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Il santuario di Castelpetroso

L’architetto Gualandi a chi gli commissionava un’opera era abituato mostrare un campionario di modelli tra i quali scegliere, anche combinando fra loro alcuni di questi, quello preferito. Presso l’archivio del Comune di Castelpetroso è conservato il catalogo di proposte relativo a tali chiese formulate dal tecnico incaricato. L’atteggiamento del progettista è quello proprio dei fautori dell’Ecclettismo Storicistico, una corrente architettonica affermatasi nella seconda metà dell’800, i quali traevano, su impulso del committente, dal repertorio dell’architettura del passato gli esempi cui ispirarsi nel disegno del manufatto che erano chiamati a realizzare, arrivando financo a mischiare differenti stili nello stesso edificio.

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Ciò è quanto successo qui. L’impronta più forte al fabbricato la dà il Gotico per la presenza dei tanti elementi verticali che connotano il prospetto. È un motivo peculiare dell’arte gotica i due campanili che affiancano la facciata nella quale sono ricompresi, cosa rara da noi dove le torri campanarie sono, non solo una sola, indipendenti figurativamente dalla stessa. Si tratta di campanili snelli il cui slancio verso l’alto, l’ossessione dei capimastri gotici, è accentuato da una terminazione piramidale assai aguzza. Oltre alla ricerca della verticalità nel Gotico si avverte pure una forte tensione alla smaterializzazione della struttura come si può riscontrare nello svuotamento 

delle pareti del campanile le

quali sono forate da bifore che nella cella campanaria diventano di sagoma molto allungata. Per quanto riguarda la spinta per l’elevazione essa è confermata dalle lesene che si prolungano al di là del fronte e si concludono con dei pinnacoli le quali ripartiscono il prospetto; le guglie le si ritrova pure in cima ai vertici dei triangoli che simulano una copertura a capanna posti al di sopra di portali d’ingresso i quali sono tre, perciò ad ogni piè sospinto. Sono, pinnacoli e guglie, motivi decorativi funzionali ad incrementare l’effetto di chiesa protesa in direzione del cielo, metaforicamente dell’Eterno.

La perdita di consistenza della massa muraria di cui si è detto dovuta ad un dimensionamento “abnorme” delle bucature è consentita dall’assegnazione del ruolo di sostegno delle strutture voltate, siamo all’interno dell’edificio, a costoloni i quali sostituiscono il binomio pilastri-archi per sorreggere le volte, il dispositivo del periodo romanico. I costoloni si affiancano alle pilastrature e innervano, partendo da terra, lo spazio. Pertanto quelli che potremmo scambiare per pilastri poligonali sono, in effetti, pilastri polilobati, detto

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diversamente pilastri circolari cui sono addossate tutt’intorno colonnine, ovvero cordolature. I costoloni distaccati dalla vela che dividono in spicchi costituiscono un’autentica novità introdotta dagli architetti, per così dire, gotici, una tecnica che rimane abbastanza sconosciuta dalle nostre parti. È un sistema costruttivo applicato da noi in rari casi, uno di questi è la chiesa di S. Giacomo a Pietracatella. Non vi erano maestranze capaci di simili lavorazioni per cui nella realtà molisana, con limitate eccezioni, rappresenta una vera e propria innovazione la capacità di far scaricare le forze, di far portare i pesi dalle costole sottili. I costoloni sono in vista tanto nell’ambulacro quanto nella cupola la quale è ripartita in fette triangolari mediante tali nervature.

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Con la cupola si transita dalle influenze medievali a quelle rinascimentali perché essa è un tipico “prodotto” dell’architettura del Rinascimento. Essa è preceduta da un alto tamburo ampiamente finestrato, questa caratteristica è un esempio alla passione del Gotico per la luminosità, ed è seguita da una lanterna anch’essa fonte di luce. Siamo passati dai caratteri stilistici gotici a quelli dell’Età della Rinascita, un vero salto epocale e artistico che non esaurisce comunque la significatività del santuario mariano in quanto bisogna tener conto insieme a quelli citati dei rimandi al Romanico.

