A proposito di campane e campanili
1 - Le campane, alcune considerazioni
1 - Le campane, alcune considerazioni
Appare essere una regola nella civiltà del passato che più un oggetto è fatto di materiale prezioso più esso viene decorato; ciò è vero tanto più in campo liturgico dove le suppellettili sono invariabilmente in metalli di grande valore, quasi sempre oro e argento, trattandosi di cose sacre. Deve essere dotata di decori non solo l’oggettistica di lusso, ma pure l’utensileria la quale non manca di caratterizzarsi per un particolare design, per esempio l’impugnatura delle posate. L’arte invade la vita quotidiana permeando ogni artefatto, da quelli di uso comune a quelli per funzioni speciali, sia nel caso che siano destinati ad essere messi in vista sia se rimangono scarsamente percepibili. Tra questi ultimi vi sono le campane che sul loro mantello presentano incisioni, quindi in bassorilievo, o, viceversa, iscrizioni e raffigurazioni a soggetto religioso in rilievo: sono segni visibili solo dal “campanaro”. Talune decorazioni sono identificative della fonderia, mettiamo Marinelli, che ha prodotto la campana, una specie di marchio di fabbrica. Altre hanno uno scopo celebrativo come per le grandi campane realizzate ad Agnone in occasione dei Giubilei.
Generalmente le scritte e i disegni hanno una valenza votiva alla stessa maniera di una preghiera e poste come sono sull’estradosso della campana risultano rivolte verso il cielo (peraltro si è in cima al campanile) per essere “lette”, in quanto invocazioni grafiche, dalla divinità, mentre le orazioni che sono espressioni verbali sono da ascoltarsi da parte delle entità divine. Al di là della questione se si vede o meno le campane devono possedere una qualità estetica per la loro natura di opere consacrate; le campane ricevono una benedizione una volta, per così dire, sfornate, uscite dal forno in cui è avvenuta la fusione del bronzo, quindi al loro varo, e già prima che prende forma, al momento della colata di questa lega metallica negli appositi stampi ovvero controforme, vi è la recita dell’Ave Maria la quale cadenza tale operazione. Non è l’unica contraddizione quella della decorazione che non si vede perché vi è anche un altro aspetto che a proposito delle campane lascia perplessi ed è il seguente: se la campana, la materia di cui è costituita e la sua conformazione, non ha subito alcuna significativa modificazione nel tempo, il campanile, il quale non ha altra ragione funzionale che di fungere da supporto alle campane, un elemento accessorio, un manufatto di servizio, invece sì. Campana e campanile sono nati insieme, sono connessi l’un l’altro strettamente. Essi stabiliscono fra loro una relazione biunivoca, non c’è, è scontato, campanile senza campana e, al contrario, campana senza campanile, relationship che diventa addirittura triunivoca, se è consentito tale termine, qualora si aggiunga un terzo “soggetto” che è il cristianesimo: campana, campanile e religione cristiana fanno un tutt’uno. È un legame che sussiste fin dalle origini: la comparsa della campana e di conseguenza del campanile è avvenuta contestualmente all’affermarsi di tale credo. All’epoca dell’antica Roma non vi era nulla di simile, né campana né campanile.
