stessa federazione. Già attualmente la seggiovia funziona pure d’estate e, del resto, questo è un servizio relativamente poco costoso perché le stazioni sciistiche hanno, in genere, una quota consistente di dipendenti fissi che, pertanto, sono sempre al lavoro, pure nelle stagioni morte. In definitiva, è necessario immaginare nuove prospettive per allargare l’offerta turistica magari legate alla proposta di parco del Matese che non significa, di certo, un ritorno all’indietro, un annullamento della stazione sciistica, ma la sua valorizzazione quale centro ricettivo per quanti intendono frequentare la montagna per conoscere e gustare le notevoli peculiarità ambientali e naturalistiche di cui è ricco il comprensorio.

Monte Miletto

CAMPITELLO: DAL RIFUGIO (EPT) ALL’OSTELLO 

 

Campitello è un insediamento turistico che costituisce un tutt’unico, il quale, dunque, va gestito unitariamente: questa è la tesi che si cercherà di dimostrare di seguito. La prima prova che si tratta di agglomerato concepito quale fatto definito compiutamente è proprio quella più immediata, quella visiva. Ci troviamo di fronte nella sua parte centrale ad un lungo edificio che sembra stringere a tenaglia una piazza verde la quale può essere considerata il cuore del villaggio (è destinata a perdere tale ruolo quando verrà completato il grande spazio gradonato appena al di là della « piramide » anch’essa in costruzione). Al piano terra di questo volume corre una galleria nella quale è raggruppata una serie di servizi, dal cinema ai negozi al ristorante (il Pentolone). Possiamo definirlo altrimenti corridoio perché, oltre ad essere il luogo degli acquisti, dello svago e del ristoro, esso è collegato all’ascensore inclinato realizzato per superare il dislivello che separa il Montur (il residence posto in basso) dalle Verande e dal Kandar, i due fabbricati in linea collocati sulla collina che sovrasta il complesso planimetricamente a ferro di cavallo. Tale percorso coperto affrancato da attività sussidiarie alla residenza è, lo si è detto prima, l’elemento unificante dell’agglomerato turistico, se non altro per la sua baricentricità. Nello stesso tempo, oltre a costituire l’impronta figurativa di Campitello, esso denuncia l’origine di questo centro di vacanze invernale quale frutto di un progetto complessivo che include sia le strutture ricettive che gli impianti da sci. Vi è una corrispondenza immediata, dal punto di vista percettivo, tra il semicerchio della galleria commerciale e l’anfiteatro naturale che dà il nome alla seggiovia con maggiore portata oraria, l’unico circo glaciale del massiccio del Matese. Proprio di fronte al nostro camminamento destinato allo shopping ed ad altre funzioni vi è il piano dove convergono le piste con la partenza delle risalite meccaniche (ad eccezione della funivia Capodacqua). Il piano è uno spettacolare pianoro, l’attrattiva principale di questa località la cui bellezza deve aver stimolato l’iniziativa imprenditoriale che ha portato alla nascita della stazione; esso ospita pure un campo di calcio, la pratica dell’ippica per principianti e l’anello per lo sci di fondo. La conca si configura come il polo della vita sportiva e nello stesso tempo è il fattore determinante dell’organizzazione urbanistica di Campitello con i fabbricati che si dispongono lungo la sua “sponda” (in effetti in passato è stato un lago artificiale). Il condizionamento principale della pianificazione della stazione turistica è stato, di certo, quello dato dai caratteri paesaggistici, più forte pure dell’esigenza del soleggiamento ottimale la quale avrebbe richiesto l’orientamento est-ovest degli alloggi e non quello rivolto a sud che si giustifica solo per la veduta panoramica. In definitiva, l’unitarietà che si è cercata nella progettazione dell’insediamento è sia a livello architettonico sia alla scala di paesaggio. La gestione di tutto ciò è evidente che debba essere unitaria. Un argomento decisivo che suffraga tale assunto è che gli alloggi qui sono di dimensioni minime con la vita che si svolge prevalentemente all’aperto per cui è necessario offrire attrezzature che facilitano la villeggiatura. Non bastano, di certo, i servizi presenti all’interno dei residence. I proprietari degli appartamenti sono di norma comproprietari delle parti comuni del complesso residenziale; le sale collettive sono usate come punto di ritrovo fra i condomini o per il gioco dei ragazzi. Le infrastrutture necessarie dovrebbero essere ben altre e quanto più sono numerose tanfo più aumenta il pregio della località e con esso il valore degli immobili privati. L’assenza di comodità rende poco competitiva una stazione di sport invernali, non in grado di reggere la concorrenza di altri centri, prendi Roccaraso. Servizi per i possessori di case e per i pendolari dello sci che a Campitello nelle domeniche con molta neve sono tantissimi. Questa località matesina è facilmente raggiungibile da Roma e Napoli attraverso la statale n. 17 un’arteria di grande comunicazione; il Matese, poi, è una sorta di montagna di casa per i molisani e i campani i quali la frequentano, sia d’estate che d’inverno, con un turismo giornaliero. Tra le attrezzature dedicate per tale tipo di turisti vi sono innanzitutto i parcheggi, per i quali viene destinata un’ampia superficie in prossimità di Selvapiana all’entrata della stazione, meglio dire all’esterno della stessa; tutto questo per sottrarre le zone residenziali alla confusione del traffico automobilistico. Un’area destinata ad autorimessa coperta è poi diventata un’ulteriore sede di locali per il commercio e mentre si e collocata una piscina (nel ristorante Il Pentolone) sottoterra non si è pensato a garages sotterranei per i pendolari. Tra i servizi generali dei quali un simile polo sciistico ha bisogno c’è la sistemazione abitativa del personale che qui opera. Quando il centro turistico è prossimo ad un nucleo urbano il problema non si pone perché coloro che lavorano negli alberghi, ristoranti, ecc. la sera possono fare ritorno alle proprie case, cosa meno facile in questa località che è l’unico insediamento in quota nel comprensorio matesino, ben distante dal resto degli agglomerati insediativi i quali stanno a valle. Necessitano posti-letto per i maestri di sci così come per gli accompagnatori di escursionismo e per gli istruttori sportivi in genere, mentre per gli impiegati amministrativi e per i tecnici addetti alla manutenzione degli impianti il cui lavoro comporta la permanenza nel villaggio tutto l’anno sono da prevedersi appartamenti. Manca attualmente un punto di informazione, magari, una guardiania per un custode centralizzato, per così dire, che dovrebbe curare l’accettazione nel complesso e anche per tale categoria di lavoratori servono alloggi. Infine sono utili suites destinati ai dirigenti del complesso turistico e una foresteria per studiosi che conducono ricerche sul notevole patrimonio ambientale di quest’area con annessa una sala studio. Manca a Capitello un ostello da quando il rifugio E.P.T. non svolge più questo ruolo e né vi sono occasioni di alloggiamento per chi desidera (o non può permettersi) pernottamenti al di fuori di strutture alberghiere non essendovi un campeggio né un’area per la sosta di roulottes, abortito il tentativo tanti anni fa di predisporne una. Non vi è una colonia per ragazzi nonostante che in periodo estivo vi siano gruppi di studenti accompagnati. Riprendendo il filo conduttore del discorso, quello della unitarietà della gestione alla quale è predisposto anche per l’aspetto architettonico il nostro villaggio turistico, si può dire che quello di garantire la ricettività extralberghiera o delle strutture residenziali con servizi alberghieri, cioè dei residence, è un compito ineludibile e perciò lo strumento urbanistico nel ’71 stabilì che essa fosse inclusa tra le “attrezzature di interesse comune”.

UNA STAZIONE SKI TOTAL, IMMAGINATE, SUL MATESE 

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Viene da pensare se Campitello è stata concepita nella maniera che vediamo perché è la più opportuna progettazione urbanistica per quel sito oppure al contrario se il sito è stato prescelto in quanto quello maggiormente idoneo per realizzare il centro turistico che si aveva in mente. Si propende per la seconda ipotesi tanto si assomiglia la conformazione della stazione sciistica realizzata a quella di importanti località invernali delle Alpi francesi; queste ultime, e ciò avvalora la lettura fatta, sono state progettate dal medesimo architetto Laurent Chappis. È una tipologia di insediamento che si è affermata a partire dai primi anni del secondo dopoguerra e che è stata considerata a lungo la migliore. Essa richiede che vi sia un pianoro immediatamente al di sotto del versante montuoso giudicato “sciabile” e dalla parte opposta della stessa piana una superficie rialzata su cui edificare, tutte cose che si ritrovano in Campitello. Si potrebbe obiettare che tali caratteristiche, compresa l’altitudine, le posseggono anche altri posti nel massiccio matesino che, però, sono penalizzati per almeno un duplice ordine di fattori: uno è che vi è una via di collegamento di sezione adeguata, forse problema rimediabile, due, non superabile poiché un dato intrinseco del luogo, è la veduta della principale cima del Matese con il suo affascinante circo glaciale la quale non si percepisce neanche dal Campitello di Roccamandolfi. Bisogna aggiungere che Campitello di San Massimo, oltre ad una strada adatta aveva una certa tradizione di turismo montano. Qui era sorto nei decenni iniziali del secolo scorso un rifugio di proprietà dell’Ente Provinciale per il Turismo, meta di appassionati di escursionismo, un autentico punto di riferimento per chi frequentava la nostra montagna. Da qui partiamo per descrivere l’assetto urbano di Campitello. Occorre doverosamente prendere le mosse dal rifugio per comprendere le linee informative del disegno di questo polo di sport invernali, tra i più grandi del meridione (tra poco allo sci si affiancherà il pattinaggio sull’apposita pista del palazzetto a forma di piramide che è in corso di completamento). Sembra di cogliere una sorta di tensione, perlomeno dal punto di vista figurativo, tra il rifugio e l’adiacente fabbricato sede di attività commerciali, ristorative, ricreative e ricettive, denominato Montour, il quale, anticipando la conclusione di un ragionamento che svilupperemo in seguito, è il fulcro dell’insediamento; è un’immagine stridente quella dell’edificio in pietra a faccia vista accostato ad un’architettura recente. Si contendono la migliore posizione nell’altopiano, quella in asse con la vetta più elevata di questo comprensorio montuoso, che per il rifugio è ideale consentendo ai suoi ospiti, senza effettuare lunghi percorsi di avvicinamento, di compiere escursioni verso la sommità del monte e che per gli sciatori che alloggiano nei residence raggruppati intorno al Montur di raggiungere facilmente la rete degli impianti di risalita la quale, è ovvio, si infittisce lì dove i dislivelli tra le postazioni di partenza e di smonto sono superiori (l’altezza dell’arrivo è quasi 2.000 metri). Tale affollamento di interessi nell’ambito centrale del terrazzo morfologico sovrastante il piano carsico si riproduce all’interno dello stesso: nella fascia di territorio dirimpettaia della sommità del Miletto vi sono, uno a fianco all’altro, il campo sportivo, il recinto per l’equitazione, le basi delle seggiovie. Qui si sarebbe voluto realizzare pure il bacino idrico per l’innevamento artificiale che, poi, è stato deciso di collocare nella gola di Capodacqua, perché si riteneva che esso, alla stregua di un laghetto alpino, avrebbe potuto arricchire l’immagine della zona. Zona che è la maggiormente visibile da parte dei turisti che alloggiano nei residence e dei pendolari che parcheggiano nello slargo antistante il rifugio e la galleria commerciale, mentre la restante porzione di questa oblunga depressione frutto del carsismo rimane libera. Dunque, tutto a portata di mano. Ci sono, le abbiamo appena viste, una distesa pianeggiante di enorme valenza paesaggistica, in basso e una, molto più ridotta, parzialmente artificiale, 20 metri più sopra, il piazzale in cui stanno il rifugio, una serie di volumi bassi che comprendono la biglietteria, il nolo sci, alcuni negozi, la scuola sci, la postazione di polizia, la guardia medica e il Montour (la particolare architettura piramidale, invece, ha l’accesso a livello del pianoro e la testa, cioè la copertura, che fa capolino per una decina di metri dalla “piazza” che doveva occupare un pezzo del “piazzale”, abortita per far posto al palaghiaccio). Un insieme confuso di oggetti che si affastellano su tale spazio senza un disegno preciso: a far ordine in questo caos, percettivamente parlando, ci pensa o almeno lo tenta, il Montour. È, del resto, questa struttura, replicata, magari in scala maggiore, in tante altre stazioni sciistiche in Francia ideate da Chappis, un’opera sostanziale nella concezione del progettista francese il quale è l’ispiratore della planovolumetria di Campitello. La sua disposizione a ferro di cavallo è simile a quella adottata per contenere funzioni analoghe a quelle del Montour, quindi commercio e ristoro, in insediamenti turistici di nuova fondazione sulle Alpi, o meglio al di là delle Alpi, dove è sempre il cuore dell’agglomerato. Fatto che, puntualmente, si ritrova in questo angolo del Matese. Si riscontra, comunque, un’individualità del nostro centro rispetto ai suoi omologhi ed è che qui l’architettura ha una qualche assonanza con il contesto naturale nel senso che lo svolgimento del manufatto è ad anfiteatro, riecheggiando l’anfiteatro, così è conosciuto, che sta di fronte, il circo glaciale. Il Montour per la singolarità architettonica del corpo di fabbrica, insieme alla sua destinazione funzionale di contenitore di servizi collettivi, la fisionomia richiamante uno dei segni più forti del paesaggio, è stato assunto nel modo di sentire comune quale emblema di Campitello. Una primazia che è prevedibile verrà soppiantata, lo si rileva per inciso, dalla piramide la quale ha una forza espressiva notevole, non fosse altro che per la novità stilistica dell’involucro prismatico costituito da superfici inclinate in legno e vetro, una silhouette davvero particolare, esemplare unico nell’intero Molise. Allo stato attuale è ancora la composizione ad U della galleria porticata l’opera maggiormente riconoscibile della stazione sciistica molisana, che viene a rappresentare il nucleo indentitario, l’episodio unificante capace di tenere insieme i vari “quartieri” nei quali può suddividersi questa località: l’albergo Kristiania che ha ambizioni di villaggio-vacanze a Selva Piana, il Villaggio Turistico, detto pure “svedese” per la dispersione degli chalet nel bosco, quello di Rote-Trabucco, il complesso di seconde case S. Nicola collocato in testa all’omonimo vallone e Campitello vero e proprio. Nessuno di esse può dirsi autonomo perché tutti dipendenti dalle attività di servizio concentrate nel Montour.​

CAMPITELLO: NON SOLO CEMENTO E PISTE DA SCI

 

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Campitello offre un panorama davvero unico perché da qui è possibile ammirare uno dei pochi circhi glaciali dell’Appennino centro-meridionale. Il circo coincide con una delle due parti di cui si compone un ghiacciaio, che è quella del bacino di raccolta dove la neve si accumula e diventa ghiaccio ed è la prima di queste parti, mentre la seconda è costituita dalla caratteristica lingua che si viene a formare con la fusione di tale ghiaccio. Infatti, i ghiacciai non sono cose immobili, ma compiono un lento movimento verso valle. Il circo, lo si ripete, è il luogo dove la massa nevosa si raccoglie e consolida che sta in cima al ghiacciaio, nel nostro caso un piccolo ghiacciaio. Esso doveva essere confinato presso la vetta di monte Miletto perché la glaciazione nel sud d’Italia non ha mai toccato quote inferiori ai m. 1.800; si sta parlando del glacialismo dell’era del quaternario il quale ha avuto un limitato sviluppo nella catena appenninica. Il circo glaciale ha una forma tipica che è quella di un grande incavo circondato da pareti ripide e quello matesino non vi si discosta. Le alte scarpate che delimitano l’arco naturale qui chiamato anfiteatro (è il nome pure della seggiovia) sono il frutto del franamento del suolo eroso dall’acqua di scioglimento del ghiacciaio. Il terreno staccatosi dalla parte culminale del monte è trasportato in basso, alla stregua di un deposito morenico, ed esso deve aver contribuito alla formazione del pianoro di Campitello. Un po’ più giù del circo glaciale e spostata lateralmente rispetto a questo c’è la grotta delle Ciaole; il piazzale della stazione sciistica è quasi baricentrico rispetto alle due emergenze geologiche. La grotta delle Ciaole, appena percepibile dal complesso turistico perché nascosta dagli alberi, è più propriamente una caverna, intendendo per grotta un sistema di cavità e per caverna un solo vano. La grotta delle Ciaole ha un enorme imbocco di diverse decine di metri di altezza e questo ingresso sembra un finestrone collocata com’è la grotta a metà di quel versante roccioso che ben si scorge dal centro di sport invernali. La grotta delle Ciaole non è l’unica grotta presente nei dintorni in quanto vi è anche la grotta del Fumo la quale però sta un po’ più lontano; quest’ultima è una vera e propria grotta essendo abbastanza profonda e composta di vari ambienti. Entrambe le grotte sono connotate da uno sviluppo orizzontale, assai diverso da quello delle più celebri cavità matesine, prendi il Pozzo della Neve, la maggiormente estesa, il cui nome denuncia l’andamento verticale della grotta. L’orizzontalità significa che vi è una specie di pavimento, pur se di semplice terriccio, e ciò rende idonee tali grotte quali rifugio per le persone, per i briganti che popolavano il Matese nel periodo post-unitario. Verticali sono, gli inghiottitoi, dei quali uno è presente nella piana di Campitello che così si caratterizza come piana carsica; essa è una conca chiusa come le doline che è priva di deflusso esterno l’acqua essendo smaltita attraverso l’inghiottitoio. L’acqua è quella delle piogge, che sulla nostra montagna sono le più abbondanti del Molise, e dello scioglimento delle nevi, ma non di sorgenti in quota, se non quella di Capodacqua. Il paesaggio carsico lo si riconosce in primo luogo per l’assenza in superficie di corsi d’acqua. Per quanto riguarda Capodacqua essa è una delle rarissime falde idriche in quota e tale sua posizione è stata considerata strategica quando all’inizio del secolo scorso è nata l’industria idroelettrica: con importanti opere, le quali del resto sono connaturate alle infrastrutture idrauliche, vedi dighe, acquedotti, ecc., l’acqua viene inviata a valle dove alimenta una centrale elettrica. La centrale, che è una interessante costruzione architettonica, sorge nel punto in cui la montagna si salda alla fascia collinare per sfruttare il salto altimetrico. Condotte forzate, il torrino piezometrico, il canale che costeggia il pianoro, ma anche il rifugio prima della Società Meridionale di Elettricità e dopo E.P.T., sono i segni di questa grande impresa dell’uomo. L’inghiottitoio in passato veniva costruito con materiale impermeabile e la piana diventava un lago, un  bacino  d’accumulo  per  la  centrale  (l’unica  in  questa  parte della regione a non essere ad « acqua fluente », cioè con derivazione da un fiume). Dando le spalle all’insediamento ricettivo si possono ammirare nel panorama montano che sta di fronte oltre le componenti inanimate le formazioni geologiche di cui si è detto, quelle animate, flora e fauna, pure esse di forte interesse. Iniziamo dal mondo vegetale, notando che il contesto paesaggistico è fatto prevalentemente di praterie e di formazioni forestali. Sui lati del monte il dominio delle faggete è assoluto fino a raggiungere il limite della vegetazione arborea; al di sopra del bosco, nelle aree sommitali, rimangono magri pascoli. Quando il rilievo si fa impervio affiora la roccia ed è quanto abbiamo evidenziato parlando della grotta delle Ciaole. L’altopiano, o meglio l’insieme degli altopiani che si incontrano nel nostro massiccio intorno ai m. 1.400 (accanto a Campitello c’è il pianoro di Capodacqua e poi il Campo delle Ortiche, quello dell’Orso e così via), tutti di natura carsica sono coperti da prati su cui pascolano, durante l’alpeggio, mandrie bovine con le pecore che brucano il manto erboso meno florido dei crinali. A cominciare dal 1.700 la natura è stata pesantemente condizionata dall’azione antropica con il disboscamento, lo racconta il Galanti, e l’eccessivo carico di bestiame e, in tempi recenti, con l’agglomerato turistico e gli impianti di sci. La diversificazione delle condizioni vegetazionali e di quelle geomorfologiche, anche nello stesso ambito territoriale in cui è collocato Campitello Matese, porta ad una ricchezza degli habitat i quali vanno da quelli rocciosi a quelli boscosi a quelli prativi e da ciò ne deriva una spinta diversità faunistica. Tra le specie più rappresentative di questo territorio vi è, nel caso dei mammiferi, il lupo la cui frequentazione è costantemente accertata in tale comprensorio e per gli uccelli, l’aquila reale di cui è certa la presenza di almeno una coppia nidificante che, però, evita la vetta, che è uno dei luoghi che normalmente predilige per la sua inaccessibilità, di m. Miletto che con i suoi 2.050 m. è la più elevata dell’Appennino centro meridionale a causa del frastuono prodotto dagli sciatori.

