1 - La zona costiera
La fascia adriatica è Molise, indubbiamente, è un pezzo sostanziale della nostra identità regionale, ma è diversa da tutto il resto della regione alle spalle. La costa, alla stessa maniera della montagna appenninica, è un comprensorio eterogeneo rispetto al cuore della superficie molisana, ma collocata com’è ai margini, la stessa cosa dell’Appennino, non ne provoca alterazioni dell’immagine, un susseguirsi di rilievi collinari, semmai la incornicia (una cornice con bordo piatto in quanto la fascia costiera è piatta, mentre quella opposta è rialzata trattandosi di una catena montuosa).
Dell’ambito litoraneo ci interesseremo in particolare proprio del suo rapporto con l’interno. Innanzitutto è da dire che il suo capoluogo non è mai diventato capoluogo di Provincia nonostante che in Italia la generalità delle città medie siano “capitali” di circoscrizioni provinciali. Eppure la presenza nel Basso Molise di una Provincia, la quale necessariamente avrebbe i suoi uffici collocati a Termoli, appare come cosa naturale: è un terzo della superficie molisana come lo è la cosiddetta Pentria. La sua nascita porterebbe ad una equilibrata ripartizione in entità sub-regionali della nostra terra. Alla cittadina adriatica, probabilmente, non è stata mai attribuita la funzione di sede provinciale perché non è posizionata nel baricentro dell’area bassomolisana (mentre Isernia lo è in quella altomolisana); essa si trova si nella mezzeria della linea di costa, e, però, è ai margini della, diciamo, terraferma. Oltre c’è il mare, così come a Boiano, che ha un passato più glorioso di Campobasso da cui è stata surclassata, c’è la montagna e a Trivento, patria del condottiero Caldora, uno dei maggiori del medioevo, c’è il fiume, tutti fattori geografici che provocando l’isolamento, almeno da un lato, degli insediamenti, ne smorzano le ambizioni di primeggiare sul circondario. In aggiunta, Termoli ha sofferto, fino alla grande opera di bonifica idraulica iniziata poco più di un secolo fa, dell’impaludamento del Biferno che rendeva difficili i collegamenti con la parte centrale della regione; neanche a dire che essa era in comunicazione con comuni vicini ubicati sul litorale perché non ve ne sono, l’unico adiacente la marina essendo Termoli. Neppure era raggiungibile via mare da altre zone del Paese non disponendo all’epoca di un vero e proprio porto, bensì di un semplice “caricatoio” per le merci. A rompere l’“insularità” di questo borgo, all’epoca era tale nonostante il vescovo, marinaro, una specie di isolotto circondato da acque dolci e salate, è stata per prima la ferrovia. Se vogliamo dirla tutta per prima, in verità, è stata la ferrovia che corre parallelamente all’Adriatico la quale precede la linea ferroviaria che porta a Campobasso, ortogonalmente all’Adriatico. Rimanendo nel discorso che si è avviato, quello delle relazioni tra costa e entroterra, si nota che tale primazia della strada ferrata adriatica non è solo temporale, bensì pure per il ruolo; per essa il ruolo è nazionale, mentre per l’altra è locale e sicuramente, se serve una spiegazione, questo è il motivo per cui è stata costruita prima.
Restando al punto, la connessione con il territorio regionale dell’ambito costiero è limitata al capoluogo della regione, cosa, di certo, non da poco trattandosi del suo vertice direzionale, non esistendo alcuna tratta che conduca nell’Alto Molise. Isernia otterrà la propria infrastruttura di congiunzione diretta con la zona marina solamente negli anni ’70 del Novecento e questa volta non si è di fronte a trasporto su ferro, bensì su gomma, la superstrada Trignina. Termoli, lo si è detto, è nel mezzo della fascia litoranea e ciò fa si che la sua stazione sia a servizio anche dei centri costieri prossimi e ciò aumenta la forza di gravitazione di questa cittadina sulla popolazione dell’hinterland, una forza, nonostante quanto visto, cioè la sua posizione nodale solo in longitudine nel contesto territoriale, di tipo centripeto. Il treno favorisce lo sviluppo industriale, qui vi è il maggior agglomerato produttivo del Molise, e il turismo balneare specie nei primordi, le spiagge dell’Adriatico sono la meta “naturale” delle vacanze estive dei molisani, con l’esclusione di quella quota di residenti nell’isernino e nel venafrano, quindi nel versante tirrenico della regione, che preferisce riversarsi sui più vicini lidi del Tirreno. Quest’ultima asserzione ci è utile perché mette in luce un aspetto del legame della costa con la restante parte della regione il quale è che le interrelazioni non sono identiche per ogni comprensorio. Noi, comunque, ci interessiamo dei caratteri generali di tale relationship. Vi sono alcune cose che solamente in prossimità del mare si possono fare tra cui vi sono la balneazione e i porti, è lapalissiano, ma non è poca cosa, di nuovo questo termine generico che rimanda a qualcosa, ancora cosa, di indeterminato, mentre, invece, si riferisce a cose, sempre per non cambiare vocabolo, molto concrete; per la prima c’è il tema del valore terapeutico della vacanza sul bagnasciuga e, perciò, della salute della popolazione molisana e per i secondi, invero uno solo, vi è l’opportunità per l’economia regionale del commercio marittimo legata all’ampliamento, attualmente allo stato di progetto, del bacino portuale termolese. Sono evidenti i benefici della presenza di una striscia litoranea dentro i confini regionali, effetti benefici che, ad ogni modo, hanno un prezzo che devono pagare le cosiddette “aree interne” il quale consiste, limitandoci alla questione della balneazione, da un lato, nel divieto di estrazione di ghiaia dagli alvei fluviali per favorire il ripascimento delle spiagge, a danno delle imprese edili del posto cui vengono sottratti gli inerti, e, dall’altro lato, il freno all’inquinamento dei corsi d’acqua al fine di non compromettere la balneabilità di pezzi del litorale, quelli in prossimità delle foci dei fiumi (Trigno e Biferno). Per quanto riguarda quest’ultima faccenda è bene evidenziare che ciò significa un impegno delle istituzioni pubbliche al finanziamento e al funzionamento, parole che hanno una certa assonanza fra loro, di opere per la depurazione delle acque in numero adeguato, e con una gestione rigorosa a carico dei Comuni non rivieraschi, faccenda (adesso non più cosa) assolutamente non scontata. E poi mettete senza il mare, il Molise perderebbe la sua identità più autentica che condivide con tutte le civiltà nate intorno al Mediterraneo!