La nuova fede arriva a diffondersi in tutto il nostro continente e il binomio campana-campanile arriva a diventare una specie di emblema dell’Europa. La torre campanaria arriva a costellare ogni paesaggio europeo, tanto urbano quanto rurale (nell’agro sono onnipresenti i conventi con l’immancabile campanile voluti da S. Benedetto che non per niente è il Patrono d’Europa). I campanili, dunque, sono un fattore dell’identità a scala continentale e nello stesso tempo, poiché così differenti fra loro, un connotato identitario a livello locale. Prendi il Molise in cui si trovano campanili, in qualche modo lo sono, a vela, con una coppia di campane nella parrocchiale di Pietrabbondante o ospitante solo una campana, chiesa di Faifoli a Montagano, campanili a pianta circolare (Campodipietra) e semicircolare (S. Polo), tutto il resto a sezione quadrata, campanili integrati nell’edificio di culto (Castelpizzuto) o distanziati da questo (S. Maria della Strada a Matrice), due così limite poiché di norma sono affiancati alla struttura ecclesiastica, campanili singoli, la maggioranza delle volte, o accoppiati, uno per lato della facciata della chiesa, come succede a S. Giuliano del Sannio e nella Basilica di Castelpetroso dove fanno a gara in altezza con la cupola, campanili con tetto aguzzo, a S. Massimo, o che terminano a terrazzo, a Vinchiaturo, oppure a bulbo, la copertura a cipolla maiolicata della chiesa barocca dell’Annunziata a Venafro. L’elenco potrebbe continuare a lungo; le tipologie di campanile sono tantissime e salvo nelle vele le campane sono identiche, quasi che quella della Pontificia Fonderia Marinelli fosse una produzione in serie, con poche varianti. Il “contenitore”, il campanile, assume sembianze differenti da Comune a Comune, mentre il “contenuto”, la campana, non varia, un vero enigma che si aggiunge all’altro mistero della pregevole fattura artistica della campana che neanche più il sacrestano vede essendo ormai le campane azionate da remoto. Il Museo della Campana presso lo stabilimento della fonderia è l’unico luogo in cui è possibile ammirarle da vicino, apprezzarne le loro mirabili fattezze frutto di una millenaria sapienza artigianale e, in continuità con il sito di fabbricazione, una magica atmosfera davvero.
2 - Le campane di Agnone
Prendendola un po’ alla larga, lo si ammette, iniziamo dalla notte dei tempi, in verità dalla preistoria, dicendo che il bronzo, quello di cui sono fatte le campane, ha segnato un’intera era dell’umanità, l’era del bronzo talmente tale materiale è stato decisivo nell’evoluzione della civilizzazione umana. Accorciando lo sguardo vediamo che esso ha giocato un ruolo nelle fortune della principale cittadina altomolisana, particolarmente prosperosa un tempo. Le campane sono fatte di una lega della quale il bronzo è la componente chiave; quest’ultimo, a sua volta, è costituito da rame e stagno, minerali che, di certo, non sono reperibili in loco, ma che provengono anche da molto lontano. Per procurarsi la materia prima dell’arte campanaria occorre, pertanto, rivolgersi a mercati specializzati, ragion per cui bisogna servirsi di intermediari. Va precisato che, data la notevole distanza, sarebbe complesso approvvigionarsi direttamente presso le miniere. Hanno, in definitiva, nel processo produttivo delle campane un posto rilevante i mercanti i quali provvedono sia al rifornimento degli “ingredienti” (è, in effetti, un’antica ricetta) per la fabbricazione delle campane, intervenendo quindi “in entrata”, sia, adesso “in uscita” e con un peso specifico inferiore come vedremo dopo, alla cosiddetta commercializzazione del prodotto. Mercati, mercanti, è, cioè, il periodo del “mercantilismo”, la fase storica che si associa all’affermazione della civiltà urbana. Le città, con le loro piazze sedi delle attività mercantili, crescono di importanza diventando entità insediative ben distinte dal resto dei nuclei abitati e assurgono a poli di riferimento del contado non solo perché più popolose. Il carattere “cittadino” così visibile “in” Agnone non è frutto di qualche eredità storica, non era un municipium romano, né di investiture ecclesiastiche, non vi è la cattedra vescovile, bensì alla sua natura di centro di elevata produzione artigianale (campanari, ramai ovvero “callarari”, in primis); per la sua ricchezza poté riscattarsi dal giogo feudale e essere nominata città-regia.