(PISTA) NERA PER LA DIFFICOLTÁ, BIANCA PER LA NEVE

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L’ammodernamento, che è anche un potenziamento, dell’impianto di risalita di Capodacqua va esaminato, ai fini della verifica del suo impatto sull’ambiente, non esclusivamente rispetto alle condizioni dell’area in cui ricade, ma nel contesto più generale  della stazione di sport invernali. A Campitello si può addirittura parlare di paesaggio sciistico perché qui, più che in altre località montane, le strutture per la pratica dello sci sono concentrate in un ambito ristretto, tutte intorno al pianoro. Alle opere dirette all’attività sportiva, cioè le piste e le sciovie, si aggiungono opere accessorie come le attrezzature per l’innevamento artificiale le quali comprendono i cannoni da neve e il bacino di accumulo idrico (che non provoca disturbo visivo, non perché è una vasca interrata, non lo è, ma perché posta ai margini della pianura). La nuova funivia produce, di certo, delle modifiche ambientali che, però, non incidono né sull’aspetto complessivo del centro turistico, trattandosi della sostituzione di una esistente né, in modo significativo, sulle componenti ecologiche; le trasformazioni riguardano la stazione di valle, che oggi si ritrae dalla pianura (e ciò è positivo ambientalmente) i sostegni dei piloni, ridotti di numero, anche se più grandi, l’allargamento della fascia di esbosco per il passaggio della fune, oltre che la realizzazione della strada di servizio nella fase di cantiere. Per quanto riguarda le piante è da dire che pure il semplice taglio delle loro cime per lasciare spazio al di sopra alle seggiole della seggiovia le rende fragili. Sarebbe opportuna, quale compensazione, la ripiantumazione di alberi, operazione, comunque, difficile data l’altitudine; il bosco, a prescindere dalle sue valenze naturalistiche, serve per prevenire e controllare piccole valanghe innescate proprio dalle piste, delle quali un esempio è quella che si verificò alcuni decenni fa nei pressi della Pinetina. In questa operazione di aggiornamento dell’impianto in questione vi è un rischio, per così dire, evitato di sconvolgimento di habitat di particolare pregio così come è invece avvenuto quando si è realizzata la seggiovia Anfiteatro. Quest’ultima, conviene soffermarsi su di essa che è un utile elemento di comparazione, prende nome dal circo glaciale che sta ai piedi della vetta di monte Miletto, un territorio molto delicato per via dell’abbondante detrito inconsolidato; più che gli sciatori a danneggiare il ghiaione potrebbero essere i turisti trasportati d’estate in quota dalla funivia quadriposto. La seggiovia Capodacqua non raggiunge, e ciò ci tranquillizza, la conca glacio-carsica non tanto perché la stazione di monte, seppur spostata più in alto, rimane ad un’altitudine inferiore quanto perché essa, la conca, è di limitata estensione per cui, in definitiva, si trova lontana dallo smonto dell’impianto. Le accortezze ambientali qui evidenziate sono realizzabili effettivamente in quanto il terreno è comunale, la proprietà dell’impianto è regionale e la sua gestione è di una società mista di natura pubblica e il pubblico, a qualunque livello istituzionale, è tenuto ad aver cura del paesaggio. Si è affermata già da tempo in questa località matesina la tendenza a privilegiare le seggiovie nei confronti degli skilifts e ciò non solo perché la loro portata oraria è minore (a dimostrazione di quanto appena detto vi è la seggiovia delle Lavarelle sorta al posto di due skilifts giunti al termine del ciclo di vita). Ad un aumento del numero degli sciatori trasportati nella medesima unità di tempo deve corrispondere un incremento della superficie sciabile essendovi un rapporto ottimale tra praticanti dello sci ed ettari di pista: è una verifica necessaria anche per il nuovo impianto di Capodacqua. Per inciso va puntualizzato, anche se è scontato, che le seggiovie sono più costose degli skilifts. A scadenze ravvicinate sono arrivati alla conclusione della loro esistenza, in base alla normativa in vigore, circa 50 anni, tutti gli impianti di risalita del polo sciistico e ora tocca all’ultimo, cioè Capodacqua. La sua sostituzione è imprescindibile se si vuole conservare il progetto originale di Chapis che è quello di avere in questo comprensorio piste di varie difficoltà, tra le quali Capodacqua è l’unica classificata « nera ». Nell’epoca attuale si registra ovunque un aumento delle pendenze delle piste per soddisfare le esigenze di un sempre maggiore numero di sciatori esperti che desiderano cimentarsi con percorsi ripidi e pure per tale ragione si rende indispensabile conservare il tracciato di Capodacqua. Bisogna, comunque, accontentarsi del limitato sviluppo in lunghezza di questa pista la quale con il presente progetto cresce di un poco perché esso è un problema comune a tutto il comprensorio sciistico di Campitello che va dai 1.450 metri dell’altopiano ai 1.700 metri. In tempi recenti al fine di accrescere l’offerta sciistica è stato predisposto un campo per la pratica di snowboard, mentre manca ancora uno spazio per gli slittini e, quindi, per accontentare i bambini e con essi le famiglie (è assente, inoltre, un baby sitting). Contemporaneamente all’investimento per rinnovare l’impianto di Capodacqua sarebbe opportuno puntare sulla spesa per la battitura del circuito per lo sci di fondo e della rete dei sentieri innevati per consentire l’effettuazione di escursioni, guidate o meno, con le ciaspole (piuttosto che con le motoslitte che si possono affittare a Campitello, le quali non sembrano consone all’ambiente montano). Se si considera che nel nostro centro turistico invernale vengono per sciare esclusivamente napoletani, pugliesi e, è ovvio, molisani, mentre per effettuare escursioni il Matese è frequentato da tante persone provenienti da territori anche più lontani, allora si potrà condividere che é utile puntare sulla sentieristica; in altri termini, si ribadisce che se spendere soldi per l’impianto di Capodacqua è una scelta condivisibile, nello stesso tempo è importante pure l’impegno economico per battere i percorsi pedonali. L’escursionismo, poi, ha caratteristica di valvola di sfogo per le attività ricettive e commerciali della località montana nelle annate con carenza di neve che nel Molise sono diventate frequenti, quando impianti come quello di Capodacqua rimangono inevitabilmente chiusi. I sentieri hanno rispetto alle piste un impatto inferiore sull’ambiente che è l’imperativo dell’epoca attuale nella quale è la sostenibilità il principio informatore di qualsiasi programma di sviluppo. L’obiettivo da perseguire è, dunque, quello di una stazione sciistica per così dire sostenibile, cominciando dagli alberghi e residence e proseguendo con la limitazione del traffico. Per quanto riguarda questo secondo punto la realizzanda “piramide” già riduce gli spazi per la sosta delle auto i quali magari potrebbero essere, allo scopo di nasconderli, ricavati sottoterra (vedi la tesi di laurea dell’arch. G. Bellantonio) oppure essere collocati all’esterno del piazzale, in tale ultimo caso è necessario assicurare lo spostamento dai parcheggi degli sciatori i quali devono potersi muovere nel comprensorio sciistico senza riprendere il volante. Alla luce di quanto appena detto è da scartare l’ipotesi che l’impianto di Capodacqua, finora non servito da strade, una volta potenziato possa essere reso raggiungibile con le automobili, bensì esso, integrato com’è con il carosello sciistico, deve continuare ad essere usufruito tramite il circuito delle piste. In conclusione, si evidenzia che quello di Capodacqua non va inteso quale nuovo impianto di risalita e che, pertanto, l’incremento di carico sull’ambiente non è assolutamente confrontabile con le alterazioni sull’ecosistema che provocherebbe l’estensione del comprensorio sciistico in direzione di Roccamandolfi.

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CAMPITELLO, IL VILLAGGIO TURISTICO

Campitello quando nacque agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, il Programma di Fabbricazione è del 1967, rappresentò una novità assoluta nel panorama insediativo molisano. Era una realizzazione di avanguardia e tale è rimasta nel senso che nel Molise fino ai giorni odierni non è mai stata replicata una cosa simile, non c’è stato niente di comparabile dopo la sua apparizione dal nulla. Si, dal nulla perché in alta quota, quota superiore seppur di poco a quella di Capracotta, per colpa del carsismo, siamo sul Matese, che limita le fonti di approvvigionamento idrico, cioè le sorgenti l’uomo ha trovato impossibile abitare stabilmente. L’assenza di borghi di montagna tradizionali con i quali confrontarsi, copiare il loro assetto urbanistico e le tipologie costruttive, ha reso liberi da condizionamenti formali di sorta i progettisti di questo complesso turistico. Era uno spazio vuoto e in tutto l’altopiano matesino non vi erano, né vi sono, riferimenti architettonici cui ispirarsi nell’edificazione della località di villeggiatura per cui i suoi ideatori si sono potuti esprimere con il linguaggio dell’architettura, all’epoca, contemporanea. La sua singolarità sta oltre che nell’altitudine in cui sorge e nei caratteri stilistici dell’edificato anche nel fatto che è la prima, peraltro unica, volta in cui un agglomerato edilizio risulta frutto di un disegno unitario; non è stato attuato, per intenderci, tramite un piano di lottizzazione nel quale intervengono operatori diversi nei vari lotti. Qui, invece, l’imprenditore è lo stesso, non vi è stato un frazionamento degli interventi, il quale, mutuando l’espressione “dal cucchiaio alla città” di Rogers, un Maestro del Razionalismo, ha curato ogni aspetto dell’insediamento. Prendendo in prestito e adattandola al nostro caso la celebre frase di Gioberti, un Maestro del pensiero risorgimentale, “fatta l’Italia ora bisogna fare gli Italiani”, si può dire che Campitello è bella e pronta, quello che rimane da fare è abituare i molisani alla vacanza in montagna, non di diventare montanari s’intende. È vero che nella stagione invernale accorrono molti sulle piste da sci, ma sono in pochi a frequentare la stazione turistica nel resto dell’anno, lasciando così inutilizzato l’enorme patrimonio abitativo che ha occupato un pezzo di uno dei luoghi più belli del massiccio montuoso.

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Se le case non vengono usate si può legittimamente parlare di spreco ambientale; il sito risulta ingombrato da una enorme volumetria edilizia, una colata di cemento che ne ha alterato le caratteristiche naturalistiche e percettive. Si è fatto poco per incentivare la pratica dell’escursionismo, uno stimolo alla frequentazione fuori stagione, con Campitello quale campo base e il poco, che comunque per quegli anni era tanto, partendo da zero, dall’assenza totale di “infrastrutturazione” sentieristica in questo comprensorio, è rappresentato dai 6 itinerari nella natura ideati dal direttore tecnico della stazione Riccardo Platner, più che maestro di sci Maestro dello Sci. I tracciati escursionistici proposti indicati su un tabellone in bella vista all’interno del polo montano hanno quale punto di partenza, ovviamente, Campitello il quale può fungere quale base logistica per le “gite” ovvero passeggiate giornaliere e per i trekking che sono plurigiornalieri. Negli anni non si è mai pensato a predisporre un punto informativo per gli appassionati di escursioni, a formare guide per accompagnare i visitatori e i villeggianti desiderosi di provare l’esperienza della camminata. Il cammino non è solo occasione di svago o di conoscenza delle peculiarità ambientali del circondario montagnoso, perché è anche un’attività salutistica. Lo è specie se si svolge in un contesto salubre. La salute era l’obiettivo programmatico dell’iniziativa del presidente dell’Ente provinciale del turismo Ciampitti di promuovere la creazione di un villaggio cosiddetto svedese di casette diffuse nel bosco, quello di Rote-Trabucco, per i benefici ai polmoni e alle coronarie di un periodo di ferie, prolungato perché è essenziale l’acclimatazione, in altura. L’operazione, dato il numero necessariamente ridotto di cottage da ospitare dentro la superficie boschiva, appare di tipo elitario; all’estremo opposto vi è l’elevata quantità di posti letto contenuti nei blocchi di fabbrica della contigua e successiva Campitello che si sta rivelando esorbitante rispetto alla domanda in atto, funzionali a consentire ad un maggior numero di persone di poter villeggiare alle curve di livello superiori e così giovarsi del cambio di pressione atmosferica la quale influisce su quella sanguigna e sulla formazione dei globuli rossi se la permanenza in loco è protratta per un tempo sufficiente.

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Si sta verificando un corto circuito: meno gente decide di trascorrere le vacanze a Campitello, meno negozi, anche di prima necessità, vedi l’alimentare chiuso di recente, rimagono aperti. La massa critica per gli esercizi commerciali di servizio è stimabile in 350-500 abitanti e la loro mancanza, sotto tale soglia, scoraggia il soggiorno nella stazione. Per invogliare a soggiornare nei residence si sta puntando sull’intensificazione dell’effetto villaggio. Una prima azione è la costruzione ai margini della strada provinciale di accesso alla località di un marciapiede, un accenno, solo un accenno, alla pedonalizzazione che è un requisito primario per la vivibilità dell’area auspicata anche da Chappis il progettista della stazione. È una specie di lungo-pianoro, se così si può dire, come fosse un lungomare da cui si riesce ad ammirare la vastissima conca carsica che costeggia e la cima di monte Miletto, la principale del centro-meridione. È comodo per camminare perché si svolge in piano, non altrettanto per passeggiare in compagnia perché stretto e d’altronde non è un viale mancando dell’ombreggiamento degli alberi i quali peraltro ostacolerebbero, non si può avere tutto, la splendida visione delle cose che si è descritto, una visione unica.

CAMPITELLO, CAMPOMARINO, UN CAMP-US VACANZE

Campitello è, in effetti, una “città”, per usare un termine che rimanda alle “città ideali” del Rinascimento, ma che qui impieghiamo come sinonimo di insediamento di “nuova fondazione”, sorprendentemente a 1450 metri di quota. Essa nasce, come si conviene a simili entità urbane, da un’idea base che guida la composizione urbanistica. Questa è, nelle intenzioni iniziali, quella di raggruppare le costruzioni sia per garantire una migliore efficienza nel funzionamento della stazione, alla stregua delle megastrutture, sia per, concentrando i fabbricati in un unico punto, lasciare intatto, a meno dell’ambito in cui insiste tale grumo di cemento, lo spettacolare scenario naturale. La nostra località di turismo invernale non si esaurisce in tale blocco edilizio (Montur, Verande, Kandhar) in quanto vi sono all’intorno altri episodi insediativi dei quali alcuni precedono, altri seguono la realizzazione del nucleo edificato di cui si è detto, il quale, peraltro, è centrale rispetto alle iniziative costruttive avvenute prima e dopo la sua comparsa. È antecedente allo strumento urbanistico (anni 60) che sancisce la nascita del polo sciistico il Villaggio EPT (Ente Provinciale del Turismo) il quale è composto di case unifamiliari (con l’eccezione delle due palazzine disegnate dall’ing. Toffi) mentre nel resto della zona turistica matesina vi sono solo appartamenti; da notare comunque che anche qui i fabbricati, che sono chalet, non hanno un proprio lotto di pertinenza (e dunque non è una lottizzazione), analogamente ai residence, facendo parte di una unità che è il Villaggio (in verità, in una sua propaggine vi è una villa con giardino cintato). 