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Vi è un evidente richiamo all’architettura romanica molisana nella sovrapposizione ai portoni di accesso di lunette figurate le quali sono considerate tipiche della produzione architettonica ecclesiastica dell’era romanica nel Molise. Di rimando in rimando, le raffigurazioni contenute in tali lunette sono a mosaico, una tecnica di figurazione che è espressione peculiare dell’arte bizantina. La chiesa di Castelpetroso non si fa mancare niente, un po’, tanto, di Gotico, un po’, a sufficienza, di rinascimentale, un po’, poco, di Romanico, un po’, molto poco, di bizantino. Pertanto questo edificio di culto è a pieno titolo una testimonianza dell’Ecclettismo Storicistico. Tale collage lascia in qualche modo interdetti: il prospetto dove vi sono tre portali strombati di cui quello centrale è il più grande cui corrisponde l’immancabile, rosone più grande, è tricuspidato. Tale fatto è un’anomalia in quanto nelle facciate delle chiese a tre navate alle quali sembra alludere, e illudere nel contempo, la tripartizione del fronte di coronamento è di regola triangolare, non vi è la ripartizione in più pezzi, in più triangoli; in corrispondenza del

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vertice superiore dell’unico triangolo vi è la navata centrale mentre per quelle laterali il profilo è a salienti. L’organizzazione voluta dal progettista dell’immagine frontale del santuario induce a credere che si tratti di un’architettura ecclesiastica a pianta longitudinale e ciò è lontano dal vero in quanto, invece, è a pianta centrale. Planimetricamente alla zona coperta dalla cupola si affiancano sette cappelle ognuna dedicata a un dolore della Madonna Addolorata per cui l’impronta al suolo della nostra fabbrica religiosa ricorda un fiore con pistillo, la cupola, e corolla di petali, le cappelle. Per tale andamento mistilineo della pianta si viene a trattare di una tipologia architettonica che sarebbe incompatibile con un ambiente urbano il quale si suddivide, di frequente, in isolati regolari. Da qui, dall’incapacità di colloquiare con l’intorno costruito, è inevitabile l’isolamento in campagna di una simile opera.

Via Matris

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Ci sono tante cose da dire sulla Via Matris di Castelpetroso, tanti sono gli spunti che essa offre in quanto tante sono le novità che introduce nel panorama perlomeno molisano delle opere a soggetto sacro. Il quadro è costituito da: i santuari (il principale è proprio quello di Castelpetroso la costruzione del quale è iniziata alla fine del 1800 e il completamento è avvenuto nel 1975 precedendo di poco l’ideazione della via Matris che ne costituisce un’appendice),

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le croci sulle cime delle montagne (sul vicino Monte Miletto, il più alto della regione), calvari (nell’approssimativamente vicino Castropignano), edicole votive (una assai antica è nella borgata S. Felice della vicina S. Massimo), eremi (quello molto accorsato di S. Egidio della vicina Boiano), cappelle disseminate nell’agro (quella di località Confalone nella vicina Frosolone), tutte presenze che conferiscono un’impronta religiosa al territorio. Tale processo di cristianizzazione dello spazio ebbe un’accelerazione con la Controriforma la quale puntò a rafforzare il sistema degli apparati di culto in cui si pratica la fede cattolica minacciata dalla Riforma protestante. A incrementare la visibilità di questo credo, a renderlo pervasivo vi sono, sta per finire il preambolo, pure le manifestazioni cultuali, quali le processioni, la Passione con la relativa Via Crucis, i presepi viventi, i pellegrinaggi e i percorsi devozionali, per quello dedicato alla Madonna si predispongono le Via Matris. Per quanto riguarda queste ultime ce n’è una a Castelpetroso e un’altra nel capoluogo regionale. Quella di Castelpetroso è formata di 7 gruppi scultorei raffiguranti altrettanti episodi della vita di Maria venerata in questo sito, è appena alle spalle della Basilica Minore, quale Madonna Addolorata, uno dei suoi vari appellativi (gli altri sono Incoronata, Assunta, Immacolata, ecc.), dunque il tema è i Suoi 7 Dolori.  È da notare, innanzitutto, che le statue sono fatte di una lega speciale, un materiale che richiama volutamente il bronzo. Le superfici metalliche non sono colorabili, ben lo si sa, e le sculture bronzee perciò hanno colore bronzeo. Ciò, cioè l’assenza di colorazione contrasta con il realismo denunciato dalle fattezze, compresa la dimensione che è a scala 1:1, veristiche dei personaggi che compongono le differenti scene della storia della Madre di Dio; del resto, non sarebbe potuto essere altrimenti nel senso che stando all’aperto, esposte al sole e agli agenti atmosferici, le tinte applicate alle figure per renderle somiglianti agli esseri viventi si sarebbero, comunque, scolorite, minando la loro verosomiglianza.