No, non ci si è dimenticati di fornire una spiegazione sul perché gli agenti di commercio come li chiamiamo oggi non fossero indispensabili per procacciare la clientela cui smerciare le campane ed è la seguente: la campana che esce dalla fonderia non necessita di essere messa in commercio semplicemente perché essa, lo specifico esemplare, è stata realizzata su commissione e perciò il cliente è pre-stabilito. L’addetto commerciale ha il mero compito, magari, di effettuare l’”analisi di mercato” sui potenziali committenti (è facile in quanto si basa sui campanili esistenti) presentando loro il campionario della ditta dei modelli di campane. C’è, in più, da sottolineare che la fonderia Martinelli ha una “centrale di committenza” privilegiata che è il Vaticano per cui può fregiarsi del titolo di Pontificia Fonderia. Un altro chiarimento doveroso riguarda l’associazione che si è proposta tra fioritura, si badi al termine che non è nascita, dell’artigianato e età del mercantilismo il quale va dal XV al XVIII secolo, ed è il seguente: la tradizione campanaria agnonese risale all’anno 1000, la fonderia Marinelli è forse la più remota al mondo, e alle origini la fabbricazione delle campane avveniva lì dove dovevano essere installate (da questo modo di fabbricare deriva il metodo “a cera persa” adottato tuttora), troppo oneroso sarebbe stato il trasporto; la risoluzione di tale problema è stata l’introduzione di una figura specialistica, la professione del trasportatore detentore dei carri e delle bestie da soma e ciò nell’ottica della divisione del lavoro i cui prodromi si hanno nel mercantilismo e la piena attuazione nel capit-olo successivo della storia economica che è il capit-alismo. Abbiamo appena usato la parola capitolo riferendola ad un momento dell’evoluzione storica e ora la utilizziamo per aprire un nuovo discorso, un nuovo capitolo, quello delle ricadute delle fonderie, in passato erano diverse, sulla società del posto. Esse hanno dato un contributo notevole a creare l’effetto città, quell’atmosfera di aggregato urbanistico di prim’ordine che si avvertiva, e ancora in qualche modo si avverte, entrando “in” Agnone. Il commercio, in ingresso delle sostanze minerali e in partenza dei manufatti finiti, riguardante la produzione campanaria si riverbera sull’intera
economia agnonese: i contatti che si instaurano nei siti di approvvigionamento del metallo allo stato grezzo e in occasione della consegna delle opere realizzate non si riducono solo alla stipula dell’atto di compravendita, ma incentivano inevitabilmente l’instaurarsi pure di una diversa tipologia di scambi, umani e culturali, l’intrecciarsi di rapporti tra le persone. Va considerato poi che l’acquirente e il venditore sono portati spesso a scambiarsi i ruoli, per cui le transazioni non si limitano alle campane, coinvolgendo anche altri oggetti delle botteghe manifatturiere agnonesi, specie le celebri lavorazioni in rame. Le contaminazioni non sono solamente di tipo materiale coinvolgendo anche la sfera intellettuale e lo dimostra la semplice seguente osservazione: le campane hanno forme uguali in tutto il continente e pertanto sono frutto di una sapienza tecnica condivisa. Vi deve essere stata una trasmissione di conoscenze tecnologiche a scala addirittura internazionale che è iniziata in epoca medioevale la quale è stata caratterizzata da una forte mobilità degli individui all’interno dell’Europa, vedi i clerici vaganti i quali contribuirono alla formazione di una cultura unitaria europea. In ultimo, anche se non sono le conclusioni, piuttosto un’aggiunta, va rilevato che le campane non sono degli artefatti esclusivamente utilitari, quali le caldaie, callare, in quanto ambiscono ad avere un valore artistico per cui sono decorate sul “mantello” con fregi e iscrizioni, di solito a soggetto devozionale essendo, il più delle volte, a servizio delle funzioni liturgiche con i loro rintocchi che richiamano i fedeli ai riti religiosi.