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Un carattere fortemente distintivo del Villaggio è la bassissima densità costruttiva. Le residenze sono scomode per chi intende praticare lo sci perché distanti dagli impianti di risalita obbligando a prendere l’auto per raggiungerli e, pertanto sono sottoutilizzate anche perché è venuta meno la passione per la vacanza estiva in quota; esse potrebbero diventare alloggi appetibili per gli sciatori qualora si desse attivazione al completamento delle previsioni del successivo Programma di Fabbricazione (anni ’70) il quale colloca alle pendici del bosco di Rote-Trabucco, quello in cui sta il Villaggio, lungo la strada per Sella del Perrone, delle lunghe “stecche” di fabbricati. Queste ultime, la cui cubatura è rapportabile a quella esistente, una specie di raddoppio della volumetria della stazione, costringerebbero a collocare delle funivie in prossimità per evitare il medesimo problema che ha indotto i proprietari a frequentare poco le loro abitazioni nel Villaggio. Da un lato, ciò sarebbe possibile in quanto la situazione morfologica considerata favorevole per l’installazione delle attrezzature funiviarie, cioè un tratto in piano seguito dal versante montano su cui sviluppare il carosello delle piste, la quale indusse alla fondazione della stazione sciistica, è presente pure in questo luogo; il pianoro il quale per intero è sottoposto al massiccio del Miletto, è assai lungo e ciò che identifichiamo come Campitello ne “sfrutta” solo un pezzo. Tanto è vero che è sciabile tutta la fascia molisana di questo monte a Capodacqua, al capo opposto di questa conca carsica rispetto a quello dov’è la stazione, vi è una seggiovia, rinnovata di recente. Dall’altro lato, riprendendo il discorso iniziato, è davvero improbabile che il piano urbanistico che si avvertiva già al momento della sua redazione sovradimensionato, trovi compimento data la diminuzione della nevosità a causa dei cambiamenti climatici in corso.

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Ritorniamo a noi chiudendo l’esame del Villaggio EPT con il riconoscere che è un intervento pianificato e ciò è sempre un bene. Appare, invece, un fatto a sé stante, cioè non coordinato con altre strutture perché isolato posto com’è a Selvapiana, un’area con un proprio toponimo distinto da Campitello, l’albergo Kristiania. La formula adottata nella gestione è quella del “tutto compreso”, di un’offerta di soggiorno completa, di un “pacchetto-vacanze” chiuso nel senso che la struttura ricettiva è dotata al suo interno di piscina, campetto, campo da tennis ed è quindi autosufficiente sotto l’aspetto ricreativo (e ristorativo) perché ha scarso bisogno dei servizi presenti a Campitello che, ad ogni modo, non è lontano. Il suo isolamento, va precisato, non è tale da porlo al di fuori del raggio di distanza massima dal sito di partenza delle funivie. Nel secondo piano urbanistico è stabilita una estensione della località turistica ad ovest, in direzione del vallone S. Nicola la quale era pensata per bilanciare il peso anche in termini visivi che avrebbe avuto qualora attuata, l’espansione commentata sopra verso est, confermando così il ruolo di fulcro al complesso sorto all’inizio, secondo le indicazioni dell’urbanista francese Chappis, ispiratore della pianificazione originaria il quale lo considera il cuore della stazione ed in effetti lo è: il corpo di fabbrica di valle di questo insieme edilizio (il Montur che con le Verande e il Kandhar forma il predetto complesso) è l’unica costruzione a Campitello che ha il pianoterra destinato ad esercizi commerciali tra cui gli alimentari. I residence S. Nicola sono 2, ma unicamente il primo è interessante sotto l’aspetto formale, essendo un tentativo con il suo aspetto gradonato, di richiamare l’immagine delle schiere edilizie tradizionali. È ben diverso dal residence Le Verande, pur essendo in comune l’interesse a rispettare la morfologia del terreno, l’uno, il San Nicola, disponendo le cellule in modo sfalsato per adattare il fabbricato al pendio, l’altro, Le Verande, seguendo con la sua sinuosità la curva di livello su cui si attesta. Quest’ultimo ha la facciata, si noti bene in quanto il lato più soleggiato, sud interamente vetrata. Tipologie urbanistiche, le varie storie insediative, d architettoniche differenti fra loro danno vivacità all’immagine di Campitello il quale, però, ha un’unità di fondo nella sua mission, quella, salvo le poche attività alberghiere e i ristoranti, di essere un’aggregazione di seconde case. La località invernale si sviluppa contemporaneamente a quella estiva di Campomarino rispondendo all’esigenza della borghesia locale di avere la villetta (o il mono, bi o tricamere in condominio) al mare e l’appartamento in montagna, anche per lo status quo che ne deriva e per investire i propri risparmi nel mattone, oltre che per le opportunità di svago fisico.

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STAZIONE PER LO SCI, ALTRIMENTI VUOTA

A Campitello, contrariamente a quanto pronosticato all’inizio, al momento della creazione della stazione sciistica la quale era stata pensata per un turismo residenziale, si è andato affermando nel tempo il pendolarismo. La maggioranza delle persone che frequentano questa località, sia d’inverno sia d’estate, sono pendolari, sempre meno essendo quelli che, proprietari o affittuari, soggiornano per più giorni in qualcuno dei numerosissimi appartamenti presenti nei vari residence costruiti dagli anni ’70 ai ’90. Se questo è certo, come è certo, dovrebbe essere ridotta la potenzialità edificatoria residua prevista dal Programma di Fabbricazione vigente. Invero, va precisato, non è una volumetria residuale, correggendo così quanto detto prima, perché, al contrario, essa è ancora consistente. Dunque, è il tema del flusso turistico giornaliero quello che è diventato centrale nella gestione del centro montano, dato che si sono ormai esaurite le prospettive della stanzialità dei fruitori del sito le quali ultime sole giustificherebbero un’espansione dell’edificato. La verifica dell’impatto ambientale si deve misurare così con la questione delle permanenze di un giorno, essendo ormai fuori dalla concretezza le preoccupazioni per l’ambiente che si genererebbero dall’estensione del costruito. I visitatori che raggiungono il polo di sport invernali matesino in giornata, usufruendone dei servizi producono sicuramente effetti sul contesto ecologico, a cominciare dai rifiuti i quali essendo “stradali” non sono differenziabili, sulla risorsa idrica, i grandi serbatoi sotterranei della nostra montagna, per via delle inevitabili esigenze fisiologiche, sull’aria, i gas di scarico delle auto. Per quanto riguarda la problematica appena citata è da aggiungere che l’inquinamento prodotto dalle tante macchine private, i pullman sono molto meno, riguarda pure la strada che congiunge con S. Massimo. Quelli elencati sono i principali punti critici connessi all’afflusso di turisti, per così dire, mordi e fuggi, ma, è evidente, ve ne sono pure altri, dal rumore che provoca disturbo anche alla fauna selvatica alla copertura con asfalto e, quindi, impermeabilizzazione del suolo, per ricavare parcheggi. Tutte cose alle quali non si era pensato allorché si decise, eravamo nel 1967, la nascita del villaggio vacanze sulla neve. Il progetto, o meglio il piano, o tutte e due insieme perché qui il progetto della società immobiliare viene assunto sic et simpliciter quale piano urbanistico comunale, riguardava la realizzazione di un complesso di fabbricati per alloggi, chiamati impropriamente residence, in quanto gli acquirenti ne hanno il pieno possesso senza essere obbligati, come si conviene ai residence, a ricevere alcuna prestazione da parte del soggetto che li conduce, dalla pulizia dei vani alla fornitura di lenzuola, per esempio. Non sono, bisogna per onestà dirlo, neanche delle classiche seconde case poiché le unità abitative, sempre piccole, sono integrate con una serie di locali comuni dove svolgere attività ricreative e conviviali (un po’ quanto succede, per intenderci, nella cosiddetta edilizia sociale).

La scelta che fu fatta al principio fu quella di accorpare i blocchi destinati a residenze e con i negozi in modo da minimizzare gli spostamenti. Ci si sarebbe mossi a piedi, costantemente al coperto, financo in pantofole, e ciò significa che non vi sarebbe stato traffico automobilistico, una delle conseguenze negative del pendolarismo degli sciatori. Vale la pena soffermarsi sugli aspetti architettonici, sull’idea progettuale del primo nucleo di Campitello il quale è tuttora il corpo centrale dell’insediamento in quanto costituiscono una novità assoluta nel panorama insediativo molisano, non c’è niente da prendere ad esempio, rispetto ai quali bisognerà confrontarsi senza avere modelli di valutazione da seguire per determinare le criticità ambientali; i vantaggi, oltre che nel campo della mobilità, si intravedono nella raccolta degli scarti domestici con i contenitori, di tipo condominiale, conservati al chiuso, nella centralizzazione del riscaldamento per minimizzare i consumi energetici, nel riciclo delle acque e così via. Non è che all’epoca, più di mezzo secolo fa, si poneva attenzione a ciò per cui l’impostazione compositiva adottata segue semplicemente logiche funzionali senza disdegnare, ad ogni modo, interesse per l’autopromozione della struttura, una specie di marketing fatto attraverso l’architettura. È la pianta ad U del Montur, a far venire in mente tale lettura, l’emiciclo essendo una forma “classica” la quale conferisce un’immagine, per certi versi e con i limiti immaginabili, nobile alla fabbrica. Campitello sembra sia in continua ricerca di elementi fisici caratterizzanti, l’altro è la piramide, un archetipo assoluto, l’involucro del palazzetto del ghiaccio. Più di tutto, però, ad impressionare un osservatore, oggi noi ci abbiamo fatto l’abitudine, visiva, è la scala della costruzione la quale appare come un insieme unitario pur articolato in due parti distinte, l’una, il binomio Kandhar e le Verande, soprapposta all’altra, il Montur, collegate da un ascensore inclinato, un’esibizione, peraltro, di tecnologia innovativa, che aggiorna la funicolare. In definitiva è ciò che si chiama megastruttura, simile a quelle che, nel medesimo periodo, cominciano ad apparire nelle grandi città e, perciò, è un simbolo della modernità. Il rapporto con il paesaggio è nella stessa planimetria semicircolare che richiama la concavità del circo glaciale che sta dirimpetto. Poca cosa e non sarebbe andata meglio se, perché il problema è l’ingombro dello spazio innanzitutto, invece di questo conglomerato cementizio, ammassamento di volumi, si fosse puntato su palazzine singole, cariche esteriormente di rimandi alle dimore tradizionali come fece Ridolfi un decennio prima al quartiere Tiburtino a Roma, rievocazioni che sono presenti nella operazione compiuta di recente di arredo urbano. L’ampliamento del centro turistico secondo lo strumento urbanistico, attuato sia in un modo sia nell’altro, produrrebbe inevitabilmente l’alterazione dei quadri percettivi con serie lesioni all’ambiente, intollerabili per un’area che è nel cuore del Parco Nazionale.

Campitello Matese, pista San Nicola

INSEDIARSI IN QUOTA

Un insediamento urbano è normalmente riconosciuto, superata ormai la logica dello zoning, quale luogo in cui vi è la compresenza di una pluralità di funzioni, non un posto formatosi per semplice accostamento di fatti distinti. Una città per essere viva, autentica, ha bisogno che le cose si mischino fra loro, le abitazioni, i servizi, le sedi lavorative. Invece, nei centri turistici, specie in quelli nati proprio per questo scopo, dove, cioè, all’origine non c’era un nucleo abitato evoluto poi in località di villeggiatura, prendi Roccaraso, vi è una diversa impostazione della pianificazione che prevede la separazione delle differenti attività. La differenza tra una stazione di soggiorno e una città, anche quando molto piccola, è evidente se solo si pensa alla complessità del fenomeno urbano; un agglomerato insediativo ha, qui da noi, una storia solitamente millenaria che produce la stratificazione dell’edificato e con essa delle destinazioni funzionali, cose non presenti in nuclei sorti ex novo, quindi negli insediamenti turistici. Campitello che è uno di questi è stato progettato con una netta distinzione delle attività: gli alberghi, la galleria commerciale, le piste da sci alpino e quelle per lo sci nordico, gli alloggi per vacanze. Mancava la chiesa nel progetto iniziale forse perché vi era l’iniziativa in corso, poi non proseguita, di Franco Ciampitti, il presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo al quale si deve la nascita di Campitello, di costruzione della Madonna delle Neve sul colle che domina il pianoro all’entrata della stazione; solo in seguito è stata realizzata la cappella attuale ai margini del piazzale che contribuisce al tanto ricercato effetto villaggio. Questa scansione così definita delle destinazioni d’uso non comporta una loro collocazione in spazi distaccati, bensì esse rimangono raggruppate intorno ad un elemento centrale, il cosiddetto «ferro di cavallo», e collegate fra loro da un camminamento coperto e da una sorta di funicolare. Tale impronta di «megastruttura», di unico enorme blocco cementizio contenente posti letto e servizi, viene conservata pure nel nuovo piano urbanistico, quello vigente, che prevede un notevole aumento di cubatura, ma anch’essa concentrata intorno a quella piazza ad U di cui si è fatto cenno. Siamo di fronte all’applicazione del concetto lecourbesiano di complesso a «dimensione conforme», questa volta riferito ad un centro di sport invernali e non all’unitè d’habitation. Il programma di fabbricazione attuale è stato ispirato da Laurent Chapis, l’architetto delle prime stazioni sciistiche sulle Alpi, il quale teorizzava che gli sciatori pendolari dovessero essere differenziati da quelli, per così dire, residenti; gli sciatori giornalieri devono avere propri servizi, percorsi differenti da quelli dei turisti più stabili, senza che intralcino le esigenze di vivibilità dei secondi, dunque la permanenza prolungata di questi ultimi nel centro. Secondo Chapis si devono configurare, da un lato, spazi per i visitatori e dall’altro spazi per i fruitori delle settimane bianche o dei weekend, più o meno prolungati; per gli uni necessitano, per esemplificare, locali dove è possibile lasciare borse e ricambi di vestiario, per gli altri sono da offrire occasioni di svago nel dopo sci. I pendolari non devono avere accesso con le auto all’interno dell’insediamento turistico e non possono scegliere dove parcheggiare, ma si è costretti a sostare le automobili private e gli autobus in un determinato sito, mentre i residenti hanno facoltà di transitare per raggiungere i garages condominiali. Chapis suggeriva che ci si sarebbe dovuti fermare, addirittura, alle Pianelle, a 3 chilometri da Campitello che sarebbe stato raggiunto con servizi navetta. La descrizione fatta è finalizzata, come si può intendere, a evidenziare, per un verso, l’estrema articolazione delle funzioni, ben diversa da quella rinvenibile in un nucleo urbano dove i fatti si accavallano, si mischiano, si sovrappongono, a volte in maniera abbastanza casuale, frutto come sono delle vicende storiche che esso ha vissuto, del coacervo di componenti sociali e, di conseguenza, di esigenze spesso divergenti, e per l’altro verso che l’impianto urbanistico segue un modello architettonico definito, al contrario degli agglomerati abitativi classici in cui nella forma urbana si registrano le varie fasi di espansione. Vi è, in verità, un’eccezione a quanto affermato ed è il caso delle «città ideali» del Rinascimento italiano (vedi Palmanova) e delle città coloniali americane con il tipico tracciato a maglia ortogonale, e ideale è un aggettivo che è lecito adottare per una stazione sciistica d’impianto (non legata ad un centro abitato). Ideale è, comunque, una stazione al momento della sua fondazione in quanto in seguito, Campitello ha ormai quasi cinquant’anni, il suo schema subisce contaminazioni. Nella località matesina esse sono iniziate pure, si riconosce che è paradossale, antecedentemente agli impianti da sci: il villaggio EPT nel bosco Rote-Trabucco preesisteva all’iniziativa imprenditoriale del gruppo immobiliare del conte Stella. Ci sono anche il rifugio storico e la casa del guardiano presso la Pinetina della Società Meridionale d’Elettricità a servizio della centrale idroelettrica di S. Massimo che è degli anni ’20 del secolo scorso. Nell’ultimo decennio vi sono stati dei cambiamenti nell’assetto del centro turistico il principale dei quali è la comparsa della piazza in cui ora si sta erigendo la piramide in vetro del palazzetto dello sport; l’epicentro della località si sta spostando con la definizione di un nuovo punto centrale. Si legge, poi, la tendenza al restyling con la pavimentazione in pietra del lungo marciapiede contornato da una staccionata in legno, ambedue materiali che conferiscono l’atmosfera del villaggio alpino e che sono in contrapposizione agli enormi volumi in cemento armato costruiti in passato che ingombrano il sito. Finora si è parlato di rinnovo, va evidenziato, e non di crescita e neanche di trasformazione vera e propria, la piazza non basta, neppure nella modalità della rigenerazione urbana. Si legge ad ogni modo un accenno di evoluzione, sempre la piazza e gli interventi di arredo urbano, che va nella direzione della caratterizzazione di Campitello non più quale località tutta legata allo sci (si pensi che i tetti dei corpi edilizi che dovrebbero sorgere di fronte al “ferro di cavallo” sono inclinati per permettere agli sciatori di raggiungere le piste direttamente dai residence), ma che punta alla pluristagionalità, alla frequentazione turistica anche in stagioni diverse da quella invernale; a questo proposito, per sottolineare la innovazione in embrione, che ciò è ben altra faccenda che quella di garantire un gradevole soggiorno ai turisti che trascorrono un periodo di più giorni sulla neve nonostante che pure per questo fine occorra un ambiente urbano gradevole. Accompagnare tale mutazione ancora in germe, la quale è in linea con l’esigenza di valorizzazione del Matese, del quale Campitello potrebbe fungere da centro servizi, dovrebbe essere lo scopo di un rivisitato strumento urbanistico. La necessità di una nuova pianificazione scaturisce pure dal bisogno di introdurre accorgimenti per la sostenibilità ambientale, tema particolarmente importante trovandoci nel cuore di un ambito di valenze ecologiche eccezionali. Si dovrebbe pensare pure a ridurre i metri cubi edificabili secondo il piano in vigore per salvaguardare l’immagine di questa conca davvero unica, il vero motivo della scelta del sito da parte della società imprenditrice che realizzò Campitello; il Molise spesso sottovaluta la bellezza dei suoi beni. L’ubicazione degli edifici è nella parte più soleggiata di Campitello in quanto discostata da m. Miletto al quale invece la proposta progettuale in esame della ditta Cicchese si avvicina e il costruire affianco a questo monte che ha un grande valore simbolico costituisce, peraltro, una sorta di mancanza di riguardo nei suoi confronti. Infine, si ritorna alla espressione dimensione conforme, sempre con riferimento a questo progetto, la quale contiene in sé il significato di compiutezza e nello stesso tempo di limite dimensionale, per dire che il mancato completamento del piano urbanistico rende oggi parziali attuazioni dello stesso, come quella che ha in cantiere la ditta Cicchese, incoerenti con l’assetto dell’agglomerato turistico ormai cristallizzato.