2 -Il borgo antico di Termoli
Da 800 anni il castello Svevo sorveglia la costa molisana. È quasi un monumento per il suo carattere monumentale eretto a Federico Secondo, il grande imperatore-riformatore chiamato dai suoi contemporanei Stupor Mundi. Nel celebrare la struttura castellana di Termoli, meritevole di celebrazione, indubbiamente, per la sua qualità architettonica, ci si dimentica spesso tanto che non è un'opera isolata quanto che la creazione della struttura difensivo costiero non va attribuita in modo esclusivo agli Svevi. Partiamo da questo punto: accanto al maniero voluto da Federico vi sono le poderose mura aragonesi alte 20 metri che cingono il Borgo Antico così come la teoria di torrette di avvistamento lungo l'intero litorale del Molise oggetto di cura anche da parte dei dominatori di questa terra successivi, compresi gli Spagnoli.
Un ruolo decisivo nella difesa della frontiera marina lo hanno avuto pure i Benedettini con il loro convento nell'isola di San Nicola, la cui presenza lì serviva ad evitare che i pirati saraceni facessero delle Tremiti il loro covo da dove partire per le incursioni sulla terraferma. Per quanto riguarda il primo punto sostanzialmente abbiamo già detto tutto: il fortilizio termolese non sta tutto solo a proteggere la costa perché a coadiuvarlo in tale compito vi è la serie continua delle torri di scolta le quali rivestono un ruolo, seppure sussidiario, importantissimo, complementare al castello. Si viene a configurare un sistema organico di contrasto alla pirateria, non una sommatoria di singoli punti-porti. Torri e castello collaborano strettamente fra loro in quest’azione di presidio della fascia litoranea, compreso il monastero benedettino tremitese e del resto la rocca, adesso, termolese, per il suo aspetto turriforme, più alta che larga, può essere letta quale l'ingrandimento di una torre, secondo alcuni storici di epoca longobarda, una sorta di torrione. Una organizzazione difensiva predisposta contro gli attacchi dal mare che trascura i pericoli provenienti dall'entroterra a tranquillizzare rispetto ai quali ci sono i Pantani, Alto e Basso, cioè l'impaludamento del Biferno alle spalle della cittadina adriatica. La preoccupazione primaria delle autorità centrali è stata sempre quella di prevenire l'intrusione nel "suolo patrio" di stranieri e solo secondariamente garantire la sicurezza alla gente del posto se non come cosa conseguente da cosa. Ciò che spaventava i governanti erano le invasioni da parte di popolazioni estere del territorio nazionale. Ciò che si è appena affermato subito lo si nega nel senso che nel XV secolo furono addirittura incentivate le migrazioni di comunità provenienti dai Balcani assegnando loro areali nel Bassomolise in cui vivere purché, da notare, di credo cattolico (in seguito gli ortodossi vennero convertiti con la forza dal Vescovo Tria). Non è corretto parlare relativamente a questo spostamento di persone dall'altra sponda dell'Adriatico di una colonizzazione perché essi giunsero sulle nostre rive per sfuggire, essendo cristiani, alla minaccia dei turchi e non perché spinti dalla volontà di colonizzare delle terre; fralaltro avevano ormai rotto ogni legame con la madrepatria senza la quale non si può parlare di colonia (la Magnagrecia senza la Grecia). L'agro loro attribuito era nell'interno, la piana adiacente alla distesa marina, il luogo di primo approdo, occupato com’era dalle dune non era idoneo per gli insediamenti umani.
A sbarcare qui da noi, trasportati dalle stesse imbarcazioni che avevano a bordo i profughi albanesi e croati, furono pure gli zingari, delle medesime nazionalità ma di differente etnia, la cui cultura nomade impediva loro di stanziarsi in un sito stabilmente. Esaurito il tema dei fuggiaschi, migranti non "economici" antelitteram, ci concentriamo ora sulle fortificazioni, diciamo così, urbane. A Termoli il castello funge solamente da fortezza e non da residenza feudale la quale, il Palazzo Padrone vicino al Duomo, venne abbattuta nel secolo scorso per ampliare la piazza della chiesa o, ulteriore anche se non confliggente ipotesi, per l’ “isolamento” del monumento, un precetto del restauro "alla francese”.
Il castello, anche a scala cittadina, non è l'unico elemento cui è affidata l'incolumità degli abitati in quanto ci sono pure le mura urbiche dotate di torri quadrangolari e c’era pure un fossato, poi interrato, naturale, non artificiale, il canale Portiglione scavalcabile allora tramite un ponte levatoio. L'ingresso al borgo era munito di due torri delle quali una, tantissimo tempo fa, è stata eliminata. L'entrata nell'aggregato insediativo è meglio che sia unica perché ciò permette di controllare facilmente chi accede in città e così era in origine a Termoli. Nella seconda guerra mondiale gli angloamericani realizzarono un secondo varco per agevolare il transito delle truppe e però non c'è nessun problema in termini di sicurezza poiché la nuova apertura è presidiata dal castello. In genere sono i castelli che sovrapponendosi ad essa si impossessano della porta cittadina da chiudere o aprire a piacimento del principe; qui ci troviamo di fronte ad una situazione opposta, è l'accesso che va a mettersi sotto l'ala protettiva del signore.
Ricapitolando abbiamo trattato della salvaguardia della banda, ovvero striscia, costiera dalle aggressioni di una banda, ovvero manipolo di malviventi, militaresca e poco fa della messa al sicuro della città, preda ambita in sé stessa e non esclusivamente quale avamposto da conquistare per la penetrazione nel Molise interno fino al centro monastico di S. Vincenzo al V. raso al suolo nell’800 d.C..
3 - Il Castello Svevo
Tutti i castelli molisani sono stati realizzati dai titolari dei feudi in cui essi sorgono a differenza di quello di Termoli che è stato voluto dall’imperatore in persona. Federico II creò una rete di fortilizi che partendo dalla Sicilia si estendeva fino alla Puglia e Termoli a lungo è stata parte della Capitanata; la fortezza termolese è situata nella fascia periferica del dominio svevo, tanto settentrionale quanto orientale, l’Adriatico costituendo la terminazione dello Stato ad est. Per quanto riguarda i primati del forte di Termoli, oltre quelli di essere più a settentrione e più a oriente, va segnalato pure un record in negativo che è di essere il castello imperiale più piccolo in assoluto.