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Appare essere una regola nella civiltà del passato che più un oggetto è fatto di materiale prezioso più esso viene decorato; ciò è vero tanto più in campo liturgico dove le suppellettili sono invariabilmente in metalli di grande valore, quasi sempre oro e argento, trattandosi di cose sacre. Deve essere dotata di decori non solo l’oggettistica di lusso, ma pure l’utensileria la quale non manca di caratterizzarsi per un particolare design, per esempio l’impugnatura delle posate. L’arte invade la vita quotidiana permeando ogni artefatto, da quelli di uso comune a quelli per funzioni speciali, sia nel caso che siano destinati ad essere messi in vista sia se rimangono scarsamente percepibili. Tra questi ultimi vi sono le campane che sul loro mantello presentano incisioni, quindi in bassorilievo, o, viceversa, iscrizioni e raffigurazioni a soggetto religioso in rilievo: sono segni visibili solo dal “campanaro”. Talune decorazioni sono identificative della fonderia, mettiamo Marinelli, che ha prodotto la campana, una specie di marchio di fabbrica. Altre hanno uno scopo celebrativo come per le grandi campane realizzate ad Agnone in occasione dei Giubilei. Generalmente le scritte e i disegni hanno una valenza votiva alla stessa maniera di una preghiera e poste come sono sull’estradosso della campana risultano rivolte verso il cielo (peraltro si è in cima al campanile) per essere “lette”, in quanto invocazioni grafiche, dalla divinità, mentre le orazioni che sono espressioni verbali sono da ascoltarsi da parte delle entità divine. Al di là della questione se si vede o meno le campane devono possedere una qualità estetica per la loro natura di opere consacrate; le campane ricevono una benedizione una volta, per così dire, sfornate, uscite dal forno in cui è avvenuta la fusione del bronzo, quindi al loro varo, e già prima che prende forma, al momento della colata di questa lega metallica negli appositi stampi ovvero controforme, vi è la recita dell’Ave Maria la quale cadenza tale operazione. Non è l’unica contraddizione quella della decorazione che non si vede perché vi è anche un altro aspetto che a proposito delle campane lascia perplessi ed è il seguente: se la campana, la materia di cui è costituita e la sua conformazione, non ha subito alcuna significativa modificazione nel tempo, il campanile, il quale non ha altra ragione funzionale che di fungere da supporto alle campane, un elemento accessorio, un manufatto di servizio, invece sì. Campana e campanile sono nati insieme, sono connessi l’un l’altro strettamente. Essi stabiliscono fra loro una relazione biunivoca, non c’è, è scontato, campanile senza campana e, al contrario, campana senza campanile, relationship che diventa addirittura triunivoca, se è consentito tale termine, qualora si aggiunga un terzo “soggetto” che è il cristianesimo: campana, campanile e religione cristiana fanno un tutt’uno.
È un legame che sussiste fin dalle origini: la comparsa della campana e di conseguenza del campanile è avvenuta contestualmente all’affermarsi di tale credo. All’epoca dell’antica Roma non vi era nulla di simile, né campana né campanile. La nuova fede arriva a diffondersi in tutto il nostro continente e il binomio campana-campanile arriva a diventare una specie di emblema dell’Europa. La torre campanaria arriva a costellare ogni paesaggio europeo, tanto urbano quanto rurale (nell’agro sono onnipresenti i conventi con l’immancabile campanile voluti da S. Benedetto che non per niente è il Patrono d’Europa). I campanili, dunque, sono un fattore dell’identità a scala continentale e nello stesso tempo, poiché così differenti fra loro, un connotato identitario a livello locale.
Prendi il Molise in cui si trovano campanili, in qualche modo lo sono, a vela, con una coppia di campane nella parrocchiale di Pietrabbondante o ospitante solo una campana, chiesa di Faifoli a Montagano, campanili a pianta circolare (Campodipietra) e semicircolare (S. Polo), tutto il resto a sezione quadrata, campanili integrati nell’edificio di culto (Castelpizzuto) o distanziati da questo (S. Maria della Strada a Matrice), due così limite poiché di norma sono affiancati alla struttura ecclesiastica, campanili singoli, la maggioranza delle volte, o accoppiati, uno per lato della facciata della chiesa, come succede a S. Giuliano del Sannio e nella Basilica di Castelpetroso dove fanno a gara in altezza con la cupola, campanili con tetto aguzzo, a S. Massimo, o che terminano a terrazzo, a Vinchiaturo, oppure a bulbo, la copertura a cipolla maiolicata della chiesa barocca dell’Annunziata a Venafro. L’elenco potrebbe continuare a lungo; le tipologie di campanile sono tantissime e salvo nelle vele le campane sono identiche, quasi che quella della Pontificia Fonderia Marinelli fosse una produzione in serie, con poche varianti. Il “contenitore”, il campanile, assume sembianze differenti da Comune a Comune, mentre il “contenuto”, la campana, non varia, un vero enigma che si aggiunge all’altro mistero della pregevole fattura artistica della campana che neanche più il sacrestano vede essendo ormai le campane azionate da remoto. Il Museo della Campana presso lo stabilimento della fonderia è l’unico luogo in cui è possibile ammirarle da vicino, apprezzarne le loro mirabili fattezze frutto di una millenaria sapienza artigianale e, in continuità con il sito di fabbricazione, una magica atmosfera davvero.