A PIEDI DENTRO E FUORI CAMPITELLO

Campitello quando nacque agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, il Programma di Fabbricazione è del 1967, rappresentò una novità assoluta nel panorama insediativo molisano. Era una realizzazione di avanguardia e tale è rimasta nel senso che nel Molise fino ai giorni odierni non è mai stata replicata una cosa simile, non c’è stato niente di comparabile dopo la sua apparizione dal nulla. Si, dal nulla perché in alta quota, quota superiore seppur di poco a quella di Capracotta, per colpa del carsismo, siamo sul Matese, che limita le fonti di approvvigionamento idrico, cioè le sorgenti l’uomo ha trovato impossibile abitare stabilmente. L’assenza di borghi di montagna tradizionali con i quali confrontarsi, copiare il loro assetto urbanistico e le tipologie costruttive, ha reso liberi da condizionamenti formali di sorta i progettisti di questo complesso turistico. Era uno spazio vuoto e in tutto l’altopiano matesino non vi erano, né vi sono, riferimenti architettonici cui ispirarsi nell’edificazione della località di villeggiatura per cui i suoi ideatori si sono potuti esprimere con il linguaggio dell’architettura, all’epoca, contemporanea. La sua singolarità sta oltre che nell’altitudine in cui sorge e nei caratteri stilistici dell’edificato anche nel fatto che è la prima, peraltro unica, volta in cui un agglomerato edilizio risulta frutto di un disegno unitario; non è stato attuato, per intenderci, tramite un piano di lottizzazione nel quale intervengono operatori diversi nei vari lotti. Qui, invece, l’imprenditore è lo stesso, non vi è stato un frazionamento degli interventi, il quale, mutuando l’espressione “dal cucchiaio alla città” di Rogers, un Maestro del Razionalismo, ha curato ogni aspetto dell’insediamento. Prendendo in prestito e adattandola al nostro caso la celebre frase di Gioberti, un Maestro del pensiero risorgimentale, “fatta l’Italia ora bisogna fare gli Italiani”, si può dire che Campitello è bella e pronta, quello che rimane da fare è abituare i molisani alla vacanza in montagna, non di diventare montanari s’intende. È vero che nella stagione invernale accorrono molti sulle piste da sci, ma sono in pochi a frequentare la stazione turistica nel resto dell’anno, lasciando così inutilizzato l’enorme patrimonio abitativo che ha occupato un pezzo di uno dei luoghi più belli del massiccio montuoso. Se le case non vengono usate si può legittimamente parlare di spreco ambientale; il sito risulta ingombrato da una enorme volumetria edilizia, una colata di cemento che ne ha alterato le caratteristiche naturalistiche e percettive. Si è fatto poco per incentivare la pratica dell’escursionismo, uno stimolo alla frequentazione fuori stagione, con Campitello quale campo base e il poco, che comunque per quegli anni era tanto, partendo da zero, dall’assenza totale di “infrastrutturazione” sentieristica in questo comprensorio, è rappresentato dai 6 itinerari nella natura ideati dal direttore tecnico della stazione Riccardo Platner, più che maestro di sci Maestro dello Sci. I tracciati escursionistici proposti indicati su un tabellone in bella vista all’interno del polo montano hanno quale punto di partenza, ovviamente, Campitello il quale può fungere quale base logistica per le “gite” ovvero passeggiate giornaliere e per i trekking che sono plurigiornalieri. Negli anni non si è mai pensato a predisporre un punto informativo per gli appassionati di escursioni, a formare guide per accompagnare i visitatori e i villeggianti desiderosi di provare l’esperienza della camminata. Il cammino non è solo occasione di svago o di conoscenza delle peculiarità ambientali del circondario montagnoso, perché è anche un’attività salutistica. Lo è specie se si svolge in un contesto salubre. La salute era l’obiettivo programmatico dell’iniziativa del presidente dell’Ente provinciale del turismo Ciampitti di promuovere la creazione di un villaggio cosiddetto svedese di casette diffuse nel bosco, quello di Rote-Trabucco, per i benefici ai polmoni e alle coronarie di un periodo di ferie, prolungato perché è essenziale l’acclimatazione, in altura. L’operazione, dato il numero necessariamente ridotto di cottage da ospitare dentro la superficie boschiva, appare di tipo elitario; all’estremo opposto vi è l’elevata quantità di posti letto contenuti nei blocchi di fabbrica della contigua e successiva Campitello che si sta rivelando esorbitante rispetto alla domanda in atto, funzionali a consentire ad un maggior numero di persone di poter villeggiare alle curve di livello superiori e così giovarsi del cambio di pressione atmosferica la quale influisce su quella sanguigna e sulla formazione dei globuli rossi se la permanenza in loco è protratta per un tempo sufficiente. Si sta verificando un corto circuito: meno gente decide di trascorrere le vacanze a Campitello, meno negozi, anche di prima necessità, vedi l’alimentare chiuso di recente, rimagono aperti. La massa critica per gli esercizi commerciali di servizio è stimabile in 350-500 abitanti e la loro mancanza, sotto tale soglia, scoraggia il soggiorno nella stazione. Per invogliare a soggiornare nei residence si sta puntando sull’intensificazione dell’effetto villaggio. Una prima azione è la costruzione ai margini della strada provinciale di accesso alla località di un marciapiede, un accenno, solo un accenno, alla pedonalizzazione che è un requisito primario per la vivibilità dell’area auspicata anche da Chappis il progettista della stazione. È una specie di lungo-pianoro, se così si può dire, come fosse un lungomare da cui si riesce ad ammirare la vastissima conca carsica che costeggia e la cima di monte Miletto, la principale del centro-meridione. È comodo per camminare perché si svolge in piano, non altrettanto per passeggiare in compagnia perché stretto e d’altronde non è un viale mancando dell’ombreggiamento degli alberi i quali peraltro ostacolerebbero, non si può avere tutto, la splendida visione delle cose che si è descritto, una visione unica.

CHE SPASSO SAREBBE ANDARE A SPASSO PER CAMPITELLO

Per invogliare ad una frequentazione degli alloggi, spesso sottoutilizzati, che compongono i residence occorre puntare all’intensificazione dell’effetto-villaggio agendo sulla pedonalizzazione. Una delle azioni auspicabili è quella della separazione delle percorrenze pedonali e quelle automobilistiche, il meglio sarebbe il prevedere corsie per pedoni in sede propria il che vuol dire non affiancate a quelle carrabili. Mancano ancora, né sono in progetto, camminamenti pedestri che congiungano le varie attività, dalla biglietteria degli impianti di risalita alla chiesa alla piazza gradonata al palazzetto del ghiaccio, al rifugio EPT fino alla galleria commerciale Montur. Attualmente chi va a piedi non è tranquillo dovendo stare attento alle auto che passano a fianco. Potrebbe essere opportuno, visto che siamo in quota, un porticato quale prosecuzione del portico a forma di ferro di cavallo del Montur, a differenza di questo non affiancato da negozi o ristoranti, che permetta a coloro che si spostano con le proprie gambe di non essere esposti alle intemperie, di potersi muovere anche con la pioggia e durante le nevicate. Ad essere esclusa da questo sistema continuo di passaggi coperti rimarrebbe unicamente la cosiddetta Piramide, la quale per l’assolutezza della sua forma, è un “solido platonico”, non accetterebbe di venir affiancata da alcuna pensilina di sorta. Del resto, da un lato, il suo ingresso non sta nel piazzale sul quale aprono tutti gli altri edifici, bensì si entra dal pianoro che è quota inferiore e, dal’altro lato, è certo che l’accostamento a questo prisma in vetro di appendici seppure leggere cozza con la ricerca di purezza dell’immagine di questo oggetto di alto valore simbolico, immagine estremamente accattivante la quale rientra in un’operazione di marketing, di richiamo pubblicitario per il rilancio della località. Quello che manca a Campitello, così come nella maggioranza di quei Comuni molisani che ambiscono a diventare luoghi di villeggiatura, è un viale. Qui si potrebbe attrezzare, non c’è bisogno di piantumare alberi ai bordi, a tale scopo il tratto iniziale della strada per Sella del Perrone che ha limitata pendenza, dotandolo di punti di sosta con panchine e lampioni lungo il suo svolgimento. Oggi si può passeggiare sul marciapiede a lato della strada provinciale di accesso a Campitello, piacevolmente perché è con vista dell’insieme di Miletto e pianoro, un lungo-pianoro così come c’è il lungo-mare e il lungo-lago e poi perché è pressoché pianeggiante. Il viale proposto sopra ne costituirebbe la prosecuzione, allungando il percorso del passeggio e permetterebbe di camminare, per diporto, lontano dal rumore del traffico e dal vociare dei frequentatori del centro trattandosi di un ambito appartato. È assente pure un giardino pubblico per la ricreazione all’aperto dei villeggianti, magari sul modello dell’alpen garden, da usufruire in estate, il quale è complementare al viale. La pedonalità non sarebbe possibile, è bene evidenziarlo, se i fabbricati residenziali fossero troppo lontani dalle seggiovie. A proposito della dispersione insediativa c’è da dire che alcuni ritengono che la concentrazione in un unico sito, la situazione attuale, delle cubature edilizie abbia una forte incidenza percettiva ed è vero, è una enorme massa edificata composta da molteplici residence, le Verande, il Kandhar, i S. Nicola 1 e 2, tutti di grosse dimensioni  posti a distanza ravvicinata fra loro; gli stessi critici pensano che sarebbe stato opportuno, a parità di volumetria prevedere l’edificazione di costruzioni di grandezza contenuta se non di casette a schiera o meno, di villette come si vedono nelle località turistiche alpine più celebrate. È da immaginare l’effetto negativo sul paesaggio che avrebbe avuto la disseminazione in un’intorno ampio, non circoscritto allo spazio, tutto sommato ristretto, occupato ora da questa stazione di sport invernali, di corpi di fabbrica, si piccoli e però innumerevoli. Nel contempo è da riflettere sulle conseguenze di tale distribuzione delle unità alloggiative applicando nel Programma di Fabbricazione un indice fondiario basso sul traffico che avrebbero generato gli spostamenti dalle residenze alle partenze degli impianti di risalita, non è nelle cose muoversi di casa per raggiungere le sciovie avendo già dovuto calzare gli scarponi da neve. Il Villaggio EPT composto da immobili unifamiliari diffusi nell’areale del bosco Rote-Trabucco costituisce un monito, un esempio da non seguire; a sua giustificazione vi è il fatto che esso è precedente alla stazione dello sci. La decisione urbanistica di accentrare gli alloggi unendoli fra loro e questi con i servizi va nella direzione di ridurre la necessità dell’uso dell’automobile. Le unità abitative sono raggruppate in poche, assai voluminose entità architettoniche. Esse, peraltro, vengono a costituire un insieme in quanto reciprocamente prossime. Probabilmente preoccupati di determinare un “grumo” cementizio troppo consistente dovettero convincersi che sarebbe stato opportuno articolare la grossa quantità volumetrica frazionandola in più tronconi, i singoli residence, intermezzandoli con minime strisce di verde. Essi sono collegati pedonalmente, almeno il gruppo centrale. Si cammina andando da una parte all’altra di questo nucleo che è al centro di Campitello formato dalle Verande, il Kandhar e il Montur sempre al chiuso; anda- ndo da sopra a sotto si passa lungo un corridoio vetrato che si sviluppa al piano basamentale de Le Verande cui si raccorda anche il camminamento che parte dal Kandhar per proseguire trasportati da un ascensore inclinato nell’ambulacro semicircolare del Montur su cui affacciano ingressi e vetrine di negozi e un esercizio di ristoro. Quando si è obbligati a uscire allo scoperto allora iniziano i problemi, chi intende adoperare per spostarsi le proprie gambe sarà costretto a zigzagare tra le macchine in sosta, al Montur manca un garage per gli ospiti, e in movimento. Dal lato del piazzale che volge verso monte, non monte Miletto che è, incredibile ma vero verso valle, non vi è quella stessa continuità della percorrenza pedonale protetta, ovvero su marciapiede, che vi è in quello opposto. La persona semovente nell’attraversare la località secondo il suo asse maggiore, se non opta per il più sicuro percorso bordo-pianoro, si imbatte in due innesti di strade secondarie, ambedue a fondo cieco, l’una che risale l’altura in cui sorgono Le Verande e il Kandhar e l’altra che ridiscende il pezzo iniziale, l’imbocco, del vallone S. Nicola, costeggiato sui lati contrapposti dal S. Nicola 1 e dal S. Nicola 2. Si tratta di vie laterali che conducono a complessi residenziali i quali aspirano a stare appartati, non hanno avuto interesse a prospettare sul piazzale, il luogo su cui si riversano i turisti, per così dire, giornalieri i quali inevitabilmente generano confusione e rumore con disturbo della quiete di chi è in vacanza a riposare; da notare, annotazione marginale, in riferimento al discorso che si è fatto prima sulla passeggiata, per chiudere in qualche modo il cerchio, che entrambe le stradine hanno una accentuata pendenza il che le rende oltre che per la sezione viaria ristretta inidonee per il passeggio.

SCIARE È BELLO SE LA MONTAGNA È BELLA

È sicuramente il luogo più bello del Parco Nazionale del Matese e, nello stesso tempo, il luogo maggiormente oggetto di trasformazioni dell’intero comprensorio matesino, non si può fare il paragone con nessun altro angolo del massiccio, neanche con Bocca della Selva. Tutto ciò apparirebbe paradossale se non fosse che proprio dove sono più elevate le valenze paesaggistiche lì l’interesse allo sfruttamento turistico anche mediante lavori impattanti è più elevato. Al turismo legato al godimento delle qualità panoramiche del sito qui si aggiunge qualcosa di ulteriore che sono le sue potenzialità sciistiche; è bene precisare che non siamo di fronte ad una mera coincidenza il fatto che in questa località vi siano entrambe le attrattive, quella del paesaggio e quella dello sci. Infatti siamo nell’ambito più decisamente alpestre di questa montagna, con la cima di monte Miletto spettacolare per il circo glaciale appena al di sotto e la sua altitudine superiore a 2000 metri, elevazione, anche se non si raggiunge tale altimetria con gli impianti di risalita (cosa che si vorrebbe fare ora), che garantisce la presenza di neve a lungo e, di conseguenza, insieme all’”aiutino” dell’innevamento artificiale nelle quote inferiori, la possibilità di sciare, a lungo. Bisogna, poi, considerare in riferimento alla vocazione sciistica che il versante molisano del Matese il quale volge verso l’Adriatico è più distante dal mare di quanto lo sia quello campano in quanto in questa porzione della Penisola l’Appennino non sta sulla sua mezzeria, bensì è spostato sul lato tirrenico. Non solo Campitello subisce minimamente, data la lontananza, l’influenza marina mitigatrice della temperatura, ma è protetto dalle perturbazioni provenienti da ovest per via della barriera montuosa (la protezione verrebbe meno se ci si avvicina alla vetta che, appunto, svetta). In aggiunta, il fianco del rilievo montano che ricade nel Molise è esposto a nord, quindi più freddo. Infine, il dislivello da monte (Miletto) a valle (il pianoro), circa 600 metri, è sufficiente per avere piste ben sviluppate. Ritornando alla considerazione che Campitello è attraente tanto per la bellezza degli scenari quanto a ragione della suscettibilità intrinseca per la pratica dello sci vediamo che la faggeta che si sviluppa alle pendici del Miletto, in quanto superficie forestale è, di certo, elemento di richiamo nonostante risulti alterato dal passaggio delle piste e delle sciovie, autentiche cicatrici nel manto boscoso. Se dal punto di vista di osservazione del visitatore amante dell’integrità dei quadri visivi ciò è un aspetto del tutto negativo, da quello dello sciatore lo è, come è ovvio che sia, meno, forse dall’interno delle piste se ne accorge meno, lo ritiene magari un sacrificio inevitabile. È da considerare che gli sport invernali sono quelli in cui vi è la maggiore correlazione tra attività sportiva e turismo. In altri termini, colui che scia ama farlo in contesti ambientali gradevoli per cui anche lo sciatore, salvo le manomissioni necessarie per la realizzazione delle opere funzionali alla discesa con gli sci, il suo obiettivo primario, è favorevole alla conservazione delle visuali di pregio. È troppo generico, lo si ammette, parlare di sciatore perché vi sono sia quelli “pendolari”, sia quelli che pernottano nella stazione montana. Ai secondi, oltre naturalmente la ricettività, occorre offrire occasioni di divertimento per impegnare i momenti del dopo-sci. Poca cosa nelle stazioni ski-total come era stata concepita all’inizio la nostra, che oggi, invece, assumono un peso rilevante nella pianificazione della località vista la diminuzione delle precipitazioni nevose. Campitello al principio ha puntato tutto sullo sci anzi la nascita di Campitello è contemporanea alla nascita dello sci quale fenomeno di massa, prima essendo uno sport elitario (il principe Umberto di Savoia è il più noto dei frequentatori del passato). Del resto questo polo montano è sorto dal nulla, non doveva tener conto di preesistenti impostazioni del centro turistico alla stregua, per esempio, di Roccaraso, che ne avrebbero potuto condizionare l’organizzazione. Se la comparsa della stazione invernale matesina non è stata preceduta, come pure avvenuto altrove e adesso quale esemplificazione si indica Capracotta dove la funivia di m. Capraro è di moltissimo successiva agli anelli di sci di fondo di m. Campo, da niente è negli ultimi anni che si è cominciato a programmare attrezzature alternative alla discesa, invertendo l’ordine consueto delle infrastrutture per il turismo invernale. Si realizza così il palazzetto per il ghiaccio che è funzionale, da un lato, agli sciatori per trascorrere il tempo libero e, dall’altro lato, ad un’utenza generica, cioè anche a chi non si reca a Campitello per sciare, né è un accompagnatore dei primi. È, in definitiva, una cosa a sé, distinta dallo sci che, però, ha in comune con questo l’essere pur esso, il pattinaggio su ghiaccio, uno sport invernale; non è, dunque, un’iniziativa infrastrutturale come tante, prendi un campo di basket o una piscina, scelta a caso perché è coerente con la natura di questo villaggio turistico che è montano. Il suo essere tipico degli insediamenti per vacanza in quota non fa temere a tale attrezzatura la concorrenza di altre simili nei comuni a valle che non ve ne sono (né ci potrebbero stare date le condizioni climatiche, è superfluo dirlo). Il pattinaggio su piste ghiacciate è, comunque, un richiamo assai minore di quello di sciare su piste innevate, non c’è alcunché in montagna che può stare alla pari, in quanto a numero di praticanti, allo sci il quale è, dopo il calcio, lo sport più amato dagli italiani. Talmente amato che si accetta volentieri, pur di poter sciare, di effettuare lunghi spostamenti. Per qualche aspetto, per quello che lo sci impone defaticanti viaggi per raggiungere la base di partenza degli impianti, probabilmente la passione per lo sci è più forte di quella del gioco del pallone, ma al proposito va tenuto conto di quanto sottolineato in precedenza, che al piacere di sciare si associa il gusto di apprezzare i panorami, una molla non da poco. Mentre si scia ci si immerge in ambienti di indiscutibile valore come sono le zone in altitudine. A rafforzare tali affermazioni vi è la constatazione che anche chi vive nell’area matesina non disdegna di muoversi per andare a Roccaraso e non solamente per cimentarsi su altri tracciati, non i soliti, o sperimentarne di più impegnativi. Lo sci si sposa pure con la vacanza, la quale in quanto tale deve svolgersi in una situazione ambientale piacevole (di nuovo la questione del mantenimento dei caratteri di pregio dell’area sciabile) e allora si parte in direzione delle Alpi per la cosiddetta settimana bianca. Piuttosto che tirare delle conclusioni si chiude raccomandando ai gestori di Campitello di non tirare troppo la corda, o meglio la fune degli impianti a fune, sollevando la loro stazione di smonto, per non rischiare di rovinare i quadri percettivi e di compromettere, avvicinandosi troppo, la “sacralità” della vetta, la più alta dell’Italia centro-meridionale.