Che sia qualcosa di diverso il nostro maniero rispetto ad ogni altro presente nel Molise e, quindi, unico dipende dal fatto che scaturisce da un progetto ben definito; lo dimostra la stringente geometria che lo informa, sia in pianta, un quadrato, sia in alzato, le facce, appunto quattro, sono identiche fra loro. Nel resto della regione i presidi difensivi sono caratterizzati, sistematicamente, dal loro adattamento al sito, spesso roccioso, con il quale le murazioni usano compenetrarsi. Non c’è qui da noi nessuna opera fortificata che non si sia fatta condizionare dall’orografia del luogo; anzi, essa sfrutta, per incrementare le capacità di difesa, le asperità del terreno. I manufatti castellani rifuggono dalle superfici piatte e non solo perché gli insediamenti che hanno il compito di proteggere sono, di regola, posti su rilievi collinari. Al contrario un castello imperiale qual è quello della cittadina bassomolisana non può farsi condizionare da situazioni contingenti, la configurazione architettonica si astrae dal contesto e si afferma nel paesaggio con la sua assolutezza. È un segno fisico e nel contempo metafisico, la concretizzazione di un pensiero, quello di Federico di Svevia grande appassionato di filosofia, l’espressione massima è Castel del Monte carico di simbolismo con la sua planimetria ottagonale.
A distinguere il “castello svevo”, la denominazione corrente, rispetto alla tipologia usuale dei nostri castelli, definita “castello-recinto”, connotata da un cortile centrale racchiuso fra corpi di fabbrica, è proprio l’assenza della corte. Il castello del centro adriatico è, perlappunto, un volume compatto, è totalmente pieno, mentre ciò che rende tipico il castello di questa regione è il “vuoto” al suo interno, due schemi tipologici diametralmente opposti. Il solo che potrebbe assomigliarli è la Rocca di Roccamandolfi per le torri cilindriche in aggetto dalla murazione; per precisione a Termoli sono aggettanti dagli angoli. La roccaforte (la chiamiamo ora così in omaggio a Roccamandolfi, dopo averla chiamata forte, maniero, ecc.) di Termoli, altro elemento di differenziazione dalla generalità dei castelli regionali, è presidiata da una guarnigione statale (anche se non siamo ancora nell’età degli eserciti nazionali) e non da armigeri ingaggiati dal conte o marchese di turno se non dagli stessi vassalli che si impegnano a difendere in proprio il proprio villaggio, i primi professionisti
mercenari i secondi volontari volenterosi. Solo i soldati di mestiere, quelli di guardia al castello termolese, sono in grado di avvalersi di dispositivi militari avanzati quali apparati a sporgere, non roba da gente comune prestata alle armi. Negli anni ‘80 del ‘900 si innescò un dibattito sull’opportunità o meno di eliminare i beccatelli in materiale cementizio collocati sulle mura del castello nei primi decenni del secolo scorso. Allora si seguivano nel recupero dei monumenti i dettami del “restauro in stile”, in voga all’epoca, per intenderci quello attuato dal Beltrami nel Castello Sforzesco, il quale prevedeva la riproduzione di componenti dell’architettura che pur non avendone traccia in quel fabbricato dovevano pur esserci stati perché peculiari della corrente stilistica cui apparteneva tale edificio monumentale.
Ci soffermiamo adesso sulla volumetria dell’opera la quale si sviluppa assai in altezza, alla stregua di un torrione; Per la sua elevazione e per la vicinanza al mare niente osta, peraltro la copertura è piana, a poter svolgere la funzione di punto di segnalazione, in qualche modo di faro. C’è, poi da evidenziare che se è vero che questa struttura castellana non ha paragoni in ambito locale non li ha neanche in quello europeo, ad esclusione dell’Italia, la sua ideazione non ha subito l’influsso di modelli affermatisi nel continente, è un’espressione originale similmente alle altre concepite da Federico II che, pur a capo del Sacro Romano Impero, un dominio di scala continentale, è innanzitutto Re di Sicilia, un principe assolutamente italiano. Tante sono “le cose di interesse storico” riconosciute come tali dal Ministero della Cultura, dentro le quali, se ha un valore la primogenitura, un posto di primo piano lo ha sicuramente il Castello Svevo che è stato classificato Monumento Nazionale addirittura nel 1885. Il suo “incendio”, a memoria di quello causato dai Turchi circa mezzo millennio fa, riproposto ogni anno dal Comune con l’esplosione dei fuochi d’artificio, è un po’ il rito fondativo della città.
4 - La bonifica costiera
Il Molise, in effetti, è stato partecipe, ciò non contrasta con il fatto che ha sempre vissuto una condizione di isolamento, di vicende nazionali come la grande operazione di bonifica delle pianure. La nostra regione sta per conto suo geograficamente, con scarsi collegamenti con i territori confinanti, e nel medesimo tempo ha condiviso con il resto della nazione rivolgimenti fondamentali tra cui l’ultimo è stato, appunto, la “redenzione delle terre” ovvero il prosciugamento e la riduzione a coltura dei comprensori pianeggianti, per oltre mezzo secolo, sostenuto da ben tre regimi politici del tutto differenti fra loro, l’Italia liberale, il regime, vero e proprio, fascista, e l’Italia democratica dei primordi; “redimere” le campagne dall’impaludamento è stato l’obiettivo principale di politica economica dello Stato. In poco più di 50 anni si è avuta la trasformazione totale di vastissimi circondari, modificazioni così ampie dei connotati territoriali che mai in precedenza si erano verificate con tanta radicalità nel suolo italiano. Gli ambiti interessati sono stati, sembra di averlo già detto, quelli in piano i quali da noi, ben si sa, non sono estesissimi limitandosi alla striscia litoranea e che, però, proprio perché superfici, tutto sommato, ridotte sono in ossequio al concetto di rarità, più preziose che altrove: una riflessione a margine che appena buttata là la si lascia subito cadere.
Il paesaggio è diventato irriconoscibile, non più caratterizzato dalle foreste planiziali, il toponimo Bosco Tanassso ce ne ricorda una, le uniche della regione, e degli stagni, i Pantani, Alto e Basso, e con esso l’ambiente la cui alterazione è altrettanto dolorosa della integrità paesaggistica perché brani di natura vergine, tra i sopravvissuti vi sono le Fantine di Campomarino; in nessun’altra parte del Molise, salvo le quote più elevate dei rilievi appenninici, si trovano intorni ambientali che conservano i lineamenti originari, una situazione naturalistica quella del Bassomolise di un tempo rara e anche perciò, ancora la rarità, oltre che in sé, estremamente pregevole. Accanto allo sconvolgimento dei valori paesistici ed ecologici c’è stato pure uno stravolgimento semantico nella geografia dei luoghi. Più che un cambiamento è stato un capovolgimento di senso: quelle che prima erano lande malsane sono diventate le migliori aree agricole molisane. Gli areali bonificati surclassano in quanto a derrate alimentari prodotte il Molise interno e anche dal punto di vista qualitativo i beni agricoli che forniscono sono competitivi con quelli dei colli. Il piattume delle zone di bonifica è esclusivamente orografico, non porta con sé il significato di appiattimento della qualità. La riduzione a linee essenziali, orizzontali, della conformazione del mantello terrestre ad est della regione se viene ad essere una riduzione della complessità morfologica delle fasce montane e collinari, poste rispettivamente ad ovest e al centro della regione, non costituisce una riduzione della bontà dei frutti che la terra dà (con la precisazione che esporremo in conclusione).
