Che vada salvaguardata la vista del capitello, testimonianza dell’antica Bovianum, tra l’altro una delle poche pervenuteci, è ben certo. È talmente scontato che non vale la pena esplicitare la ragione del perché permettere alla cittadinanza di poter vedere tale resto archeologico peraltro in buono stato di conservazione, e comunque lo facciamo.
Esso è di ottima fattura e di dimensioni considerevoli, caratteristiche che ci fanno comprendere, da un lato, l’elevato livello della produzione artistica in quel periodo e in quel luogo, dall’altro lato, la grandezza del templio di cui era una componente, nell’ars retorica “la parte che sta per il tutto”, maestosità che, a sua volta, ci rivela l’importanza del nostro centro in età, presumibilmente, romana. Detto preliminarmente ciò proviamo ora a capire cosa è successo. Si premette che vi sono oggetti che possono avere usi differenti e questo è un concetto generale. Allorché viene a perdere la funzione originaria quel manufatto ne può acquistare una nuova, cosa che non vale per qualsiasi artefatto umano, ma per tanti sì; tale tema, oggi che siamo investiti dal gravoso problema dei rifiuti, è, di certo, di grande attualità. Un capitello che ha quale compito, posto in cima ad una colonna, il sorreggere la trabeazione, è idoneo a diventare, adesso collocato al piede di una colonna, un valido basamento ovvero piano di appoggio per una stele, la pressione a terra della stessa è distribuita su una superficie più ampia. Esso, cioè, viene a fungere da piedistallo, seppure di altezza non elevata, bensì di spessore ridotto. È interessante notare che il capitello è collocato all’incontrario con le volute che sono di ordine ionico, all’insù, scelta che è attribuibile non a questioni di portanza, la sollecitazione sul terreno non cambia a seconda del verso in cui è posizionato, piuttosto a motivazioni simboliche. Il capitello rovesciato sormontato da un piedritto che sostiene una croce sta a significare la vittoria del cristianesimo, la croce ne è il massimo emblema, sul paganesimo, il capitello apparteneva a un tempio pagano. È il modo più esplicito per sottolineare il primato della religione cristiana sul culto degli dei.
Il crocifisso in pietra non solo schiaccia un oggetto che è un riferimento alla venerazione per le divinità pre-cristiane, ma lo pone a testa in giù e, per tale riguardo, rimanda all’immagine della cacciata dal paradiso degli angeli ribelli i quali cadono negli inferi a capofitto, capitombolano. Un caso analogo è quella della lapide con la scritta in latino risalente a prima di Cristo situata sull’altare maggiore della cattedrale di Trivento in maniera ribaltata, un testacoda, e perciò illeggibile. In definitiva, tale sottomissione alla croce del capitello e il suo rovesciamento esprimono la volontà di rimarcare la superiorità del nuovo credo su quello precedente. Quanto detto dovrebbe indurre il gruppo di fedeli che ha inteso omaggiare la croce piantando al suo contorno una siepe di lavanda di recedere dal suo operato per non occultare alla vista il capitello la cui presenza è carica di significatività ed anzi rafforza il messaggio religioso di cui il monumento è portatore.
È da notare che le associazioni di credenti di un rione in genere prendono in cura le edicole votive sorte per iniziative popolare in quel quartiere su facciate di case private, non in un sito pubblico quale invece è la piazza, il punto in cui è posta la croce. Da questo momento in poi alcune osservazioni sul posto in cui è stata “piantata” la croce. Attualmente la rotonda dove essa si trova funge da una specie di spartitraffico, non è in una posizione “onorevole” nonostante sia centrale, non semplicemente ad un settore dell’abitato bensì al centro di una delle piazze più accorsate della cittadina. Essa viene ad assolvere ad un ruolo davvero improprio per un simbolo religioso quello di elemento di smistamento del traffico. Il flusso di auto essendo piazza Pasquino un importante crocevia è consistente e, dunque, non è un luogo tranquillo, adatto per riflettere sul mistero divino. Non si riesce a raccogliersi e pregare in un rondò viario. È bene specificare che la croce non è visibile dalle strade che convergono sulla piazza la quale non ha un impianto planimetrico stellare, i cui raggi si dipartono da un polo come sarebbe potuta essere la croce. Quest’ultima la si scorge solamente entrando nello spazio della piazza, non dal di fuori. Del resto, essendo l’insieme, croce-colonna-capitello tutto sommato di elevazione contenuta da una certa distanza non sarebbe percepibile. La veduta che ne ha l’automobilista che vi transita è giocoforza fuggevole, non ha modo di apprezzarla, noterà dal veicolo in moto sicuramente la croce e, però, non altrettanto sicuramente, il capitello anche se non fosse nascosto dalle piante che lo attorniano. Dalla viabilità passiamo ora al verde. La superficie erbosa è assimilabile per la sua ampiezza contenuta ad un’aiuola e non a un giardino, può essere solo osservata e, però, non praticata. È uno spazio vegetato di estensione appena sufficiente per garantire l’isolamento dell’opera, proteggerla dai gas di scarico dei veicoli, evitare la contaminazione con la città. È un problema comune a tutte le croci viarie nell’era della motorizzazione di massa. Il cespuglio di fiori che cinge da presso la croce sarebbe opportuno che venga eradicato e trapiantato sul limite della predetta aiuola in modo che esso possa supplire figurativamente all’assenza di una recinzione. Quale cordolo che delimita questa rotonda è stato impiegato, di nuovo il tema del reimpiego, una iscrizione commemorativa della peste manzoniana, morbo che colpì pure il capoluogo matesino. Poiché pezzo della cordolatura è in basso e perciò lo si nota poco: pure questo è un segno storico che meriterebbe, similmente al capitello, di essere messo in bella vista.
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