A CAMPITELLO UN RIFUGIO CHE NON SERVE PIÙ PER RIFUGIARSI

Ogni qual volta si discuta di parchi è evidente che uno dei temi da trattare sia quello dei rifugi. Ebbene anche in questo caso, il caso del Matese, ci tocca parlare di tali manufatti costruttivi che, poi, sono gli unici ammessi in un’Area Protetta qual’è la nostra essendo la montagna in questione diventata Parco Nazionale. In verità, qui di volumetria realizzata ce n’è tanta, tutta concentrata a Campitello. Il rifugio per sua natura è una struttura isolata ma in questa località non è affatto solinga attorniata com’è di molti residence edificati in passato il che ne altera il suo senso precipuo, quello di presidiare l’altura per garantire la possibilità di rifugiarsi, alla bisogna, ai frequentatori di questa zona d’altitudine; non c’è, certo, ora più la necessità di un attrezzatura specifica per soddisfare l’esigenza di un posto dove ripararsi al sopraggiungere di fenomeni atmosferici intensi e inattesi oppure per ricoverarsi al chiuso allorché la notte ti colga all’improvviso, essendoci in loco diversi alberghi che potrebbero servire all’uopo. Il rifugio dà, ad un tempo, alloggio ai praticanti di monti e al conduttore dello stesso il quale avrebbe il compito di soccorrere chi, a causa di un qualche incidente occorso durante un’escursione montana, sia in difficoltà e anche di rintracciare le persone che si sono smarrite lungo un sentiero (operazione fattibile se si è preventivamente informato il gestore del rifugio dell’itinerario che intendevano seguire). Il rifugio di Campitello, specie antecedentemente alla realizzazione, siamo intorno al 1960, della strada che conduce alla stazione sciistica, è stato utilizzato, una sistemazione spartana, recandovisi la sera prima da coloro che volevano intraprendere percorsi che impegnano un’intera giornata per cui è necessario che si parta all’alba. È da dire che gli oneri a carico di colui che gestisce il rifugio erano, appunto, onerosi con molte spese, compensati, in certo qual modo, dagli introiti dell’attività ristorativa aperta anche a coloro che non sono frequentatori della rete sentieristica, bensì che vengono fin qui per una scampagnata, il rifugio quale meta di una gita domenicale. Se il rifugio ha perso ormai il ruolo che aveva all’origine conserva ancora delle vestigia del suo antico prestigio legato all’essere approdo sicuro per i camminatori, imponendosi per la sua centralità nel contesto insediativo; la sua muratura in pietra a vista richiama le architetture tipiche di montagna, è, in miniatura, il nucleo storico dell’urbanistica di Campitello. È ben riconoscibile, è il fulcro percettivo delle vedute di questo centro di sport invernali da qualsiasi angolatura lo si guardi. È, in qualche modo, il suo cuore. Campitello non si può dire che sia nata proprio dal nulla, c’era già il rifugio quando si decise di farne un polo turistico. Il rifugio che si chiama ancora comunemente EPT, le iniziali di Ente Provinciale per il Turismo, è di proprietà pubblica, peraltro l’unico locale di proprietà di enti in quota, salvo l’infermeria e la sua conduzione viene affidata ad un soggetto privato. Se così stanno le cose allora è plausibile, essendo venuta a cadere, per quanto detto, la sua ragione sociale originaria, il poter essere destinato ad altre funzioni. È possibile immaginare, vista pure la sua centralità all’interno dell’insediamento, la sua utilizzazione quale centro visita oppure museo della montagna. Una differente utilizzazione ipotizzabile è quella a foresteria (nel Programma di Fabbricazione è indicata una particella dove dovrebbe sorgere una cosa del genere rimasta vuota) per guardia-parco e ogni genere di operatori preposti alla cura degli ambienti naturali. Se rifugio deve rimanere occorrerà privilegiarne la fruizione da parte di persone non abbienti o di ragazzi, gruppi, gruppetti, perché piccolo quasi fosse una colonia alpina. Va lasciata in tal senso al volume edilizio una porzione nelle disponibilità del Soccorso Alpino e degli specifici corpi delle Armi confermandosi, in questa maniera, l’essenza di un rifugio che è un indispensabile presidio per garantire la sicurezza in montagna, una primaria esigenza. Esso appare indispensabile per supportare la pratica dell’escursionismo e il primo è in coincidenza, guarda caso, siamo alla fine del XIX secolo, con lo sbocciare di tale passione in prossimità della vetta del monte Miletto, un piccolo bivacco in cui rifugiarsi all’occorrenza. Tale capanno fu eretto dalla Società Alpinistica Meridionale, una associazione nata da una scissione, poi rientrata, del Club Alpino Italiano, sezione di Napoli, promossa da un gruppo di giovani ardimentosi in contrasto con l’atteggiamento “posato” del consiglio direttivo della stessa in cui erano presenti Benedetto Croce e il nostro, era di S. Giuliano del Sannio, Pedicino, degli amanti dei monti da tavolino e non in ambiente. Il CAI partenopeo è del 1871, la seconda realtà sezionale in ordine di tempo d’Italia, precedendo di 14 anni quella di Campobasso. In quel lasso temporale sono stati i campani a fare le veci dei molisani in quanto a promotori delle gite sui rilievi matesini; del resto questo massiccio è in condivisione fra Campania e Molise. Questa capanna era in possesso della SAM (il rifugio EPT lo era della SME, Società Meridionale di Elettricità, sigle che si assomigliano) che l’aveva tirata su; essa non era proprietaria del suolo il che ha fatto sì che una volta andato giù il suo sedime è tornato nella piena disponibilità del Comune di Roccamandolfi all’interno dei cui confini amministrativi ricade. Tale casupola poteva essere utile per proteggersi durante i temporali estivi. Durante l’inverno non ci si spingeva tanto in alto e, a tale proposito, si ricorda che la prima vetta del Matese scalata in invernale, a gennaio del 1892, fu proprio la più elevata, i m. 2050 del Miletto, ascensione documentata in un resoconto a stampa di Beniamino Caso, l’organizzatore dell’impresa, di Piedimonte d’Alife dove era attivo il club dei Pionieri del Matese non il Club Alpino Italiano. Dovette essere un’autentica prima assoluta perché neanche i pastori nei mesi freddi si spingevano fino a queste quote; forse i cacciatori, gli unici peraltro che si inoltravano nei canaloni o si arrampicavano sulle pareti rocciose all’inseguimento di prede. L’abitacolo del rifugio SAM era parzialmente interrato, l’ingresso era sul muro a valle, il solo che fuoriusciva da terra; è da evidenziare che il terreno, la pianta è di circa mq.10, su cui poggia non è una rientranza del fianco del monte, ma è frutto di scavo. Non vi erano ulteriori aperture, nessuna finestra. La muratura costituita da sassi tenuti insieme da scarso legante è stata fiaccata dalle condizioni estreme della fascia cacuminale fino a scomparire. L’immagine di un edificio a due piani, la tipologia è quella classica della casa su pendio, va intesa quale disegno ideale.

DA STAZIONE SKI-TOTAL A VILLAGGIO VACANZE

Campitello non è stato pensato come un luogo urbano, nel senso cui siamo abituati di aggregato edilizio fatto di case, di strade e di piazze, e neanche possiamo definirlo, all’opposto, un non-luogo, cioè un posto privo di qualsiasi identità. Esso è stato concepito quale insediamento specializzato, tutto finalizzato alla pratica dello sci, niente che assomigli agli agglomerati abitativi ordinari. La tipologia prescelta per la località montana è stata quella della stazione ski-total concepita dall’architetto francese Laurent Chappis e replicata tante volte sulle Alpi; è una formula che si differenzia molto dal modello adottato, ad esempio, a Roccaraso dove lo sci non è il protagonista unico del centro invernale in quanto vi si trovano diverse altre attività di intrattenimento. Il vasto piazzale che fronteggia, una posizione strategica, la pendice sciabile, destinato a parcheggio delle auto e dei bus, scesi dai quali la si raggiunge sci ai piedi, ora è stato trasformato in piazza per tentare di conferire al polo di turismo che si spera non più solo invernale l’aspetto di un villaggio. È un tentativo, lo si è detto, che appare davvero improbo. Non basta cambiare da piazzale, elemento centrale nella visione «sci totale», totalizzante, a piazza per ottenere l’effetto-villaggio, la piazza del villaggio. Nei borghi tradizionali, ma in qualsiasi realtà abitativa, le piazze sono, seppure tra le principali, una delle componenti degli spazi vuoti che innervano la conglomerazione edilizia, gli spazi pieni, e qui non è presente una trama dei tracciati viari ben definita. Gli slarghi, quale quelli antistanti gli ingressi degli alberghi Lo Sciatore e Kristall, si intersecano, senza una precisa ripartizione delle superfici dedicate, con le corsie, non vere e proprie strade automobilistiche. Le aree aperte sono slabbrate, ambiti incerti, a tratti residuali, e l’unico segno deciso è rappresentato dalla piazza in quanto incavata. Altrettanto distinguibile è il percorso pedonale, lunghissimo, che dal Rifugio, cioè dalla Campitello vera e propria porta al Cristiania che è a Selvapiana, adesso non perché incassato nel suolo, bensì perché è rialzato come si conviene ad un marciapiede. Alla quota di campagna, anche per l’invadenza delle macchine, tutto si confonde. Per lasciar spazio al traffico, si starebbe per dire, l’edificio ecclesiastico, dedicato a S. Maria della Neve, non si è dotato di un sagrato. È una piccola architettura religiosa, vocata al raccoglimento di preghiera individuale più che allo svolgimento di funzioni liturgiche con una partecipazione comunitaria dei fedeli, la quale ha l’ambizione di qualificare l’intorno e, purtroppo, lo riesce a fare esclusivamente in un raggio spaziale ristretto; appena oltre, i luoghi, contrassegnati da una distesa d’asfalto continua, ricadono nell’anonimato. Il riferimento alla religione più forte rimane la croce che svetta su cima Croce, né vi sono edicole votive o statue a soggetto devozionale a richiamare i valori spirituali. La piazza, non ancora completata la gradonata dell’emiciclo con fontana al centro, ha subito una sorta di cambiamento in corso d’opera avendo dovuto cedere una porzione del terreno assegnatole alla piramide vetrata che è la copertura della pista di pattinaggio. È come se dal sottosuolo, perché la base è diversi metri al di sotto, fosse spuntato un misterioso oggetto prismatico, un abitante delle viscere della terra, per vedere la luce del sole. Esso è un estraneo che non dialoga con il contesto come, invece, sarebbe obbligato se avesse l’ingresso dalla piazza, un po’ ciò che succede alla cuspide piramidale disegnata dal giapponese Pei nel giardino del Louvre a Parigi che dà accesso ai musei. La finiamo qui sugli aspetti formali e passiamo alla sua destinazione funzionale. È un’attrezzatura sportiva e a tale proposito ci sarebbe da obiettare, nell’ottica dello ski-total, che lo sciatore al termine della giornata trascorsa sulle piste non ha voglia di intraprendere un secondo sport, con i pattini ai piedi al posto degli sci, quanto riposarsi, distendersi. Se, invece, la si vede nella prospettiva del villaggio-vacanze, essa costituisce un’opportunità, una delle possibili attrattive da sfruttare per trascorrere il tempo che in vacanza è sempre libero, una delle cose da fare durante il soggiorno in quota, almeno per i non-sciatori. La piramide, in definitiva, rappresenta in maniera “plastica” l’evoluzione della nostra località, alla stessa maniera della trasformazione che abbiamo visto del piazzale in piazza. Quanto si va mettendo in atto va nella direzione della riconversione del centro turistico da monofunzionale, interamente concentrato sullo sci, a plurifunzionale, con un’offerta ricreativa variegata, e, contemporanea- mente, da monostagionale a pluristagionale. Se è possibile mutare la funzione è sicuramente impossibile mutare la “pelle”, quindi l’assetto fisico, a meno di demolire l’esistente, opzione da non scartare a priori, per ridurre le volumetrie che, di certo, sono eccessive, con grave danno al paesaggio e, nello stesso tempo, la consistenza della massa edificata è assai superiore a quella di un borgo tradizionale, il villaggio. Non è una soluzione, né lo sarebbe stata, prevedere invece che i grossi complessi residenziali, a parità di volume, una sommatoria di villette e di palazzine per il problema che ne deriverebbe di un insopportabile consumo di suolo, meglio concentrare le residenze per turisti in unità architettoniche compatte. In verità, si sarebbe potuto coniugare la voglia di attribuire all’insediamento turistico la fisionomia di un villaggio con la richiesta di un quantitativo elevato di superfici abitative da parte del gruppo imprenditoriale del conte Stella che ne ha promosso la formazione, ai fini della redditività dell’investimento tra i cui costi vi sono gli impianti di risalita, se solo si fosse imitato ciò che fece l’architetto Ruspoli nel progetto del S. Nicola 1 dove il quantitativo di metri cubi da realizzare, ancorché importante non sembra tale poiché articolato in più corpi congiunti fra loro a comporre una sagoma scalettata che segue l’andamento del pendio. Le altezze sono contenute e ciò, insieme al profilo gradonato rimanda alle immagini delle viuzze dei nostri centri storici che si sviluppano lungo il pendio. Si coglie l’insegnamento del quartiere Tiburtino di Ridolfi a Roma, la massima espressione del Neorealismo in architettura il quale si ispira ai modi di formazione degli aggregati residenziali popolari di un tempo. Ha un ulteriore merito l’opera dell’architetto Ruspoli che é la scelta del sito per il S. Nicola 1, la cui denominazione rivela la sua ubicazione nel vallone S. Nicola, posto distinto seppure adiacente a Campitello, il toponimo della conca, in quanto poco visibile da quest’ultima. Il S. Nicola 1 è prossimo ad una sciovia per cui uscendo dai suoi alloggi è possibile con gli scarponi da sci già calzati montando su questa entrare nel carosello delle piste, passare a piacimento da una pista alla successiva senza mai dover effettuare tragitti a piedi. In conclusione, il S. Nicola 1 è capace di fornire qualche indicazione su come conciliare le peculiarità di una stazione sciistica con quelle di un villaggio-vacanze.

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Campitello, i cambiamenti nella gestione

Campitello nasce d’impianto, già formato il cui precedente illustre è Minerva che viene fuori completa in tutto dalla testa di Giove. L’impulso è opera di un imprenditore privato, un gruppo imprenditoriale milanese, ovviamente con l’indispensabile avallo da parte del Comune il quale adotta, nel 1967, un piano urbanistico disegnato su misura delle esigenze dell’operatore economico e, peraltro, cede i terreni in cui ricade l’insediamento. Un soggetto unico cui fa il paio una realizzazione unitaria alla quale, a sua volta, corrisponde una gestione svolta unitariamente dei servizi affidata allo stesso promotore dell’iniziativa urbanistica.

Per le attività di servizio non sarebbe potuto essere diversamente in quanto concepite in maniera organica all’indirizzo che si voleva dare alla località turistica. Siamo di fronte al modello delle stazioni sciistiche ski total. Totalmente sci, dunque, con la conseguenza che tutto, dall’architettura degli edifici la più compatta possibile, con residenze, esercizi commerciali e ristorativi fortemente interconnessi fra loro nello stesso volume edilizio, una megastruttura, all’organizzazione degli eventi ricreativi solo après-ski, non nel resto della giornata, è in funzione delle esigenze dello sciatore. Paradossalmente in una località deputata al tempo libero non viene ammesso il tempo libero.