Si colmano con i lavori di bonifica le depressioni al fine di evitare il ristagno delle acque per cui si riesce a godere da quasi ogni lembo dell’agro lo spettacolo della distesa marina; per l’intera giornata lo sguardo di chi vi vive e lavora, spostandosi nei frequenti punti rialzati, incrocia lo scenario marittimo, una veduta davvero incantevole. Il nostro ambito oggetto di bonifica ha la peculiarità di essere, per così dire, fronte mare, fatto che lo rende pittoresco, distinguendolo dall’Agro Pontino e dal Tavoliere delle Puglie, i più rappresentativi comprensori bonificati. Il Basso Molise non è, dunque, panoramicamente inferiore nei confronti dei territori superiori altitudinalmente che stanno alle sue spalle, il Molise Centrale e l’Alto Molise. Gli interventi che hanno interessato questi territori sono suddivisibili in 3 fasi: la prima, iniziata con la legge Serpieri alla fine dell’ ‘800 è stata quella della vera e propria opera di bonifica, con l’epica lotta per addomesticare un contesto naturale ostile, culminata, in coerenza con il termine lotta usato, nella
Battaglia del Grano ingaggiata dal Fascismo nel periodo dell’Autarchia per conquistare, sempre per quella questione della lotta, appezzamenti da coltivare, ad indirizzo, va sottolineato, cerealicolo. La fase successiva alla politica mussoliniana per l’incremento delle superfici coltivabili è stata la degasperiana Riforma Agraria, un’iniziativa di redistribuzione fondiaria che ha anch’essa il sapore di un’epopea. Si ha la ripartizione in poderi, in lotti assomigliando ad una colonizzazione, della campagna appena bonificata, il sogno per cui aveva lottato Luca Marano il protagonista delle Terre del Sacramento il quale, però, non poté vederlo realizzato in quanto il testo letterario è di poco precedente all’azione riformatrice del governo De Gasperi.
La Storia non si fa per salti, qui invece ce ne sono ben tre, le fasi storiche delle quali stiamo per raccontare la terza, costituiscono altrettanti salti. In quest’ultima fase si ha, con linguaggio manageriale, tanto un’ “innovazione di processo”, quanto un’ “innovazione di prodotto”. La prima “innovazione” è rappresentata dall’industrializzazione, processi industriali, in agricoltura che, insieme all’irrigazione permessa dalla costruzione della diga del Liscione, ha portato all’intensificazione colturale con l’impianto di colture specializzate (frutteti e ortaggi). La seconda “innovazione” si traduce nella coltivazione di una varietà contenuta di prodotti per assecondare le esigenze del mercato agroalimentare ormai massificato, se non una omologazione dei singoli frutti che devono avere dimensioni costanti (es, poche specie di pesche, tutte della stessa grandezza). Si industrializzano financo le produzioni tipiche, vedi la Tintilia, un vitigno che adesso alligna pure sulla costa. Le fasi 2 e 3 sono accomunate dall’ampliamento del perimetro d’azione delle politiche di trasformazione agraria che non è ristretto più solo alla pianura poiché comprende anche le aree collinari fiancheggianti questa per conseguire un’organizzazione territoriale omogenea e razionale dei distretti rurali costieri presi per intero.
5 - Le spiagge, un bene pubblico
La spiaggia è una risorsa fondamentale per il turismo e per lo svolgimento del tempo libero all’aperto degli stanziali oltre che dei visitatori. Si direbbe che è un bene di natura che ci è stato messo a disposizione gratuitamente, niente di più sbagliato. La sua mobilità, in avanti cioè l’avanzamento del litorale o indietro, l’arretramento dello stesso, per fasi alternate, provoca evidenti problemi allo sfruttamento della costa in termini di balneabilità. Si crede che tra i settori economici quello turistico legato al godimento delle bellezze ambientali sia quello più soft in termini di impatto delle opere connesse, quello che richiede le minori spese di investimento, la Dea Natura ti fa trovare bello e pronto il “capitale” di cui usufruire. Il patrimonio naturale, l’arenile sabbioso, occorre che sia custodito con cura o, di frequente, restaurato.
La fila quasi ininterrotta di scogliere rocciose che fronteggiano la riviera adriatica per evitare che venga erosa dai marosi costa (adesso indicativo presente del verbo costare) assai. Il risultato è l’artificializzazione della linea costiera e una gran quantità di denari buttati letteralmente a mare. É davvero oneroso il mantenimento dell’integrità dello spazio destinato ad accogliere i bagnanti. Si tratta di fondi pubblici destinati a proteggere un bene pubblico che, dunque, non può essere oggetto di una privatizzazione selvaggia. Lo sforzo finanziario sostenuto dall’amministrazione pubblica si giustifica se finalizzato a soddisfare un bisogno pubblico, si insiste su questo termine, quello del godimento del mare da parte della collettività e non meramente per fare cassa, cioè per incamerare gli oneri concessori dovuti dai titolari dei bagni, la dizione di un tempo. La tanto contestata direttiva Bolkenstein ha proprio il limite di una visione mercantilistica limitandosi a pretendere l’effettuazione di aste per la concessione degli stabilimenti, la concorrenza è un argomento classico delle economie di mercato. Non traspare in tale disposizione dell’Unione Europea la preoccupazione che venga assicurato l’accesso il più ampio possibile della cittadinanza alla marina, la fruizione da parte di tutti delle spiagge, non solo di quelle classificate “libere” dai Piani Spiaggia, la Regione ha predisposto il suo. Si ricordano i benefici che la vicinanza al mare apporta al nostro benessere corporeo, dalla elioterapia all’inalazione di iodio con la respirazione dell’aria salmastra oltre che per la pratica del nuoto, uno sport particolarmente salutare, un’aggettivazione che usiamo visto che stiamo palando di salute.