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In definitiva, il visitatore avverte un certo effetto di straneamento di fronte a queste riproduzioni delle vicende terrene della Madonna, da un lato la fisionomia dei protagonisti è realistica dall’altro lato per via della materia similmetallo essi appaiono irrealistici. Sempre rimanendo sulla questione della partecipazione emotiva dell’osservatore è da aggiungere che favoriscono l’immedesimazione nei “quadri viventi”, tableaux vivants, 2 cose inusuali nel campo della statuaria, l’una è quella dell’assenza di piedistallo, le statue poggiano sul terreno, come le persone normali che incontriamo per strada, l’altra è che esse stanno open-air, non racchiuse in una nicchia, a contatto diretto con chi passa. Non è che in una chiesa non possano trovare posto insiemi scultorei, vedi la bella Ultima Cena nella bella chiesa di S. Emidio ad Agnone, è solo che lo spettatore rimane distante da essi. C’è pure da aggiungere che il bronzo e il marmo sono impiegati per la creazione di oggetti d’arte sacra di pregio, mentre il legno, la terracotta e la cartapesta sono utilizzati prevalentemente nella produzione artistica popolare; nel nostro caso la decisione di modellare le immagini con una sostanza che rimanda al bronzo non è dettata dalla volontà di conferire una maggiore dignità alla realizzazione figurativa quanto piuttosto al problema denunziato dell’esposizione alle intemperie. Di aggiunta in aggiunta, c’è da aggiungere inoltre che siamo di fronte ad un programma ideativo unitario per cui i singoli momenti dell’esistenza terrena della Madonna, i Suoi travagli, non possono essere letti separatamente appartenendo ad un ciclo narrativo unico. A margine si rileva che per tale ragione, oltre che per l’inscindibilità dal contesto paesaggistico in cui sono inseriti non è pensabile, a differenza della statuaria classica, il trasferimento di singoli pezzi in un museo. L’operazione artistica condotta, si vuole dire, rientra nella “arte dei giardini”, il che beninteso non è sminuente e non nell’arte tout court. È da aggiungere, proseguendo con le aggiunte, ma ora utilizziamo l’avverbio “infine”, che il progetto iconografico adottato è quello di seguire schemi iconografici consolidati se non canonici, siamo pur sempre di fronte ad una committenza ecclesiastica, si pensi alla Madonna con il Figlio morente il cui modello ispiratore è, alla lontana, la Pietà di Michelangelo, il che lascia poco spazio alla libertà espressiva dell’artista. Non c’è da aggiungere niente più e nonostante ciò proseguiamo.

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La Via Matris sollecita tanto riflessioni ultraterrene quanto secolari che qui proviamo ad intrecciare fra loro: con le stampanti in 3D le opere d’arte sono destinate a non essere più “pezzi unici” poiché è facile farne delle repliche, le copie sono in resina come le statue della Via Matris, e tale serialità fa perdere loro l’alone sacrale da cui sono da sempre avvolte, sacrale nell’accezione anche di degno di venerazione quando si tratta di rappresentazioni delle divinità, sentimento che può peraltro scadere nell’idolatria. Gli antichi suddividevano le immagini pie in 2 categorie chiamate rispettivamente ad salutationem e ad memoriam, le prime che invitavano alla preghiera le seconde al ricordo di avvenimenti celesti. Quelle della Via Matris sono finalizzate a far rivivere le gesta della Madonna alle quali i fedeli devono ispirarsi, non alla contemplazione propriamente né estetica né mistica, non ci si rivolge a loro per una supplica, non è questo il loro ruolo, bensì è di tipo pedagogico la loro mission.

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