Con l’accorpamento degli alloggi, gli spazi “serviti”, e i negozi, gli spazi “serventi”, direbbe Louis Kahn, nel medesimo blocco architettonico come nelle Unitè d’Habitation di Le Corbusier, si miniminizzano i tempi morti i quali sono quelli non destinati allo sciare. La Società, come chiamano qui la S.p.a. che ha in carico il funzionamento di Campitello, si, appunto, incarica di ogni cosa: l’alloggiamento alberghiero, il funzionamento della scuola-sci, l’azionamento degli impianti di risalita dopo aver provveduto alla loro costruzione, il noleggio delle attrezzature per la pratica degli sport alpini, la foresteria e l’ostello.

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La giornata tipo dell’ospite della stazione è le ore di luce interamente dedicate alle discese sulla neve compreso l’orario di pranzo sostituito da uno spuntino e la sera, il dopo-sci, da trascorrere nei locali di intrattenimento comuni cui segue il riposo in appartamenti di taglia minima, standardizzati perché con una scarsa variabilità delle misure, con la zona-notte che prevale sulla zona-giorno per riprendere il giorno dopo il medesimo programma giornaliero. Tale impostazione ideale del centro montano non aveva, però, fatto i conti con l’intraprendenza di figure del posto che stavano nel posto, stabilmente, quando venne ideata la “nuova” Campitello per assicurare l’apertura del Rifugio dell’Ente Provinciale del Turismo e per controllare le opere di monte dell’impianto idroelettrico che sta a valle vicino all’abitato di S. Massimo. La tradizione ricettiva della famiglia Muccilli maturata nella conduzione del Rifugio le ha consentito di avviare più alberghi con annessi ristoranti mentre una

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serie di altre strutture di tipo turistico sono in mano a persone residenti nella vallata (bar, nolo sci, sala giochi, cinema, discoteca, rivendite di abbigliamento invernale, emporio e così via). Man mano la Società retrocede dal suo ruolo guida diventando prima comprimario per poi ritirarsi dalla scena definitivamente, in parte sostituita da un Consorzio a partecipazione pubblica la cui finalità statutaria primaria è l’esercizio del trasporto a fune. I protagonisti oramai sono tanti, il meccanismo gestionale della stazione si è frantumato, hanno voce gli albergatori, i ristoratori, i maestri di sci financo i condomini, le guide ambientali e gli animatori delle vacanze. È cambiata la natura stessa del centro, l’impostazione iniziale è mutata: era pensato come un insediamento in quota completamente destinato al soggiorno di appassionati dello sci dal quale sono esclusi, almeno le loro auto, i frequentatori di un giorno, ora si vanno ribaltando i rapporti.

Ora sono i “pendolari dello sci” la maggioranza sulle piste; pendolarismo che si credeva di contrastare con offerte di opportunità di divertimento in serata che potessero spingere alla permanenza notturna in situ in attesa della nuova giornata sulla neve, scoraggiando l’andirivieni tra la propria residenza in città e la stazione di partenza delle seggiovie. L’attrezzatura per il free time più significativa è la “piramide” appena ultimata la cui destinazione d’uso di progetto è il pattinaggio su ghiaccio, non una vera e propria specializzazione funzionale perché appare come uno spazio coperto multifunzionale. Si tratta la cosiddetta piramide di una “creazione” comunale alla quale fanno compagnia iniziative private tra cui spa e

piscine in locali interrati di hotel. Anche la pista per pattinare è sottoterra, spunta fuori solo la copertura a forma piramidale perché a Campitello non è consentito realizzare nuovi volumi. La motivazione che accomuna questi interventi è l’incremento dell’attrattività del luogo concorrendo, da un primo lato, ad arrestare la pendolarità, da un secondo lato, per aumentare la competitività con le stazioni sciistiche prossime, in primis Roccaraso, da un terzo lato per la riconversione dell’unità insediativa da aggregato per periodi di ferie in inverno, quindi monostagionale, a agglomerato residenziale pluristagionale potendo fornire la presenza di una offerta diversificata di opportunità per la ricreazione oltre che all’aperto al chiuso

alla villeggiatura in altitudine in ogni stagione. C’è infine la questione dei cambiamenti climatici in relazione ai quali è inimmaginabile, nel breve periodo e soprattutto nel lungo, un futuro del complesso turistico basato sulle precipitazioni quale esclusiva prospettiva di vita.

I vari protagonisti sulla scena della località turistica

Campitello è fatta di tante storie distinte con autori altrettanto distinti. Anche la Parrocchia di S. Massimo ha avuto un suo ruolo nel disegno urbanistico, però non da vero e proprio protagonista perché il segno che ha impresso nell’immaginedell’insediamento è decisamente piccolo. Si può parlare di timidezza della chiesa intesa non nel senso di organizzazione ecclesiastica bensì di costruzione; l’edificio di culto è posto in pendio, la parte emergente è appena al di sopra del livello del piazzale da cui, pertanto, è poco riconoscibile. È una struttura di piccole dimensioni anche in altezza e manca di un campanile o di una semplice guglia che permetta di scorgerlo da lontano. Invece di ubicarlo su un suolo in pendenza, parzialmente

sottomesso al piano della predetta piazza si sarebbe dovuto rialzare il terreno su cui poggia magari collocandolo su un podio per renderlo visibile a distanza così come succede per tanti fabbricati religiosi molisani, dalla chiesa di S. Leonardo a Campobasso a quella di S. Silvestro a Civitanova alla parrocchiale di Fornelli e così via nelle quali tutte si accede con gradinate le prime due citate a duplice rampa nella terza con un’unica scalinata; le scale, comunque, non soddisfano le esigenze dei portatori di handicap. La chiesa (o chiesetta?) occupa una parcella di terreno adiacente all’hotel Lo Sciatore che è di notevole volumetria per cui la sovrasta percettivamente e, poi, manca di un sagrato, non si vuol dire di una vera e propria piazza che la fronteggi.

Annotazione a latere, la chiesa non è stata dedicata alla Madonna della Neve, come si era pensato all’inizio, in effetti una denominazione un po’ troppo accattivante che sa di richiamo pubblicitario rimandando alla nevosità dell’area, il pregio della località maggiormente apprezzato dai turisti. Il turismo, lo si dice senza intento dissacratorio, deve aver influito nella dedicazione attuale del luogo sacro alla Madonna dell’Assunta la quale la si festeggia il 15 di agosto, proprio nel clou delle vacanze agostane quando a Campitello si fa il pienone di visitatori. In conclusione, se altrove la chiesa, sede o meno della parrocchia, ha la funzione di qualificazione dello spazio urbano, da noi essa sembra rinunziare, posta com’è in un angolo, non beninteso messa all’angolo, al suo compito tradizionale di fulcro dell’insieme residenziale, di polo dell’abitato. Un attore importante, se non il primattore,

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primo attore, essendo stato il fautore della nascita di Campitello è stato l’Ente Provinciale per il Turismo guidato dall’avvocato Franco Ciampitti che promosse la formazione del Villaggio Turistico ovvero Villaggio EPT ovvero “villaggio svedese” per la distribuzione delle case all’interno del bosco, il bosco è quello di Rote-Trabucco, siamo in specifico nella sezione boschiva Rote. Non si tratta di una lottizzazione perché non vi sono lotti a sé stanti individuati tramite recinzioni che li delimitano, né di una disseminazione spontanea di casette nella superficie boscata come siamo abituati a vedere nelle aree periurbane, il centro di irradiazione sarebbe costituito da Campitello, una sorta di sprawl urbano, né una specie di Zona C della Zonizzazione del Piano Regolatore.

È piuttosto un maxiresort o maxicampeggio con alloggiamenti amovibili, non rimovibili, senza servizi comunque, seppure le unità alloggiative siano di proprietà privata, non gestite in comune, quasi una contraddizione in termini. Sono assenti i giardini annessi alle dimore che per via della superficie boscosa non si sarebbero potuti, ad ogni modo, in nessun modo, fare o altra tipologia di pertinenze esterne alle villette. Negli usuali resort vi sono bungalow in genere in legno, non in muratura, vedi Bosco Faete a Campobasso, i quali sono evidentemente di un solo piano e non due come i villini del Villaggio EPT (se non si conta il piano cantinato); pure in questo ultimo l’edificazione che punteggia la massa boscosa non emerge alla vista non superando l’altezza degli alberi.

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Il Villaggio EPT fu concepito antecedentemente alla creazione della stazione di sport alpini rivelandosi, per la distanza dagli impianti di risalita, il soggiornarvi non funzionale alla pratica dello sci, buono per le ferie estive non per quelle invernali. Per tranquillizzare: i fabbricati unifamiliari sono ammessi solo dentro il perimetro di tale Villaggio e non altrove. Un soggetto significativo, è il terzo di quelli che abbiamo finora individuato, è costituito dagli albergatori. È poco sviluppata l’industria alberghiera a Campitello per l’enorme quantità di appartamenti privati proposti sul mercato dell’affitto, stagionale o per corti periodi cosa che ha scoraggiato l’incremento dell’offerta alberghiera; di certo, per una famiglia è meno oneroso alloggiare in

un mono-bi-tricamere che in stanze di un hotel. Le case “a noleggio a breve termine” di proprietà sono un concorrente forte per il comparto dell’hotelleria. A Campitello non vi sono casi in cui i quartini presenti nei residence siano stati convertiti in bed and breakfast o in pensioni familiari per fornire ospitalità ai forestieri. In conclusione, il fenomeno dell’investimento nel mattone è stato rilevantissimo negli anni ‘70/’80 e la pulsione per la seconda casa, tanto in montagna quanto al mare, il mito piccolo borghese ha pervaso molti per cui nella nostra località vi è una eccedenza di posti letto che, peraltro, ha portato al deprezzamento del costruito determinato anche da un’oggettiva diminuzione della domanda turistica.

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In mezzo secolo la località matesina ha subito due rivolgimenti epocali, il secondo dei quali in verità è solo in fieri. Negli anni ’70 del secolo scorso quando inizia la nostra Storia si abbatte su Campitello una colata di cemento, si hanno grandi investimenti immobiliari per farne una stazione di turismo montano. In meno di un decennio questo luogo celebre per le sue valenze paesaggistiche cambia volto, la sua immagine viene stravolta e un decennio è un nulla misurato nella scala temporale della vita del pianeta così come lo conosciamo oggi, un niente rispetto al tempo che intercorre fra il momento in cui ha preso forma, la forma attuale, la crosta terrestre e oggigiorno. La stagione del turismo di massa ha segnato in maniera decisa, ma si spera non decisiva, l’aspetto di tanti siti della catena appenninica.

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Il “consumo” turistico ha interessato, peraltro, i territori più belli, prendi proprio il pianoro di Campitello, alterandoli. Si è consapevoli un po' tutti che occorra un ripensamento, pure alla luce dei cambiamenti climatici in atto con diminuzione della nevosità e andato in crisi l’interesse per le seconde case, delle scelte a suo tempo compiute e, però, si è altrettanto consapevoli che non vi è nessun altra attività economica, nessun’altra “industria” capace di sostituirsi all’industria dello sci in termini di benefici che genera direttamente, posti di lavoro, reddito prodotto, o indirettamente, l’indotto che ne consegue, in questi comprensori di montagna. Tali ambiti rientrano, quasi per norma, in quelle che si denominano aree interne per le quali lo Stato procede a mettere in piedi politiche di sostegno con adeguati fondi, anche se qui i fondi sono stati privati, solamente in una seconda fase sono intervenute tanto le Partecipazioni Statali, che crearono un’apposita società pubblica per la gestione degli impianti di risalita, quanto l’Intervento Straordinario per il Mezzogiorno attraverso una sua agenzia, l’Insud cui si deve la costruzione del Kristiania, una specie di resort sul modello di Club Med.

Non passa nemmeno un paio di decenni dal completamento dell’assetto urbanistico e infrastrutturale, frutti di un’idea di crescita legata alla predisposizione di opere fisiche di significativo impatto ambientale, che nel dibattito culturale si incominciano ad avanzare idee differenti di sviluppo maggiormente rispettoso dell’ambiente. I giovani sindaci odierni dei Comuni posti sul versante molisano del Matese non ricorderanno, di certo, il convegno del 1985 svoltosi nell’hotel Le Cupolette nel quale si lanciò, era la prima volta, la proposta di istituzione del Parco del Matese. La sua attuazione, attualmente esiste solo sulla carta, sarebbe la seconda delle rivoluzioni riguardanti l’assetto di Campitello di cui all’incipit, l’una legata allo sfruttamento, l’altra alla salvaguardia delle risorse naturali, dunque due visioni del tutto distanti anche se temporalmente assai vicine, una cosa davvero mai vista.

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Un ritardo nella effettiva costituzione del Parco che deriva da una difficoltà oggettiva manifestatasi già durante l’operazione di Perimetrazione dei suoi confini che è quella di mettere d’accordo moltissime amministrazioni locali. Ciò perché il complesso montuoso è ripartito in strisce che vanno dalla valle sottostante al crinale, tante, sono veramente tante, quante sono i Comuni ricadenti nel comprensorio matesino avendo bisogno ogni comunità di una zona in altura e una nel piano in modo da consentire la pratica dell’alpeggio con le bestie che stazionano giù in inverno e salgono su in estate. Cantalupo e Roccamandolfi sono l’eccezione, l’una è priva di territorio in altura l’altra di quello pianeggiante ma poiché sono paesi contigui si compensano fra loro, stanno il primo sotto, il secondo sopra. Da precisare che le fasce di tale suddivisione sono di differente grandezza in

relazione alla grandezza dell’entità municipale; da considerare, invece, che i terreni in altura, boschi e pascoli, sono appezzamenti di proprietà pubblica, da usufruire collettivamente, e ciò va a favore della buona riuscita del Parco, gli interessi privati sono in secondo piano. Per questo stesso fine non crea alcun problema la circostanza che i Municipi appartengano a due Province diverse, Campobasso e Isernia. l lancio dell’idea di parco nell’incontro vinchiaturese che venne rilanciato, è proprio il caso di dirlo, dopo un poco da una raccolta di firme per il varo di una legge regionale in materia. Il passo è corto, siamo nel 1991 quando viene emanata la normativa statale sulle aree protette la quale dà la stura alla creazione di nuovi parchi e riserve nazionali e regionali. Mentre la Campania ne approfitta per fare il suo parco regionale del Matese il Molise non è capace di fare altrettanto, adoperando la legge 394 per istituire alcune riserve naturali, il che, comunque, non è da poco.

I Non finisce qui perché fa la sua comparsa sulla scena, il soggetto della “sceneggiatura” è sempre la protezione della natura, subito dopo, siamo all’approssimarsi della fine del millennio, l’Europa con la rete ecologica, appunto, europea del programma Natura 2000. I limiti agli interventi antropici contenuti nel regolamento comunitario riguardante le Zone di Protezione Speciale, una di queste ricade nel nostro massiccio, costituiscono un po', gli effetti sulle azioni umane da svolgersi in tali ambiti, la prova generale per quanto riguarda il Matese delle ricadute sulla popolazione in termini di divieti della disciplina protezionista che dovrà stabilire il Parco. Non è tempo perso quello che sta trascorrendo dall’introduzione del programma comunitario a tutt’oggi rivelandosi utile per far acquisire una qualche familiarità tra le persone e le regole di tutela.

Il circo glaciale fa del Miletto una montagna spettacolare

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Potrebbe sembrare che non si tratta di violare alcunché portare la stazione di smonto della seggiovia sul vertice del monte Miletto essendo stato sempre l’areale culminante del Matese percorso da pastori e cacciatori, non è come la sommità delle Alpi che non è mai stata oggetto di frequentazione antropica in quanto aree inospitali, perennemente innevate. Anche le quote inferiori per un bel pezzo nella catena alpina non solo quando vi sono affioramenti rocciosi sono repulsive per l’uomo, il suolo è pressoché sterile e la scarsissima vegetazione è appetibile unicamente per gli stambecchi, mentre nell’Appennino i versanti fin nella fascia attitudinale superiore sono coperti dal cotico erboso.

In verità gli artefatti antropici cui si aggiungerebbe il predetto terminale dell’impianto di risalita sulla cima di m. Miletto rischiano di compromettere l’area di regalità e nel contempo di sacralità, vedi la croce a segnarne il punto massimo, che si porta dietro questo rilievo dominante l’intero complesso montuoso matesino; si sta parlando della serie di installazioni qui sopra di apparecchi di radiotrasmissione. Essi riducono il valore simbolico di questa montagna e da questo punto di vista stanno meglio il Mutria e La Gallinola; ci vorrebbe un’apposita norma per proteggere le vette senza che sia ammessa alcuna possibilità di deroga. La supremazia del Miletto sul resto dei monti del Matese è dovuta alla

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sua maggiore altezza, ma conta qualcosa a sottolinearne la preminenza anche la sua centralità nella formazione montuosa; è singolare che la superiore altitudine si associ alla baricentricità, è una coincidenza che in qualche modo lascia interdetti. Ad aggiungere magnificenza al Miletto è il suo “splendido isolamento” nei confronti delle altre emergenze del massiccio, la più vicine sono, da un lato, La Gallinola da cui la separazione è costituita dal Campo delle Ortiche, e, dall’altro lato, il Patalecchia da cui lo divide l’area valliva della sorgente del Callora. Per quanto riguarda la notorietà oltre ai fattori elencati vi è il fatto che il colmo di tale monte è il più visitato in assoluto per via della seggiovia che ti lascia cinquanta metri più in basso la quale parte della stazione sciistica, il luogo più accorsato del comprensorio montano. Finora non abbiamo adoperato l’aggettivo spettacolare nel descrivere il Miletto, ma vale proprio la pena di usarlo se consideriamo che è compreso in esso il circo glaciale ubicato appena sotto il crinale. Sono tracce fresche quelle del ghiacciaio perché risalgono all’ultima glaciazione, quindi a qualche decina di migliaia di anni fa quando la neve copiosa accumulata in situ ghiacciò; il luogo doveva avere, di certo, un’acclività moderata altrimenti non sarebbe stato possibile tale deposito il cui peso determinò lo sprofondamento del suolo fino a creare la concavità attuale chiamata circo.