I campanili fanno la loro comparsa con l’avvento dell’Era Cristiana. Se nell’antichità vi erano strutture verticali esse, le torri e i fari, non erano così diffuse (pur numerose se si considera che ad Altilia le mura erano dotate di ben 19 torri difensive) come lo saranno i campanili i quali sono presenti in tutti i 136 Comuni molisani, almeno 1 per paese. I campanili hanno un compito specifico, legato al nuovo Credo religioso che aveva sostituito il paganesimo dei Romani, quello di sostenere le campane il cui scampanellio avverte dell’inizio delle funzioni cultuali. Per favorire il diffondersi in un largo raggio territoriale del suono delle campane è necessario che il campanile sia alto.
Appena detto subito lo smentiamo o quantomeno lo precisiamo: piuttosto che l’altezza della torre campanaria conta l’altezza che raggiunge la cella campanaria per cui se il campanile è posizionato in altura, mettiamo sul colmo del colle sul quale si “arrampica” il borgo, esso può essere più basso di quello posto in pianura. A Casalpiano di Morrone del Sannio esso è assai elevato trattandosi di zona pianeggiante. Il caso limite è quello degli insediamenti rupestri, da Bagnoli (Bagnoli di Sopra) del Trigno a Pietracupa a S. Angerlo in Grotte, dove il campanile risulta mozzo mancando della porzione, più o meno consistente, inferiore poiché poggia su un punto emergente della “morgia”, morgia “urbana” per esattezza. I campanili oltre che elevati devono essere spessi e ciò sempre per permettere che i rintocchi delle campane si sentano a distanza. Per l’elevazione la ragione la si è spiegata sopra, per lo spessore la si dice adesso: le campane mentre suonano provocano forti sollecitazioni sul manufatto che le supporta, la torre campanaria, per cui quest’ultimo deve essere solido. Per smorzare i carichi dinamici provenienti dalle campane nel campanile della chiesa di S: Bartolomeo a Campobasso l’ing. M. Moffa ha previsto una gabbia su cui si scaricano le vibrazioni causate dalle oscillazioni delle campane, una incastellatura autonoma rispetto all’ossatura muraria inserita nella cella campanaria. Al di là delle campane è ovvio che lo spessore deve essere tanto maggiore quanto più elevato è il campanile, ma è sempre meglio esplicitarne la ratio: aumentando l’altezza aumenta il peso della costruzione il quale va ridistribuito su un muro di sezione adeguata. Per la medesima motivazione della robustezza dell’opera edilizia la torre campanaria è necessario che abbia poche bucature. Solitamente nei campanili le aperture si incrementano nel salire dalla base alla cima (salvo nel campanile dell’Annunziata a Venafro in cui la monofora succede alla bifora). In sommità il campanile tende a svuotarsi fino al caso limite della cella campanaria di S. Giorgio, ancora nel capoluogo regionale, che assomiglia ad una sorta di tempietto delimitata com’è non da pareti bensì da 4 pilastrini angolari; un aspetto analogo lo ha la parrocchiale di Ripalimosani, ma con un maggior numero di colonne che qui sono bicrome. Da una parte la cella campanaria ha bisogno che sia quanto più possibile libera dal contenimento murario per far si che il suono delle campane fuoriesca da tale vano nella sua pienezza (c’è però S. Maria, ex S. Rocco, a Petacciato dove la cella campanaria non è aperta su tutti i lati), dall’altra parte c’è il problema, vista la mancanza al perimetro di muri, della penetrazione all’interno di quest’ambiente delle acque meteoriche.