Le spiagge a ingresso libero non sono certo in grado di accogliere quell’enorme massa di persone, molisane e forestiere, che si riversa sul litorale nel periodo estivo e, poi, i fabbisogni sono differenti, c’è chi ha il piacere di avere alcune comodità, dalla sdraio alla doccia fino al punto di ristorazione. Di fronte a questa domanda variegata è giusto anche che sia contemplata l’opzione di potersi recare presso le spiagge attrezzate per usufruire dei servizi che i concessionari offrono. Occorre che siano soddisfatte le esigenze di ogni classe sociale calmierando i prezzi o anzi meglio ponendo un tetto massimo agli stessi per l’ingresso ai lidi, i gestori dei quali, evidentemente, saranno indotti a ridurre le facilities offerte ai clienti, ad esempio le capannine o le pagode, ma qui da noi non si è ancora manifestata la richiesta di tali strutture al posto dei puri e semplici ombrelloni. Perciò prima di ammettere la presenza di lidi iperdotati di attrazioni, senza escludere per principio l’esistenza di stabilimenti eleganti e, però, cari, è indispensabile verificare che sia garantita la disponibilità di spiagge per chi non vuole o non può spendere molto.
Dato che la “capacità” balneare diminuisce al diminuire della profondità della superficie sabbiosa, meno posti per gli ombrelloni, si dovrà imporre, qualora la battigia si sposti all’indietro, come sta succedendo in alcune porzioni della costiera di Campomarino, il restringimento delle pedane in legno sulle quali si installano manufatti per ristoranti, sale giochi oppure solarium, non, ovviamente, servizi di base. Durante il periodo di durata della concessione marittima sarà obbligatorio, per equità, rimodulare l’importo fissato per il danno provocato agli assegnatari dal fenomeno della ritrazione della costa. Vi sono posti in cui l’assottigliamento della striscia di sabbia fa sembrare l’arenile un’appendice al ristorante e non il viceversa, cioè il luogo di ristoro non è in appoggio ai bagnanti come dovrebbe per regola. È corretto che sia gratuita l’assegnazione della spiaggia alle “colonie” marine, una istituzione sociale meritoria della quale oggi è rimasta unicamente la memoria affidata a un esemplare rappresentativo della particolare tipologia edilizia nel territorio campomarinese.
Un discorso a parte meritano gli stabilimenti balneari allineati al lungomare di Termoli i quali per la gradevolezza della passeggiata che si può effettuare in ogni periodo dell’anno si rivelano utili attrezzature ricreative anche per residenti; va considerato che ubicati come sono più in alto della cimosa, sul terrazzo morfologico che fissa il limite della banda sabbiosa, da essi si apprezza bene il panorama marino. La città adriatica ha anche una bellissima spiaggia urbana, la quale è valorizzata dalla contiguità con il castello. È a due passi pure dal movimentato centro cittadino e nonostante si avverta l’eco delle attività che si svolgono in questa parte centrale e nevralgica dell’abitato ci si sente in un angolo tranquillo, appartato, protetto dalla falesia che lo delimita; qui diversi servizi di spiaggia, prendi bar e ristoranti, sono sostituiti da esercizi analoghi che persistono nel contesto urbanizzato viciniore. C’è, poi, ancora nel perimetro comunale termolese, la questione del cosiddetto litorale nord in cui gli insediamenti abitativi turistici sono disposti in linea in maniera serrata a formare una schiera compatta di volumi edilizi parallela all’Adriatico; essi rappresentano una barriera perlomeno psicologica che riduce l’accessibilità alla fettuccia, in quanto stretta, litoranea. Occorrerebbe attrezzare adeguatamente, cioè anche prevedendo accorgimenti per il superamento delle “barriere architettoniche” da parte dei portatori di handicap, dei varchi per il transito di chiunque voglia raggiungere la battigia antisante i residence. Infine, va detto che vi sono ambiti della costa preclusi alla balneazione in quanto di grande rilievo naturalistico al fine di salvaguardare innanzitutto le dune ed, in effetti, ciò è contemplato nel Piano Spiaggia; è vietato fare il bagno pure nei dintorni dello scarico dei depuratori.
6 - le mura aragonesi di Termoli
Passeggiare al di sopra del coronamento della cinta muraria procura una sensazione davvero piacevole ai turisti data la posizione delle mura giusto a ridosso della battigia. È una situazione geografica unica che non trova riscontro nei paraggi, Ortona è anch’essa prospiciente la distesa acquosa, ma sta assai più in alto di Termoli per cui non avverti l’Adriatico così vicino. Il confronto con altre località costiere vede in vantaggio la cittadina molisana anche per il seguente aspetto: il costone su cui essa sorge è proteso nell’acqua, non semplicemente accostato alla linea di costa (costone, accostata, costa…) per cui si prova l’emozione di sentirsi immersi, un’esperienza immersiva senza ombra di dubbio, nel Mediterraneo, dunque un insediamento, il nostro, in senso proprio marino. Il godimento che si prova percorrendo tale camminamento, sveliamo subito, di ronda è capace di non farci percepire la sua natura di componente essenziale del sistema difensivo creato per il respingimento dei nemici provenienti dal mare.
Attualmente la vista che si apre da lì è considerata meravigliosa, in origine lo sguardo mirava a scovare possibili minacce all’orizzonte e, pertanto, era preoccupato. Se si tiene conto che le murazioni sono di epoca aragonese e, quindi, coeve all’invenzione della polvere da sparo ci si rende, sempre, conto che la quota topografica, la quota, è il caso di dirlo, sul livello del mare, degli spalti è idonea per l’impiego dei cannoni. Infatti il loro tiro è di tipo radente e ciò permette di colpire d’infilata se sono a portata di tiro cioè se la gittata è sufficiente le imbarcazioni degli assalitori (le palle scagliate con un alzo prestabilito seguono una traiettoria appena parabolica). Il tiro sarebbe stato piombante se l’altezza fosse stata maggiore, ma ciò non è appropriato per i cannoni. Le mura sono, in effetti, un rivestimento del fronte roccioso che rende la parete liscia, priva di appigli, per non consentire agli assaltanti di arrampicarsi. Il muretto in cima alle mura è una specie di parapetto e tale contenuta dimensione verticale permette oggigiorno un comodo affaccio per ammirare lo scenario acquatico. È da evidenziare, poi, che il masso su cui si è insediata Termoli ha una morfologia sostanzialmente tabulare e seppure non lo fosse nella sua fascia più esterna l’eventuale declivio sarebbe stato appianato, colmati i dislivelli in quanto è indispensabile che le truppe si spostino velocemente da un punto all’altro, alla bisogna, del bastione, magari con l’artiglieria al seguito; l’essere pianeggiante, cadute ai nostri giorni le motivazioni militari, è positivo incrementando la piacevolezza della passeggiata.