Il crollo della superficie portò all’emersione alla vista del substrato calcareo, le pareti di roccia che si impongono nella visione dell’ultimo tratto del versante nord del Miletto il quale, per quanto detto, doveva avere in origine pendenze meno acclivi, non apparire un bastione roccioso come si mostra ora. Una vaga reminiscenza della calotta glaciale è il nevaio, solo accennato, che permane dopo la stagione invernale in un pezzo della zona infossata conformata in remote ere geologiche dal ghiaccio, appena una chiazza nevosa al riparo dall’irraggiamento solare grazie ai fronti che delimitano tale semicerchio ovvero circo che lo ombreggiano; è quanto basta per richiamare alla memoria il glacialismo. Un ghiacciaio “sospeso” che stando tanto in alto, “appeso” alla vetta del monte è ben visibile da lontano; figurativamente fa un tutt’uno con la cima. Al contrario della “direttissima” partendo dall’usuale “campo-base” dell’escursionismo matesino che è Campitello che si inerpica verso la cima lungo una pista da sci, la quale poiché, non per niente, diretta, dritta, su per giù, è assai impegnativa il Club Alpino Italiano propone per l’ascensione un percorso a zig-zag il quale prende alla larga il fronte montano, avente il merito di essere abbastanza più dolce della direttrice rettilinea che se più breve è, però, più ripida. Inoltre, la percorrenza indicata dal CAI ripercorre un sentiero storico battuto dai pecorai per raggiungere lo stazzo di Campitelletto toccando prima la Grotta delle Ciaole,

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un ripiano naturale per i pastori e le loro greggi; “un sentiero”, dunque, che è testimonianza degli spostamenti umani in quota e pertanto che rappresenta un “segno” culturale vero e proprio. Ben diverso è, in definitiva, camminare su un tracciato moderno che su uno tradizionale il quale ultimo favorisce la comprensione dei modi di utilizzo della montagna nel passato, la conoscenza di una civiltà passa anche attraverso lo studio dei movimenti dei componenti di una comunità. Il Miletto seppure non sia un picco bensì una groppa non è stato, la sua sommità, toccato dal passaggio del Sentiero Italia. Una località per essere interessata dal passaggio di tale itinerario escursionistico è necessario che sia, neanche a dirlo, di passaggio ed il Miletto non lo è sia se si tratti di scavallamento del massiccio sia se il camminamento si sviluppa secondo l’andamento della dorsale dello stesso. I sentieri che lo raggiungono non hanno sbocco, sono un tipo particolare di binari morti, il Miletto è un capolinea, una stazione di testata, non in linea, si può solo fare l’andata e ritorno, sono fini a sé stessi, meglio, finiscono nel nulla, la vetta non costituisce, è evidente, la tappa di un trekking, sulla vetta ci devi andare apposta.

LA PIACEVOLEZZA STA NEL SUO SCENARIO NATURALE

Si dice, con una certa disinvoltura, che Campitello è brutto, un enorme ammasso di cemento, ma ciò non fa giustizia al luogo che va visto nel suo insieme; l’ambiente costruito non può essere disgiunto dall’ambiente naturale che qui è bellissimo, sicuramente. Fa da cornice all’insediamento turistico il crinale del monte Miletto con la sua duplice cima, quella vera e propria e l’anticima, cosiddetta cima croce, poste lungo il suo sviluppo, una cresta che si impone quale skyline nei quadri panoramici che ricomprendono la stazione sciistica. Il Miletto è bello non fosse altro che per la sua altezza, è la vetta più alta dell’Appennino centromeridionale, e ben si sa che l’altezza è mezza bellezza. Non è, comunque, la solita montagna monumentale, il monumento per sua natura è una cosa isolata, nella catena appenninica se ne contano diverse a cominciare dal Gran Sasso e dalla Maiella i cui vertici, rispettivamente, il Corno Grande e m. Amaro non sono contigui a centri per il turismo invernale.

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L’unico monte a contatto diretto, e però non direttissimo come il Miletto con Campitello, con un polo per gli sport invernali è il m. Greco che sta vicino all’Aremagna (Roccaraso). Se manca di monumentalità m. Miletto in quanto non solitario e in quanto “contaminato” dalla stazione sciistica esso suscita impressione e rispetto per il circo glaciale sottostante alla sommità e soprastante alla località di vacanze in montagna. Esso monumentalizza il nostro monte. La concavità lasciata dall’antico ghiacciaio è qualcosa di inaudito, o meglio trattandosi non di suono bensì di visione, di “segno” mai visto altrove nel Molise. L’orografia del versante montano caratterizzato dal circo glaciale è, dunque, una quinta scenografica di prim’ordine per il complesso turistico matesino. A questo proposito va detto che scenari che ieri ci impaurivano, le pareti rocciose ad anfiteatro del remoto ghiacciaio, oggi ci entusiasmano, tutto cambia anche il sentimento per la natura.

È un inciso ma non tanto, l’insidiosità delle formazioni di rocce, i pericoli ad esse connessi, l’aura di mistero in quanto areali poco battuti ha contribuito a stimolare la passione per l’alpinismo che è legata allo spirito di avventura e all’attrazione per i luoghi rischiosi come sono quelli alpestri; a decretare la nascita dell’alpinismo sul Matese è stata la prima ascensione invernale proprio sul culmine di monte Miletto da Beniamino Caso alla fine del XIX secolo. Campitello con il suo Rifugio, base per le ascese alle fasce altitudinali più elevate, diventò una stazione alpinistica la quale è evoluta, un fenomeno frequente, in stazione di sci. Finora abbiamo volto lo sguardo verso l’alto mentre ora guardiamo in basso o meglio a raso ed anche qui troviamo un’emergenza spettacolare, il pianoro. Non c’è alcun elemento morfologico di mediazione fra il fondo del “fondovalle” e la linea sommitale del blocco montuoso, come succede nelle Alpi con i depositi morenici scivolati giù dai ghiacciai,

li separa il ripido fronte che si innalza in maniera sub-verticale per circa 600 metri. Sono tutte figure nette, la piana, la cresta, il versante assai acclive, fatti geomorfologici decisi, separati in modo netto fra loro; seppure accostati fisicamente sono mentalmente distinti. Non siamo più abituati salendo a Campitello a meravigliarci al cospetto di questa conca, data la frequenza delle visite che ciascuno di noi compie volendo piuttosto che nolendo, mentre in passato quando si era in pochi a raggiungere, mancava la strada “rotabile”, il Rifugio EPT doveva costituire un’autentica sorpresa l’ampia distesa pianeggiante. Essa come tutto il resto delle piane matesine disposte in serie alle medesime isoipse, non è percepibile da giù, dalla vallata delle sorgenti del Biferno e neanche da lontano, non è financo immaginabile la sua presenza. Per i campobassani prima dell’era delle automobili che hanno permesso la scoperta a tanti di Campitello il Matese si riduceva alla sua sagoma, il suo profilo è un’immagine familiare, una

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specie di cartolina illustrata. Quello che sta a Campitello è il pianoro di maggiore estensione di una vasta area all’altitudine di n. 1400 che è la regione classica degli altopiani. È talmente vasto da assomigliare ad un lago, cambia solo il colore che è verde e, invece, lo specchio d’acqua è azzurro. In effetti c’era l’intenzione di farne un bacino idrico a servizio della centrale idroelettrica di S. Massimo. Apriamo a questo punto una parentesi: durante il ‘900 il paesaggio appenninico in vari tratti, vedi gli invasi della Montagna Spaccata e di Castelsanvincenzo oggigiorno nell’occhio del ciclone per le vicende del progetto Pizzone 2, è stato modificato mediante la realizzazione di laghi artificiali. In passato, non troppo lontano, l’azione antropica in quota più consistente è stata quella legata allo sfruttamento idroelettrico e Campitello

ha scampato per poco il pericolo di avere il suo lago, solo in seguito è arrivato lo sci e a questo non è riuscito a sfuggire. Ad ogni modo è ammesso uno solo di tali due interventi perché essi sono incompatibili fra loro, il bacino lacustre condiziona il microclima locale aumentando l’umidità, una situazione climatica che riduce la nevosità. Tra le due alternative è preferibile quella delle piste da sci non fosse altro che così si evita la scomparsa del pascolo (in verità il manto erboso del pianoro è soggetto a sfalcio non a pascolamento), un’attività tradizionale che rappresenta un po' un fattore identitario per la comunità sanmassimese, la quale trova la sua coesione proprio nell’alpeggio, una pratica di conduzione zootecnica che va svolta necessariamente in maniera comunitaria.

Peccato che nel pianoro non vi siano più i bovini a brucare nel prato così come sui tratturi non vi sono più gli ovini a pascolare; le vacche sono le regine dell’alpeggio come le pecore lo sono della transumanza. Era una forte attrazione per i turisti lo scampanellio delle mucche e anche queste ne traevano giovamento in quanto si è troppo in vista nel pianoro e i lupi non cercano di predare i vitelli.

20 - SCIARE SEMPRE PIU' IN ALTO

Per fortuna che sul versante campano di m. Miletto non si possa sciare perché essendo rivolto a sud la neve non si mantiene a lungo altrimenti già da tempo sarebbe stata portata la seggiovia fino al crinale per consentire lo svalicamento della montagna. Oggi che la nevosità a causa del cambiamento del clima in atto è diminuita a Campitello le potenzialità di sciabilità sono limitate alle alte quote, finora non raggiunte dagli impianti di risalita. Di qui, rispolverando vecchi progetti chiusi nel cassetto, con i fondi PNRR si propone di tendere ulteriormente il cavo della funivia per arrivare fino alla cima del Miletto. Un pensiero recondito legato a un certo scetticismo ancora presente in alcuni rispetto al global warming è quello che così si possa conseguire qualora la crisi climatica non si avverasse o almeno se non si determinassero mutamenti sostanziali delle temperature l’obiettivo di allungare le piste aggiungendosi ai tracciati esistenti un tratto a monte rendendole così più attraenti per i praticanti di questo sport.

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Se veramente si credesse nelle previsioni relative al riscaldamento globale del pianeta, la giustificazione della proposta progettuale da finanziarsi, allora si dovrebbe contestualmente allo spostamento della stazione di monte della sciovia delocalizzare la stazione di valle la quale non sarà più tale bensì di mezzacosta. Si avrebbe, cioè, uno slittamento verso l’alto delle attuali infrastrutture funiviarie rimanendo invariata la lunghezza delle piste. Il prolungamento dell’impiantistica e quello della stagione sciistica, basta che non cambia il clima, viaggiano insieme nel senso che la neve, alle altitudini superiori è presente per più tempo, in autunno e a primavera inoltrata quando si è ormai sciolta alle pendici del monte; prolungare perciò gli impianti offre l’opportunità di effettuare discese nella fascia altimetrica più elevata la quale [opportunità] per poter essere sfruttata necessita di stazioni di arrivo intermedie,

mentre quelle attuali che stanno in basso, a livello del pianoro propriamente di fine corsa, verrebbero utilizzate esclusivamente quando la pista nella sua interezza risulta innevata. Non è, poi, un’operazione così facile il trasloco delle stazioni tanto di valle, cui è annesso il capannone del deposito delle carene da applicare alle seggiole nei giorni di freddo intenso, quanto di monte e, però, in questo caso apparirebbe intollerabile (un oltraggio alla “sacralità” del luogo che però non è un posto vergine per via delle antenne lì installate) ricostruire sulla vetta il rifugio collegato a quest’ultima stazione in passato funzionante come punto di ristoro. Per quanto riguarda la stazione diciamo così di andata ma anche di ritorno perché gli sciatori concludono la sciata nel punto di partenza sarà impossibile venendosi a trovare sul versante poter allestire in occasione di gare una finish area con il pubblico che assiste alla competizione.

È evidente che allorché la stazione di termine discesa venga disposta non nel piano bensì più su per quella questione dello scarso innevamento alle curve di livello inferiori, non ci sarà spazio sufficiente per gli spettatori. È indubbio che fa tristezza questa ritrazione verso l’alto dell’impiantistica sciistica per salvare il salvabile, ha il sapore di una ritirata. A soffrire maggiormente dell’assenza di neve nel pianoro saranno gli amanti dello sci di fondo i quali non sono certo figli di un dio minore, i fratelli minori dei discesisti specie qui a Campitello il cui pianoro è il luogo ideale per i fondisti. Sembra quasi di stare percorrendo il viale del tramonto di un’era iniziata oltre cento anni fa, quindi abbastanza prima della realizzazione della stazione di sport invernali, resa memorabile dalla frequentazione di Umberto di Savoia. Un’epoca quella dello sci a Campitello che ha avuto molti protagonisti tra i quali piace citare i maestri di sci importati da Alagno Valsesia.

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Un declino quello che sta vivendo il nostro centro di turismo invernale che se non si concretizza ancora nella dismissione di impianti lo si coglie nell’abbandono di idee per il futuro assai ambiziose come l’allargamento del bacino sciabile nel territorio di Roccamandolfi oppure, più semplicemente l’illuminazione delle piste; per quanto riguarda quest’ultima essa avrebbe prodotto l’incremento della luce riflessa notturna, il bagliore proveniente da Campitello che già oggi è percepibile dalla vallata di Boiano, fonte di inquinamento luminoso. Il rilancio della località matesina non potrà che venire dalla sua riconversione a polo per attività sportive in qualche modo se non alternative complementari agli sport alpini classici, dallo sci con le pelli di foca, una specie di sci fuoripista, alle passeggiate in mountain bike, in particolare nella speciale versione della fat bike fino all’escursionismo che d’inverno si pratica anche con ramponi e alle ciaspolate,

ovvero alle camminate indossando ai piedi racchette da neve. L’ultima tra le specialità arrivata è l’arrampicata, neve o meglio ghiaccio permettendo, che può essere effettuata sulle “cascate”, pareti ghiacciate, conosciuta con il nome cramponage. È da preferirsi lo slittino al bob il quale richiede la costruzione di un’apposita struttura, opera che ha un certo impatto. È da escludere in quanto siamo in Zona di Protezione Speciale l’utilizzo per scopi ludici delle motoslitte, un mezzo di trasporto da impiegare esclusivamente per gli spostamenti di servizio o magari per condurre i turisti, visite guidate, alla conoscenza del Matese nella sua versione imbiancata. Quella che si ritiene sia una prospettiva auspicabile e praticabile per Campitello è quella del ritorno alle origini, all’epoca pionieristica, un riandare ai vecchi tempi, appunto, andati e quindi all’inizio della storia quando si saliva in montagna per godersi una villeggiatura in altitudine, benefica per il corpo e per lo spirito.

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21 - I FAGGI TAGLIATI A SELVA PIANA

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I faggi sono stati tagliati perché a rischio di collasso e va bene, ma non si capisce chi o cosa avrebbe danneggiato colpendolo tale crollo. Una soluzione al posto del taglio sarebbe potuta essere di delimitare un ambito intorno a tali alberi, magari apponendo una recinzione di cantiere o un semplice nastro bianco e rosso per evitare qualsiasi pericolo. Si riconosce, comunque, che l’area pianeggiante circostante la quale era interamente boscata da cui il toponimo Selvapiana ha perso da tempo i connotati che aveva all’origine, il tempo è il momento della costruzione dell’Hotel Kristiania la quale deve aver comportato il disboscamento del sito. Caratteri originari e originali in quanto non è frequente trovare formazioni boschive in piano (tanto in montagna quanto in collina quanto in fondovalle). L’eliminazione delle masse boscate che, secondo quanto riferisce Giuseppe Maria Galanti nel suo “Descrizione del Contado di Molise”, pubblicazione di fine ‘700, aveva interessato nel medesimo secolo ampiamente il Matese, provocò la sparizione anzitutto delle superfici boschive planiziali, il suolo piatto è una situazione morfologica favorevole di certo per il pascolamento degli animali e, ad ogni modo, se il terreno è livellato le piante sono più facili da recidere.

Che si tratti Selvapiana di areale inizialmente coperto, per intero,  da alberi è a dircelo, oltre al nome del luogo, la fisionomia delle piante, tra le quali quelle abbattute, poste al limite dell’appezzamento boscoso nell’estensione attuale che, a sua volta, è al limite del terreno a morfologia tabulare (all’esterno non all’interno): essi, quelli troncati, erano dei faggi assai slanciati, aspetto che contraddice l’usuale postura degli esemplari di faggio che incontriamo immediatamente prima di inoltrarci in una faggeta. Questi ultimi hanno il tronco più tozzo, un’altezza inferiore e la chioma dalla forma sferica, molto diversi dai faggi che stanno in seno alla faggeta, alti e con ramificazione affusolata, una terminazione non arrotondata. È un indizio sicuro la conformazione, lo si ripete, dei faggi che sono stati mozzati, alla radice, insieme a quelli sopravvissuti in prima fila (in prima linea trattandosi di uno scontro tra mondo vegetale e umano) della distesa forestale, propaggine dell’ampio bosco di Rote-Trabucco, che essi precedentemente, antecedentemente alla realizzazione dell’albergo citato, erano posizionati dentro e non fuori al bosco come si verifica ora. Chissà che effetto produceva al visitatore di un tempo il passare attraverso questa selva, Selva Piana,

a dirla con Dante oscura, aspra e forte in quanto il termine selva si attribuisce ai boschi non “coltivati”, cioè non “governati” né all’alto fusto né al ceduo, ambedue con turni di taglio regolari, il primo a cadenza più lunga, il secondo più breve, per cui al di sotto della copertura arborea cresce uno strato arbustivo che rende il sottobosco intricato, difficile da transitarvi dentro. Superata la tenebrosa Selva piana l’immaginario viaggiatore si troverà al cospetto del vasto pianoro erboso delimitato dal monte Miletto di Campitello privo, come si conviene alle conche carsiche, di essenze arboree, un transito dall’ombra alla luce repentino, un bell’effetto. Non è che sia impossibile ripristinare simile choc visivo, basterebbe non consentire attività antropiche, tipo il campo da gioco esistente nel prato che ha sostituito la fustaia di faggi perché il faggio è una specie vegetale capace di ricolonizzare gli spazi perduti. La divisione tra zone boscate e zone libere da piante è segnata da un confine mobile, non è un dato di fatto fisso, immutabile; il contorno non è netto, in natura i margini di un bosco sono incerti, soggetti ad oscillazioni.