C’è sempre un pro e un contro. Il campanile cresce di un piano, innalzandosi al di sopra della cella campanaria per ospitare l’orologio che è più visibile, è scontato, se è situato a quota maggiore; a Pettoranello è conservata integra la camera dell’orologio, uno spazio davvero affascinante. Non è obbligatorio, comunque, che per installare l’orologio si debba aggiungere un altro livello alla torre campanaria e lo dimostrano gli, addirittura, 4 orologi, uno per ciascuna direzione, che spuntano dal cupolino del campanile, già citato, di S. Angelo in Grotte (che viene “incendiato” l’8 maggio, festa di S. Michele). Se non si è stati chiari lo si rimarca ora: si tratta di innalzamenti della torre campanaria, un esempio è quello di S. Massimo, avvenuti in epoca recente in quanto recente è la comparsa dell’orologio il quale sostituisce la meridiana che per essere leggibile non può stare troppo distante da terra (vedi quella della chiesa di S. Pietro a Frosolone). I campanili sono in genere aderenti alle chiese, ma non è una regola assoluta. Nella chiesa di S. Nicola a Vastogirardi penetra addirittura all’interno della navata, mentre a S. Maria della Strada e a Campodipietra è staccato dall’architettura religiosa, segnalando, en passant, che quest’ultimo ha base circolare, una rarità. Verrebbe da pensare che dal punto di vista statico è meglio che il campanile si appoggi alla chiesa venendo a formare un unico corpo di fabbrica che in quanto tale avrebbe una maggiore resistenza alle scosse sismiche: è una tesi plausibile, anche se è credibile in pari misura l’ipotesi opposta secondo cui la differenza di comportamento tra un volume in verticale e uno in orizzontale di fronte ad un terremoto determinerebbe il crearsi di una “corda”, la linea di attacco delle due entità strutturali diverse, intorno alla quale si innesca un rotazione della prima, il campanile, sulla seconda, la chiesa. È da evidenziare, infine, a proposito della sicurezza strutturale che è preferibile che vi sia omogeneità tra i vari piani che sommati tra loro in fase realizzativa portano alla configurazione del campanile, una uniformità che, il risvolto negativo, ne riduce la bellezza: sono molto attraenti torri campanarie che, vedi Colletorto, da quadrate si trasformano in esagonali oppure ottagonali, es. Vinchiaturo. La varietà estrema la si ha in copertura, la ciliegina sulla torta, che a volte è piramidale, a volte a bulbo, a volte non c’è perché è un terrazzino.
​5 - Torri campanarie nell'agro
Forse è inutile cercare i caratteri comuni dei campanili molisani, anche in quelli in zona agricola, tanto sono diversi fra loro. Il più particolare si ritiene sia quello che sta in località Cappella a Baranello; esso è quasi unico (del “gemello diverso” si darà conto dopo) nel panorama regionale in quanto è sovrapposto all’ingresso della chiesa, soluzione costruttiva che si ritrova prevalentemente nelle architetture religiose nordeuropee. La chiesa è S. Maria ad Nives, poco più che una cappella (da qui il nome della contrada) rurale, tipologia di edificio di culto che solitamente, salvo eccezioni delle quali si parlerà, che non prevede la torre campanaria che, in effetti, neanche qui c’è se la intendiamo in senso stretto. Non é un vero e proprio campanile quello che c’è qui e, però, è un’opera architettonica che gli assomiglia molto. Stiamo parlando di una cella campanaria, non di una semplice vela svettante sulla copertura, la quale ultima consiste in un piccolo arco in muratura che sorregge la campana, come si può vedere a S. Massimo, ad esempio, sulla chiesetta agreste di S. Maria delle Fratte, cosa ben diversa da una “cella” che è, invece, un autentico vano, seppure privo di elementi di chiusura laterali. Tale cella destinata a contenere la campana è autonoma rispetto alla chiesa, pur essendo sovrapposta ad essa sorretta com’è da un profondo arcone il quale costituisce anche una specie di protiro che introduce allo spazio sacro; la struttura arcuata, dunque, racchiude l’entrata al fabbricato ed è disposta in asse con essa. Se non è un campanile, in definitiva, poco ci manca. Tale torretta campanaria che svetta, lo abbiamo visto, sul portone, caratterizza fortemente l’immagine della facciata, mentre di norma il campanile non interferisce con il disegno del fronte della chiesa e ciò rende S. Maria ad Nives davvero speciale. È singolare, inoltre, la sua posizione centrale nel prospetto e non collocato lateralmente come avviene abitualmente; va segnalato, comunque, che vi sono diverse chiese, sia urbane che extraurbane, nelle quali la campana è situata al di sopra della facciata interferendo con essa, ma si tratta in tutti gli altri casi di apparati costruttivi a vela.