L’orizzontalità delle mura in sommità, in altri termini, era utile in quel tempo per l’efficienza della difesa del «borgo antico», come è denominato quello termolese e adesso in prospettiva turistica. Bisogna, inoltre, rimarcare una particolare caratteristica di questo percorso che la distingue dalle vie urbane tradizionali, la quale la si espone di seguito: il tracciato stradale che si sviluppa lungo il perimetro murario ha una notevole larghezza e la ragione è che esso insiste sulla striscia intramuraria chiamata nell’antichità pomerio, una fetta di terreno lasciata libera dall’edificazione tanto per consentire i movimenti della guarnigione quanto per evitare l’esposizione dei fabbricati al fuoco ostile (sulle navi non sono montate catapulte). Solamente nel fronte del porto vi sono caseggiati che hanno le facciate a filo del fronte lapideo, non è un gioco di parole. Dal punto di vista turistico una sezione trasversale così ampia e continua invoglia acché la strada di, per così dire, circonvallazione venga attrezzata quale terrazza panoramica “lineare”. Ci vuole coraggio a vivere così vicino al mare soggetti come si è agli attacchi dei predatori che giungono dal largo, prendi i saraceni che si annidavano nelle calette delle non lontane isole Tremiti, ma d’altrocanto qualche presidio doveva pur esserci per impedire ai pirati di attraccare nelle due piccole insenature poste ai due lati opposti della “penisoletta” in cui si è attestato il nostro centro, non ci sono ulteriori “baie” in tutta la costiera molisana.
Tale decisione coraggiosa è ripagata dalla facoltà di ormeggiare le barche da pesca nella darsena naturale che sta a meridione, all’epoca porticciolo peschereccio che nel tempo è evoluto in porto latamente marittimo; i pescatori, una volta sbarcati possono raggiungere in breve tempo (non c’era, certo, la scala a chiocciola che da un paio di decenni conduce dal molo al nucleo medioevale) le proprie residenze. L’audacia del passato ha ricevuto un premio nel presente, davvero considerevole, consistente nella potenzialità di fare i bagni a ridosso, per una parte, della cintura muraria, vedi la spiaggia urbana di S. Antonio che è ai piedi del castello. Tale ubicazione rischiosa era doverosa per prevenire le incursioni moresche, mettendo al sicuro i paesi dell’intorno, rimanendo insidiosa per la città la quale non è un centro qualsiasi ospitando la cattedra vescovile, una preda appetibile in sé. L’armata navale turca che bombardò Termoli nel 1560 non era interessata all’invasione dell’entroterra, bensì all’occupazione di questo caposaldo, in riguardo al ruolo strategico che giocava, di un territorio di frontiera, di primario interesse poiché estremo lembo orientale del vicereame di Napoli, “confine di Stato”. L’elevazione del blocco roccioso che è alle fondamenta dell’agglomerato, per concludere, non era garanzia sufficiente, altrove bastavano le asperità orografiche, non ogni “terra” è murata, non è bastevole che il rilievo fosse rilevato per la salvaguardia dell’abitato; per decisione delle autorità centrali, ovvero il re aragonese, il borgo fu fortificato, una decisione decisiva sul futuro di questo antico aggregato urbanistico che cinto di imponenti mura costituisce una delle principali emergenze paesaggistiche della regione.
7 - I Trabucchi
I trabucchi sono un oggetto sorprendente e anche davvero emozionante che rende ancora più attraente il nostro litorale; stanno pure nel tratto contiguo della costiera abruzzese, non in tutta così come accade in quella molisana dove i trabucchi sono concentrati in un unico segmento della riviera, quello termolese. I trabucchi, infatti, funzionano bene quali strumenti da pesca se i fondali sono sufficientemente profondi, la grande rete appesa ai pennoni impiantati su questa piattaforma impiantata, a sua volta, nell'acqua necessita di un certo pescaggio altrimenti si affloscerebbe sul fondo del mare; la profondità utile va raggiunta non troppo distante dalla battigia perché se no la passerella per arrivare a questa specie di palafitta sarebbe troppo lunga. Nella costa bassa è come se la spiaggia proseguisse, degradando lentamente, al di sotto della superficie marina; essa è, in fin dei conti, la parte emersa del suolo che troviamo sott’acqua. In altri termini la spiaggia rappresenta un affioramento, che avviene gradualmente, della distesa sabbiosa sottomarina. L'inclinazione del terreno, in questo caso invece della terra c'è la sabbia, letteralmente sotto il livello del mare nelle rive dell'Adriatico è modesta ragion per cui per trovare una batimetria idonea alla pratica della pesca bisogna allontanarsi di molto dall'arenile; ciò implica che i pontili a servizio dei trabucchi dovrebbero avere una lunghezza consistente.
Nella costa alta, la falesia sulla quale sorge Termoli e la ripa teatina, la colonna d'acqua in prossimità della terraferma è sufficientemente alta, quindi idonea per pescare; il sottofondo del mare è formato qui da un basamento roccioso il quale non è altro che l’inabissamento della roccia che spunta fuor d’acqua. Del resto, vi immaginate un trabucco impostato su una costa bassa, in cui peraltro sarebbe difficile ancorarlo, con la passerella non sorretta da sostegni verticali in quanto sarebbero troppo corti, bensì galleggiante; essa si troverebbe a correre per centinaia di metri a pelo d'acqua e, dunque, essendo aderente allo specchio d'acqua, sarebbe soggetta alle oscillazioni prodotte dal moto ondoso e ai «cavalloni» marini. I trabucchi posti come sono nell'interfaccia terra-mare sono estremamente sensibili alle conseguenze prevedibili dei cambiamenti climatici tra le quali vi è quella dell'innalzamento dei mari a seguito dello scioglimento del ghiaccio ai poli; i trabucchi che vi sono attualmente rischiano di essere sommersi. Finora, in verità, abbiamo assistito al fenomeno contrario, non quello della ritrazione della linea litoranea, bensì del suo avanzamento; il Trabucco di Riovivo è rimasto in "secca" dopo i lavori al porto per cui tale località rivierasca che era, in gergo tecnico, sottoflutto è diventata sito di deposito dei detriti terrigeni trasportati dalle onde. Ciò in tempi recenti, mentre in tempi remoti di quanto accadeva ne abbiamo testimonianza a sud di Campomarino dove incontriamo molto distanti dalla marina autentiche dune fossili. Va considerato, inoltre, che le coste basse adriatiche sono fronteggiate da una teoria pressoché continua di barriere frangiflutto a protezione e per favorire il ripascimento della spiaggia, fondamentale risorsa turistica; tale cordone di massi ciclopici costituisce un ostacolo, a meno di volerlo scavalcare, all'apposizione dei trabucchi, pure qualora vi fossero quelle condizioni idrometriche di cui si è detto. Scogliere a parte, sulle coste basse occupate come sono da un nastro continuo di stabilimenti balneari disposti, con altra espressione, in formazione serrata dirimpetto all'Adriatico è inimmaginabile la sottrazione di un pur minimo pezzettino di bagnasciuga. La costa bassa è interrotta oltre che dal promontorio in cui è ubicato Termoli anche da alcuni punti rialzati, cioè è punteggiata da tratti, piccoli, di costa alta sfruttati, essendo luoghi di scolta, per erigervi torri di difesa contro i saraceni: per salvaguardare l'immagine di questi beni culturali non è ammissibile l'affiancamento ad essi di un trabucco.