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Nell’addentrarsi nella macchia boscosa cambiano le condizioni di luminosità e colore e l’esposizione ai venti dando il fianco le piante che stanno a fianco, cioè al limitare del bosco, ai fenomeni atmosferici mentre nel cuore dell’estensione boschiva gli alberi rimangono protetti. L’aspetto delle piante è inevitabile che cambi nella transizione tra l’ambiente aperto e quello chiuso. La silhouette degli individui arborei stipati nella massa boscata, individuo e massa sono parole del linguaggio sociologico che le adopera nel descrivere la società contemporanea, tentano di venir fuori da un insieme indistinto, di piante così come per noi uomini di persone, non facendosi largo ovvero distanziandosi dai propri simili, bensì elevandosi, una spinta verso l’alto per beneficiare dei raggi del sole, un emergere alla luce per catturarla. Poiché tutti fanno alla stessa maniera,

la massificazione dei comportamenti vale per gli uomini e per i vegetali, abbiamo un “colonnato” di faggi che quali colonne hanno un profilo allungato. In definitiva, risulta evidente l’alterazione subita dal punto di vista ambientale dalla località, con lo spaesamento delle piante situate alla terminazione del bosco e nello stesso tempo sarebbe stato opportuno risparmiare dal taglio tali esemplari comunque affascinanti per la loro imponenza ed età, ovverosia si invoca il rispetto per le piante in generale, un sentimento che appartiene alla nostra cultura, una sorta di pietas pascoliana pure verso l’universo vegetale. In ultimo la toponomastica: Selvapiana è un microtoponimo in quanto si riferisce ad un’area ristretta la cui denominazione non compare nelle carte geografiche, a qualunque scala, essa per i più è identificabile come una porzione di Campitello che l’assorbe in sé.

22 - IL POLO DELLA LOCALITA' MONTANA

A Campitello il centro “cittadino” è sovraffollato, vi son ben tre episodi che contrassegnano il cuore del villaggio turistico, il Montur, la Piramide e il Rifugio, anche se ora, in verità, si candida a diventare il centro, sostituendosi in tale ruolo ad essi, una piazza in via di definizione formale. Il primo elemento, pure in senso temporale, con cui si identifica il punto centrale della stazione è il Rifugio di proprietà dell’Ente Provinciale per il Turismo ora un ufficio della Provincia, non più un ente. È da notare, innanzitutto, che esso si distingue dagli usuali rifugi, prendi quello di Prato Gentile, i quali sono posti sui valichi mentre esso è il terminale della strada, non in un momento intermedio come gli altri. Il nostro, che era a servizio delle opere di monte dell’importante centrale idroelettrica che sta giù a S. Massimo, costituisce un presidio umano, l’unico presente in montagna, fondamentale specie d’inverno quando la frequentazione antropica delle zone in altitudine era ridottissima; d’estate c’erano gli uomini in alpeggio. Il Rifugio è stato, in microscala, una sorta di campo-base, antecedentemente alla nascita della stazione sciistica, per gli escursionisti anche perché dotato di posti letto.

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Dimensionalmente è il volume più piccolo del centro di turismo montano se si eccettuano le villette del Villaggio pur esso EPT, ma ciò che lo distingue in maniera forte dagli altri fabbricati è il suo essere un’architettura tradizionale. I caratteri formali sono quelli di una costruzione tipica, i materiali, la pietra grezza, utilizzati lo rendono mimetizzabile nell’ambiente dove è reperibile con facilità la stessa “materia prima”, vedi la parete sovrastante la Grotta delle Ciaole, e quindi sottostante alla cosiddetta Cima Croce, una delle cime del monte Miletto, in cui sono affioranti ammassi rocciosi composti di calcare. L’edilizia montana, ad ogni modo, non è detto che per essere rispettosa del paesaggio debba essere necessariamente replica di case rurali, ci si può integrare nel contesto percettivo pur con forme innovative dimostrando sensibilità verso le componenti naturali, in questo secondo caso che è quello del manufatto contenente i servizi generali della località sostenuto da una struttura a traliccio la quale non ha nulla in comune con i sistemi portanti del passato, il bosco da cui si ricava il legno e l’attrezzatura di servizio di cui sopra è in legno lamellare.

Per il marciapiede che corre a fianco della Provinciale si è ritenuto al fine di renderlo compatibile paesaggisticamente di utilizzare lastre di calcare per la pavimentazione richiamando così, un po', i viottoli premoderni. Il Rifugio ancora rappresenta il fatto nodale della stazione sciistica nonostante che non sia più il riferimento esclusivo per i frequentatori della montagna essendo sorte ormai tante altre attività di ristoro e ricettive; lo è per la carica simbolica che si porta dentro legata alla sua lunga storia, non per il suo ruolo funzionale. Potrebbe tornare a essere anche funzionalmente il riferimento principale della località qualora venga destinato, mettiamo, a museo naturalistico, a locale per esposizioni temporanee d’arte, a sala per incontri culturali oppure, al momento dell’attivazione del Parco del Matese, a sede degli uffici dello stesso. Il Programma di Fabbricazione che è del 1967 ha considerato l’areale di Campitello alla stregua di un ambito vergine e passi per la Pinetina che sta appartata in un angolo, mentre lascia qualche dubbio il trattamento riservato, o meglio il mancato trattamento, al Rifugio che se non viene toccato rimane una presenza a sé stante, in fin dei conti marginale;

si sarebbe potuto prevedere nel PdF, mettiamo, una piazzetta di fronte al suo ingresso la quale ne avrebbe consacrato la centralità nell’insieme urbanistico. I redattori del piano si sono comportati nella stesura dello stesso come se non ci fosse per cui è affiancato da residence moderni i caratteri stilistici dei quali contrastano con quelli dell’antico fabbricato senza alcuna schermatura la quale sarebbe potuta essere una cortina di pini. Almeno la Piramide, l’ultima comparsa nel cuore di Campitello, per esattezza in tutto Campitello, è per gran parte sottoterra e la porzione emergente è in vetro, per cui ha un peso visivo ridotto incapace di opprimere, sempre visualmente, il vecchio Rifugio. Ha una volumetria di notevole consistenza che, però, è visibile solo in parte poiché parzialmente interrata; nonostante ciò per il suo aspetto inconsueto, la forma piramidale della parte emergente da terra, riesce ad essere un riferimento percettivo per l’intero insediamento. Va attribuita la scelta di tale solido platonico quale copertura dell’impianto sportivo ad un’esigenza pubblicitaria; essa è un richiamo turistico, un’immagine sicuramente ad effetto.

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Per l’uso del legno come nell’altro corpo di fabbrica cui si è accennato sopra parla il linguaggio della sostenibilità in quanto è un legname, il lamellare, che non rilascia fibre nocive per la salute. Inoltre il legno consente l’integrazione della fabbrica nel contesto naturale dominato dai boschi (oltre che dai prati). Il legno ha il vantaggio di avere un peso specifico basso, è più leggero del cemento il che comporta minori oneri per le fondazioni. La Piramide è il secondo elemento che segna il centro geografico del villaggio matesino, il terzo è il Montur con la sua caratteristica pianta a ferro di cavallo e del quale omettiamo la descrizione qui. Il primo, non casualmente il primo nell’elencazione, tra i “centri” rimane il Rifugio se non altro perché è baricentrico rispetto agli altri 2 elementi, più centrali di così non si può assolutamente.

23 - UN VILLAGGIO MONTANO SENZA ALBERI

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Le strade classificate provinciali sono normalmente “passanti” cioè attraversano l’abitato oppure ne sono tangenti, non sono pensate per concludersi in questo; il punto di congiunzione di una tale strada di passaggio con l’agglomerato urbano non è detto che sia la piazza principale. Non succede neanche quando lo schema della viabilità è a pettine, dal tronco che è un’arteria di grande comunicazione, quindi una “nazionale”, di solito di fondovalle, una “fondovalle”, si diramano, appunto, rami che in passato si denominavano Traverse. Queste strade di livello secondario raggiungono i paesi posizionati sui fianchi della vallata percorsa dall’asse stradale di livello primario, sempre il modello viario fatto di una costola da cui si dipartono molteplici denti. Tale tipologia di rete di percorrenze è quello presente nel comprensorio dl Matese dove tutti i comuni a lato, a entrambi i lati, della piana di Boiano, posti in altura sono collegati alla Statale n. 17 la quale corre al fondo della valle tramite bracci che si distaccano da questa. In nessuno dei comuni di tale ambito, ad esempio S. Polo e Campochiaro, tale bretella sfocia nello slargo centrale del borgo, se ne tiene al margine. Campitello, pur esso un insediamento matesino, contraddice la regola predetta, la Provinciale si arresta proprio nel fulcro del villaggio turistico, il suo cuore appare frutto di un allargamento della strada, una sorta di piazzale di “smonto” per coloro che giungono nella località.

Il polo della stazione di sport invernali simbolicamente segnato dall’antico Rifugio non gode di alcuna intimità, chi sta lì in villeggiatura non può andare a passeggio in modo tranquillo dovendo “scansare” le macchine poiché si incrocia inevitabilmente quest’area nodale nell’organizzazione urbanistica, i camminamenti pedonali, appena si scende dal marciapiede il quale costeggia il bordo superiore del pianoro, sono resi insicuri dall’ “assalto” dei frequentatori giornalieri che a volte arrivano a flotte e qui parcheggiano. Osservando le cose adesso non dalla parte di chi vi villeggia bensì di chi vi giunge, magari la prima volta, deve essere un effetto particolare il trovarsi coinvolti immediatamente, perché ci si trova subito nel suo centro, nella realtà, a tratti vivace, dell’insediamento montano. È un po' una sorpresa perché il complesso per vacanze si mostra in maniera improvvisa, preannunciata solamente dall’hotel Kristiania, dopo l’ultima svolta stradale oltrepassata Selvapiana allorché il percorso fino a poco prima in salita e dopo per un breve tratto in piano, diventa inaspettatamente in discesa, corta, per inoltrarsi nella conca di Campitello. Hai di fronte m. Miletto, in basso l’altopiano e sulla costa opposta della montagna l’insieme dei residence e alberghi tenuti, appunto, insieme dal piazzale cui sei diretto.

Rimaniamo a questi ultimi per evidenziare una cosa di per sé evidente la quale è che ogni volume edilizio è visibile già da questo sguardo iniziale. Non si è fatto in tempo a dire ciò e subito lo si smentisce, in effetti parzialmente essendo un episodio unico, perché rimane nascosto alla vista il condominio S. Nicola 1. La sua volumetria è allungata e formata da vari blocchi congiunti fra loro degradanti nel verso stesso del pendio per rendersi il meno visibile possibile dal livello del nostro piazzale, solamente la testata superiore emerge dal piano. Per il resto c’è una assoluta trasparenza visiva anche perché non c’è il minimo accenno di vegetazione che possa occultare la massa, consistente, edificata. Chissà perché gli ideatori della stazione così attenti alla coerenza globale delle opere fa realizzarsi già nel disegno del suo impianto non hanno pianificato la sistemazione esterna, per non parlare dell’arredo urbano del quale ci si è dimenticati a lungo, fino cioè alla costruzione del marciapiede cui si è accennato ai margini della Provinciale. Una dimenticanza non da poco per l’immagine dell’aggregato urbano, ci si è preoccupati esclusivamente dell’architettura. Poiché si stava per creare un paesaggio nuovo trasformando un sito, peraltro di grandi qualità paesaggistiche, in un ambiente completamente differente, sarebbe stato utile che trovassero applicazione le tecniche di quella che un tempo era conosciuta come arte dei giardini per mitigare l’impatto delle mastodontiche costruzioni in cantiere,

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altrimenti una mera “colata di cemento”. Probabilmente il verde non avrebbe attecchito, neanche terrazzando i pendii, su un suolo, brullo, ghiaioso e, per l'appunto, pendente, i terreni intorno agli immobili, ma non ci si è neanche provato! D’altro canto bisogna ammettere che per l’edificazione delle varie strutture non sono state tagliate piante, il luogo doveva essere una superficie erbosa, un magro pascolo per ovini. È opportuno precisare che nell’invocare la messa a dimora di essenze vegetali non si intende richiedere che venga impiantata una cortina arborea lungo il perimetro piazzale-strada provinciale in quanto ciò impedirebbe la visione del gruppo montuoso e della piana, davvero entusiasmante, va piantata una siepe. Siamo nell’argomento delle piante e ci restiamo e, però, ci spostiamo un po', sempre lungo la Provinciale, all’ultimo tornante per chiedere che venga ridotta l’altezza delle chiome degli alberi al di sotto della scarpata nella piazzola di sosta conosciuta come belvedere, un relitto viario del tracciato originario, della carreggiata precedente alla sua rettificazione per permettere di ammirare l’amplissimo panorama che da qui si scorge.

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L’impostazione urbanistica di Campitello è in qualche modo riassunta dalla pianta del Montur la quale ci insegna come leggerla, fosse pure un semplice spunto di lettura. La forma a ferro di cavallo è emblematica poiché la conformazione concava della costruzione richiama la concavità della planimetria della località turistica la quale a sua volta segue l’andamento dei luoghi. L’insediamento montano è curvilineo se si include in esso oltre alla stazione di sport invernali il preesistente Villaggio dell’Ente Provinciale del Turismo, una lunghissima curva. Campitello è un semicerchio proprio come è semicircolare il Montur. L’antico Rifugio è il fulcro e le due ali sono rappresentate, un’ala, dall’insieme costruito che va dalla Pinetina al Kristal ricomprendendo lo Sciatore e la testata superiore del San Nicola 1, l’altra ala, dal raggruppamento di villette denominato Villaggio EPT. È da notare che in tal modo il centro di turismo invernale viene a racchiudere parzialmente il pianoro sviluppandosi in parallelo ad una sua sponda, se fosse un lago immagine cui rimanda il suo essere una conca (concavo/conca). Il polo turistico si distende ai margini dell’altopiano carsico nel verso di questo più lungo per tutta la sua lunghezza. Sul versante opposto c’è il versante, guarda un po', di monte Miletto in cui in alto si ha un circo glaciale anch’esso una metà di cerchio che fronteggia, seppure da molto più in su, il Montur.

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Così come quest’ultimo è baricentrico rispetto alla struttura insediativa, l’ “anfiteatro” che occupa il posto, concaveggiante, di un remoto ghiacciaio lo è nel rilievo montuoso. Non solo per la centralità nei rispettivi contesti, ma pure dal punto di vista della forma, naturale nell’uno artificiale nell’altro, si somigliano e ciò non è un fatto casuale, vi deve essere stata, di sicuro, intenzionalità nel disegno planimetricamente arcuato del Montur. La morfologia ad arco che contrassegna entrambi gli elementi, il circo glaciale e il Montur, è davvero inusuale tanto che ci si trovi in ambiente oppure in luogo urbano e fa sì che essi siano fatti estremamente riconoscibili, assurgendo al rango di episodi iconici del paesaggio. Passiamo ad altro: chi non conosce la storia di Campitello potrebbe pensare che il Montur in combinato con il Rifugio EPT sia stato il perno intorno cui si sono andati ad aggregare gli edifici successivi, come succedeva nel medioevo quando le case si stringevano al castello per esigenze di protezione dando vita ai borghi; qui non si tratta di ragioni di sicurezza, ma la spinta all’addensamento sarebbe da attribuire alla carica simbolica che fa del Montur un momento primario della crescita urbana di Campitello, il Rifugio è preurbano.

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Supposizione sbagliata, coloro che sono a conoscenza delle vicende storiche della località ben sanno che il Montur è stato concepito insieme, nello stesso istante, agli altri fabbricati, non c’è alcuna precedenza temporale del primo rispetto ai secondi. Il nucleo centrale di Campitello, composto da Montur, Verande e Kandahar, era previsto nel Programma di Fabbricazione e quindi l’addensarsi dei corpi di fabbrica in vicinanza del Montur non deriva da un fenomeno spontaneo, bensì è il frutto di una scelta di pianificazione. Non è detto che tutto ciò che è scritto in un piano regolatore si attui o che si attui precisamente come è scritto nel piano: a volte alcune sue previsioni rimangono inattuate e non è sicuro che quanto vediamo segua esattamente i dettami dello strumento urbanistico, perlomeno della stesura originaria. Infatti i documenti di pianificazione possono subire modifiche nel tempo attraverso l’adozione di varianti, un piano è qualcosa di vivente non un “oggetto” statico. Qui non è così in quanto a Campitello piano e progetto sono la medesima cosa, figli sia il PdF che la progettazione delle costruzioni dell’identico soggetto, per il piano con l’avallo del Comune che è titolare delle competenze in materia urbanistica. L’ideazione della programmazione urbanistica è del francese Laurent Chappis autore delle stazioni integrate alpine, la redazione dei progetti architettonici degli architetti italiani Beretta, milanese, e Ruspoli, romano.

Anche la mancata attuazione di parte del piano può essere causa di sconvolgimenti dello stesso: se non si fossero eretti i residence Le Verande e Kandahar avrebbe avuto minor senso il Montur che è a servizio loro. Senza di esso i due residence non avrebbero avuti vicino gli spazi “accessori”, i quali non sono secondari, garantendo il rifornimento alimentare e altro raggiungibili comodamente al coperto. Il legame del Montur che ha la funzione al piano terraneo di galleria commerciale con gli alloggi presenti nei residence citati è evidenziato dall’ascensore inclinato che li collega, esibito con orgoglio, lasciato a vista, non interrato. È un impianto tecnologico che rimanda alla modernità facendo il paio con le funivie che ha di fronte. L’ascensore che corre in pendenza, sottoterra o meno, è una novità assoluta a livello regionale; il grande magazzino ex Scrigno a Termoli invece dell’elevatore in bella mostra ha la scala mobile la quale in quanto scalinata deve essere inclinata. Tale ascensore ha una posizione privilegiata nel complesso architettonico, centrale pressappoco tra il Kandahar e Le Verande e situato sull’asse di simmetria del Montur che è, non è una cosa scontata, simmetrico. A proposito della galleria commerciale già evocata si fa osservare che nel capoluogo regionale ha tardato a comparire qualcosa di simile la quale ha fatto la sua apparizione solo con la nascita dei centri commerciali Pianeta e Monforte.

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