Lasciando da parte le architetture che presentano il coronamento frontale orizzontale secondo lo stile abruzzese, adottato in certe aree del Molise, e limitandoci a quelle che hanno la forma a capanna, si cita la chiesa di S. Onofrio a Ferrazzano che sta all’esterno delle mura, vicino al vecchio cimitero, dove la vela si trova sulla cuspide del fronte, lasciando in questo modo a vista, per così dire, il colmo del tetto, il quale, invece, a Baranello è nascosto dalla torretta campanaria. È assai più frequente trovare la vela decentrata magari posta nell’angolo inferiore del timpano che chiude il prospetto, in uno dei due vertici bassi del triangolo costituente la parte superiore di una facciata a capanna (non in ambedue, a mò di quello che fece Bernini il quale mise al Pantheon le famose “orecchiette”). Un episodio a sé stante è quello della chiesa di S. Anna a Maiella a Trivento in cui la vela parte da terra, non è sul fabbricato, ragione per la quale si presenta come una cosa a metà tra un campanile e una vela classica, cioè un corpo (in verità, una sfoglia di muro) alto tale e quale un campanile e sottile similmente ad una vela. Si è fatto cenno alle vele che insistono sopra strutture sacre cittadine e “paesane”, quelle degli agglomerati abitativi minori, aggiungendo adesso che in tali ambiti è possibile imbattersi in vele definibili multiple nel senso che ospitano, ciascuna in un proprio alloggiamento, due campane; non si tratta, specificando meglio, di un unico arco che le contiene entrambe, ma di due archi accoppiati, spalla a spalla. Per esemplificare si richiamano quelle di S. Antonio Abate a Campobasso e di S. Biase ad Agnone. Lo si è anticipato all’inizio che la vela non è una regola fissa nei tantissimi edifici di culto disseminati nell’agro, incontrandosi a volte, molto meno frequentemente, pure dei campanili, non solo quello di Baranello. Ha qualcosa in comune che è il campanile nella fascia mediana della facciata, la chiesetta di tale centro con quella di S. Brigida a Civitanova del Sannio; esse differiscono fra loro per la mole della torre campanaria, oggetto di recenti lavori di restauro, che è più consistente nel comune trignino. S. Brigida era annessa al monastero denominato nelle fonti «De Iumento Albo» appartenente all’ordine benedettino i cui monaci hanno edificato sempre chiese con campanile. Nei siti conventuali di S. Maria di Canneto, S. Vincenzo al Volturno, Monteverde di Vinchiaturo, S. Maria della Strada a Matrice, Casalpiano a Morrone del Sannio troviamo costantemente la chiesa con affiancata la torre campanaria. Questa non è obbligatorio sia fisicamente attaccata ad essa e ciò succede a Matrice, il cui campanile, secondo la leggenda, venne costruito insieme ad altri 49 in una notte dal Re Bove il quale, poverino, non fece in tempo, visto il gran da fare che aveva, di completarlo con una scala, o forse ci sarebbe riuscito, fatto sta che il diavolo per impedire che egli concludesse con successo l’impresa lo buttò giù dalla cella delle campane.
Dovendo essere dei punti di riferimento per la popolazione disseminata nei campi necessitavano di un “segno” verticale ben visibile da lontano e, dunque, il campanile; se si considera che il suono della campana si diffonde in un raggio tanto più ampio quanto maggiore è l’altezza dal suolo della stessa allora si capisce che deve essere sollevata dal terreno anche di decine di metri per cui, ulteriore motivazione, occorre il campanile. Per la medesima questione della distanza entro la quale si riesce ad udire il messaggio acustico il quale è un richiamo per i coloni che vengono avvertiti dello svolgimento delle funzioni spirituali, occorre che la campana sia di una certa dimensione e di conseguenza di peso notevole, non sopportabile da una vela. Ci si azzarda ad affermare che il campanile ha una elevazione superiore se il convento è di rango, anch’esso, superiore (S. Maria di Guglieto a Vinchiaturo che ha un campanile basso è di rilevanza limitata) affinché il segnale sonoro emesso dalla campana copra un vasto areale; l’estensione della superficie territoriale di pertinenza dell’insediamento conventuale influisce sullo sviluppo verticale della torre campanaria, necessitando che essa sia percepibile con sicurezza entro un intorno significativo, i possedimenti dell’abbazia.