C’è, poi, la questione della marea che nel Mediterraneo è un fenomeno di poco conto, non è significativo l'aumento della quota del mare, per cui essa non ha incidenza nel posizionamento dei trabucchi. I trabucchi stanno isolati, non sono disposti in serie, adesso cambiamo argomentazione, e da qui ne deriva che non hanno alcuna somiglianza, se non che hanno entrambe le cose i piedi a mollo, con le palafitte degli uomini primitivi le quali sono riunite insieme a formare villaggi, le "terramare" della civiltà villanoviana. Non sono evocativi degli insediamenti terramaricoli della preistoria e invece a livello emotivo richiamano le capanne che i naufraghi costruiscono su isolotti deserti. Tra ‘700 e ‘800 in contemporanea con l'avvio dell'era industriale e in contrapposizione a questa si diffuse il mito del superstite di un naufragio che si trova a vivere in un'isola sperduta, a contatto con la natura; tale fascinazione risulta rinvigorita nel momento attuale dall'attenzione forte che si registra verso l’ecologia. Il trabucco è in legno materiale riciclabile, non è servito da linea elettrica, non è raggiunto dalla
conduttura idrica, appare come un ricovero improvvisato proprio uguale al capanno di Robinson Crusoe. Il trabucco è sentito la stregua di un rifugio ideale dove evadere dal trambusto della vita quotidiana. È una delle rare cose che è resistita alla modernizzazione, che è sfuggita all'ammodernamento tecnologico, il pescatore che utilizza il trabucco ripete gesti che si perdono nella notte dei tempi.
8 - Il paesaggio bassomolisano
La fascia costiera è un pezzo di territorio profondamente diverso dal resto del territorio molisano. Si tratta di una striscia di terreno piatto bordato da spiagge sabbiose che va sfumando verso l’interno negli appezzamenti agricoli. Eccetto Termoli non vi sono centri abitati ubicati sul mare e la continuità del litorale risulta spezzata solo da alcuni corsi d’acqua, tra i quali vi sono il Trigno e il Biferno, che sono i principali, e poi il Mergolo, il Tecchio, il Rio Vivo e il Saccione. In effetti le foci di questi fiumi pur se costituiscono delle interruzioni dell’andamento continuo della costa non sono, comunque, delle cesure significative perché non si tratta di delta o estuari. Non siamo, infatti, di fronte a sbocchi dei fiumi nel mare larghi, i quali servono a creare un’osmosi tra corso d’acqua e mare, ma di innesti diretti senza quelle zone cuscinetto rappresentate dalle foci vere e proprie. Si hanno così difficoltà di deflusso e ciò ha reso necessario, tra le due guerre mondiali, la realizzazione di impianti idrovori che sollevano meccanicamente le acque prive di scolo. I relitti delle prime idrovore sono ancora visibili in alcuni tratti di costa. Tali impianti sono legati alla trasformazione agricola di questo ambito, la quale ha richiesto imponenti azioni per la bonifica e l’irrigazione dei suoli. I canali di bonifica e le canalette a scopo irriguo hanno il comune problema di disciplinare lo scorrimento spontaneo delle acque.
Prima della conquista all’agricoltura della zona litoranea, iniziata con la legge Serpieri alla fine del XIX secolo, vi erano molte paludi come ricordano ancora i toponimi di «pantano» e di «fantina» presenti nell’area. La causa principale di ciò era l’esistenza di una fascia dunosa lungo l’arco costiero che impediva il deflusso dell’acqua. Solo una parte dei cordoni di dune litoranee è sopravvissuta; anche se esse hanno ormai perso il loro originario assetto. Le dune che formavano un peculiare ecosistema fatte come sono di sabbia spinta dal vento e colonizzate da vegetazione che le stabilizza sono ora dei relitti. Molte dune sono state occupate dalle pinete piantate nel secolo scorso. Non solo le dune sono mobili, ma anche la linea di costa. I litorali bassi e sabbiosi quali quelli molisani sono particolarmente fragili. Qui l’erosione è più sensibile che nelle coste alte e, pertanto, opere come le banchine dei porti turistici (quello in progetto a Montenero di Bisaccia) o il molo foraneo del porto di Termoli, che per le sue dimensioni incide sul ciclo marino, possono determinare l’avanzamento in qualche lato o l’arretramento in altri della linea di battigia. Gli attracchi sia pescherecci che turistici non sono gli unici elementi antropici a condizionare l’ambiente costiero. Le coste basse sono molto sensibili e, quindi, il fattore umano può incidere in modo significativo sull’ecosistema litoraneo. Le attività dell’uomo in un lasso temporale veramente breve, gli ultimi 50 anni, hanno occupato tante porzioni di costa che così si sono rapidamente degradate. Stanno crescendo, di conseguenza, i conflitti di competenza amministrativi che rispecchiano i contrasti tra i numerosi interessi che si affacciano sul mare. Si pensi al difficile problema delle superfici rivendicate dal Demanio a Campomarino Lido che sono quelle che il Comune ha scelto per la creazione del centro turistico. Le esigenze della pesca, della difesa della costa dall’erosione, della balneazione, della tutela ambientale, dello sviluppo edilizio non sempre vanno insieme e ciò rende problematica la loro convivenza in questa sottile striscia del territorio prossimo al mare dove tali attività si affollano.
Il litorale molisano sembra ormai saturo: le attrezzature turistiche hanno progressivamente occupato ogni spazio libero. Sono pochi i pezzi di costa ancora intatti. Il piano degli arenili predisposto dalla Regione se non può salvaguardare i residui di litorale ancora integri, tenta di impedire la privatizzazione dei valori costieri determinata dalla eccessiva continuità degli stabilimenti balneari e dalla fila di edifici turistici prospicienti il mare specie nella zona litoranea a nord di Termoli che impedisce l’accesso alla spiaggia a tutti. Per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici, oggetto di attenzione nel rifacimento in corso dei piani paesistici, si può dire che nella costa molisana vi è scarsa varietà dal punto di vista morfologico. Le spiagge di una fascia litoranea bassa come la nostra hanno una ampia estensione e ciò ne rende monotona l’immagine. L’unico elemento singolare è costituito dalla falesia sulla quale si sviluppa Termoli, la quale è una propaggine collinare che si tronca bruscamente sul mare. Dal borgo antico di Termoli, posto com’è su uno spuntone roccioso proteso sul mare è possibile ammirare un vasto panorama benché sia di altezza limitata, in quanto in pianura da un qualsiasi rilievo, pur piccolo, si può osservare una grande porzione di territorio. È un piacevole spettacolo quello che si gode e mai ripetitivo perché il paesaggio costiero non è un paesaggio dato, fermo, ma un paesaggio che vive le stagioni, se non altro perché in quella estiva cambia radicalmente aspetto per le file interminabili di ombrelloni che poi in autunno scompaiono lasciandoci libera l’immagine più vera della costa.
9 - Le Tremiti e la costa molisana
La zona costiera è la parte del Molise maggiormente investita da processi di trasformazione, da un lato perché trattasi di una fascia, una delle poche, di terreno pianeggiante presenti nella regione il quale è la condizione morfologica favorevole per gli insediamenti abitativi e produttivi e per il passaggio di infrastrutture viarie e ferroviarie, dall’altro lato per la presenza del mare, un forte “attrattore” turistico. Non tutto è oro quello che luccica perché è anche un ambito in cui si registrano forti pressioni sull’ambiente. Vediamo quali sono le minacce maggiormente preoccupanti. Vi è l’ampliamento del porto di Termoli con la costruzione di una diga foranea assai lunga la quale adiacente com’è al Borgo antico ne altererà l’immagine che è poi quella tipica del villaggio di pescatori mediterraneo separando in un lato l’esteso muro il promontorio su cui sorge dalla distesa marina. Il porto è un’opera di grande impatto: in un precedente intervento di allargamento del bacino portuale si era dovuto deviare il corso del Rio Vivo che qui sfociava, il cui trasporto di detriti, più o meno, solidi avrebbe richiesto continui lavori di dragaggio. In prossimità del nucleo medioevale della cittadina adriatica, questa volta sulla terraferma, vi è il progetto per il momento sospeso (non vi è notizia che sia stato ritirato) di costruzione di un megaparcheggio interrato, mentre è fuori terra, parzialmente, il residence contenuto nella stessa proposta progettuale il quale dovrebbe fronteggiare da vicino proprio il Castello Svevo, uno dei principali monumenti molisani. Non è solo il “capoluogo” del comprensorio litoraneo ad essere oggetto di tentativi di manomissione ambientale. Il più “audace” è quello dell’edificazione di un complesso turistico-residenziale denominato South Beach a Montenero di Bisaccia. Esso inventato dal nulla è un insieme di volumi architettonici di grandi dimensioni che si sviluppano di molto anche in altezza. Tale agglomerazione edilizia, tra l’altro, soffocherebbe il tratturo che vi cammina in mezzo. Oggi è allo stato di ipotesi, ma non si ha certezza che si sia soprasseduto alla sua attuazione. A trasformare il paesaggio, adesso marittimo e non terrestre, vi è l’installazione in previsione di una serie di torri eoliche a mare che se apporta indubbi benefici alla bilancia energetica rappresentando un contributo alla riduzione delle emissioni climalteranti ha, comunque, conseguenze sull’integrità del panorama marino. Le politiche di mitigazione da mettere in campo per far fronte ai cambiamenti climatici dovrebbero contenere misure per favorire l’arretramento dalla battigia delle attività antropiche con divieti, ovviamente, per nuove edificazioni prospicienti la spiaggia in quanto è prevedibile l’innalzamento del livello del mare se non si riuscirà ad arrestare il riscaldamento globale del pianeta e, però, di ciò si discute ancora poco.
La costa molisana, si avverte stiamo passando ad un nuovo argomento, presenta una unicità nella riviera adriatica ed è quella di avere un dirimpettaio che è costituito dalle Isole Tremiti. Pur se fronteggianti e pur se a distanza contenuta sono ambiti territoriali completamente dissimili non fosse altro che dal punto di vista fisiografico. Le ragioni geografiche, geologiche, ecc. sono davvero dirimenti anche se concorrono, in maniera indubbiamente meno incisiva a determinare la diversità delle problematiche tra questi due comprensori che si affacciano sullo stesso specchio d’acqua dai lati opposti pure motivi legati al fattore antropico. Non, certo, va detto, a vincoli morfologici perché sono entrambi territori abbastanza pianeggianti, non sono le Tremiti isole vulcaniche, quindi occupate da qualche rilievo montuoso, vedi le Eolie, idonei all’edificazione. La principale differenza sta nel regime di proprietà dei suoli che nelle Tremiti in origine è tutta demaniale. Un demanio militare come si conviene a una fascia costiera sulla quale, ovunque, ha sempre gravato una servitù legata alle esigenze di difesa nazionale perché qualsiasi litorale è letteralmente Confine di Stato. Contrariamente a quanto si verifica sul continente dove la parte vincolata è limitata alla battigia in un’isola di dimensioni ridotte l’interfaccia con il mare essendo l’intero perimetro è, giocoforza poiché la porzione esclusa sarebbe una quota troppo limitata della stessa, tutta la sua superficie ad essere ricompresa nel vincolo. Da qui ne discende che poiché possesso statale lo spazio è rimasto sottratto alle spinte speculative che hanno investito invece le strisce litoranee continentali per la pressione del turismo.
Qua, cioè alle Tremiti, in proporzione alla loro grandezza l’occupazione di terreno ai fini della ricettività per vacanze è molto inferiore a quella che è avvenuta nelle zone marine della terraferma nonostante che, ancora in rapporto alla estensione, il flusso turistico sia molto superiore a quello dell’areale a vocazione balneare del Basso Molise. Gli unici lotti edificabili a disposizione dei privati in cui, in effetti, si è avuta la costruzione di alberghetti e locande e di, poche, residenze sono quelli che furono assegnati dal Governo ai deportati per farci la propria casa. E sì, i primi abitanti di queste isole, insieme alle prostitute inviate lì per permettere loro di mettere su famiglia, sono stati ex-detenuti. La colonia penitenziaria stava a S. Domino mentre S. Nicola apparteneva ad un’abbazia benedettina che era in loco fino al momento della soppressione degli ordini monastici avvenuta all’indomani dell’Unità d’Italia con incameramento da parte del pubblico dei loro beni. La colonia penale, comunque, va intesa ricomprendente la totalità dell’arcipelago poiché formato da isole, isolotti e scogli che sono vicinissimi fra loro, li dividono lingue di mare, non sono entità fisiche davvero separate; per spostarsi dall’una all’altra basta una barca a remi non navigli per guidare i quali occorrono conoscenze di marineria. In definitiva non si sbaglia assai se le si considera una sola isola, non componenti di un arcipelago. La condizione di insularità che è sinonimo di separatezza è relativa all’insieme e ciò rende tale raggruppamento di isole un sito ottimale per confinare i prigionieri.