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Osservando Campitello 

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1 - PER CAMPITELLO LA STRADA È IN SALITA

 

La crisi del Consorzio nato per la gestione degli impianti rimette in discussione le scelte fatte nel recente passato. È il momento per riflettere sul futuro della stazione. 

 

 

 

Lo scioglimento del Consorzio che gestisce la stazione fa entrare questa località in una fase nuova. Anzi antica perché si torna alla situazione precedente in cui gli impianti erano affidati ad una società privata e non ad un organismo pubblico (infatti, il Consorzio è stato costituito tra i Comuni dell’area, la Regione e la Provincia). Campitello, del resto, ha nel “dna” la natura di una cosa privata come dimostra la sua origine che è dovuta all’iniziativa di un gruppo imprenditoriale che lo concepì come un investimento immobiliare al quale era funzionale la predisposizione delle piste da sci; la stessa cosa, lo si fa osservare per inciso, successe a Bocca della Selva, sempre sul Matese, solo che qui gli investitori erano economicamente di piccole dimensioni e ciò lo si nota anche nel taglio degli edifici che sono per lo più singole palazzine e non complessi residenziali. L’azione del pubblico in questo centro turistico è stata sempre al seguito delle varie imprese che si sono succedute nella conduzione della stazione sostenendole in molti modi, a cominciare dal miglioramento della viabilità di collegamento con il fondovalle costruita nei primi anni ’60. Per rimanere a tale caso, quello della strada, oltre alla sua rettificazione e allargamento si costruì una galleria paravalanghe e, specialmente, la variante dell’abitato di S. Massimo per evitare l’attraversamento del centro urbano. Il nuovo tratto viario escludeva del tutto il paese dal flusso turistico per cui oggi con la sistemazione a verde della rotonda al bivio tra questa arteria e l’insediamento abitativo si vuole richiamare l’attenzione dei visitatori. Se, comunque, il pubblico nella fase iniziale dell’esistenza di Campitello è stato al rimorchio del privato ora esso ha un ruolo preponderante. Il compito che le istituzioni sembra essersi assunte è quello del completamento delle idee portate avanti dagli imprenditori che hanno determinato la nascita del nostro centro di sport invernali. L’impianto originario della stazione è quello di un nucleo di edifici (i residence Kandhar e Le Verande e l’Hotel Miletto) che sorgono intorno ad una superficie per uso pubblico. La massa edificata risulta così accorpata: i singoli fabbricati che la compongono sono collegati fra loro e con il nucleo di servizi centrale il quale lo si raggiunge con un ascensore che scorre lungo una corsia inclinata. Il luogo delle attività comuni (dove vi è anche il ristorante Il Pentolone) è caratterizzato da una galleria commerciale in cui era previsto il raggruppamento di tutti i negozi in modo da permettere a chi scia per l’intera giornata di non perdere tempo per la spesa e a chi alloggiava nei residence di arrivarci addirittura in pantofole. La piazza in corso di costruzione in qualche maniera vuole confermare tale necessità di un punto di riferimento collettivo, utile pure per manifestazioni ed eventi culturali, ubicato nel cuore geografico della stazione. La crescita di Campitello ha reso insufficiente l’area destinata a tali scopi racchiusa nel cosiddetto “ferro di cavallo” del Montour, la passeggiata al coperto per lo shopping di cui si è detto, ed, inoltre, il fenomeno del pendolarismo dello sci con la prevalenza degli sciatori giornalieri rispetto a quelli stanziali non richiede più la contiguità tra gli alloggi e lo spazio per i momenti aggregativi. Si può leggere anche sotto un’altra prospettiva la progettazione della nuova piazza che è quella dell’esigenza di abbellire il centro turistico, bisogno che in passato era stato messo in secondo piano assorbiti com’erano dalla realizzazione dei volumi edilizi. A Campitello si è costruito velocemente, molto più, mettiamo, che a Bocca della Selva dove lo sviluppo edilizio è stato più lento per la pluralità degli operatori coinvolti, e ciò ha portato a trascurare per così dire i dettagli, cioè le opere di arredo, presi dai lavori per metter su presto le strutture architettoniche per rispondere alla forte domanda di seconde case degli anni ’70 quando vi fu il boom delle vacanze in montagna. La creazione, oltre che della piazza, dei marciapiedi con pavimentazione in pietra e di decorosi stalli per il parcheggio delle auto insieme all’apposizione di lampioni con design moderno conferisce un aspetto più gradevole alla stazione. Va detto, però, che a Campitello , nonostante non  si sia mai posta troppa attenzione alla problematica estetica, sono state adottate alcune soluzioni architettoniche in linea con le esigenze paesaggistiche, a cominciare dalla scelta urbanistica di non permettere la realizzazione di torri, bensì di complessi residenziali di 5 o 6 piani. Più basso è quello denominato S. Nicola 1 il quale è disposto sul pendio secondo un’organizzazione lineare dei corpi di fabbrica, accorgimento che permette la riduzione dei volumi emergenti; per via del suo profilo degradante verso valle, il vallone, appunto, S. Nicola, esso è scarsamente percepibile dal piazzale (che si sta trasformando in quella «piazza» di cui si è parlato). C’è chi ha cura dei fiori come si può notare dalle fioriere che adornano il Rifugio EPT, quest’ultimo un “segno” del periodo pioneristico di questa località montana. Esso è un manufatto in pietra e case di tipo tradizionale si trovano pure nel villaggio «svedese» che è il nucleo di fabbricati degli anni ’60, precedente all’espansione edilizia di Campitello. Ancora si esegue lo sfalcio della piana che pur se poco conveniente economicamente per la crisi dell’allevamento è una cosa importante per l’immagine del paesaggio. Il pregio maggiore di questo posto rimane, comunque, quello delle spettacolari vedute che si aprono sulla conca carsica e sul circo glaciale di monte Miletto e, poi, la neve che nella stagione invernale imbianca tutto nascondendo qualsiasi bruttura; va sottolineato che proprio d’inverno si viene maggiormente a Campitello quando l’innevamento abbondante la trasforma in un luogo magico. La neve rende bella questa località che, invece, in autunno, svuotata dei turisti si presenta spoglia. Negli anni venturi l’impegno delle amministrazioni pubbliche dovrà essere da un lato di migliorarne le caratteristiche paesaggistiche e, dall’altro lato, quello di rendere vivo questo centro in tutto l’arco dell’anno. Per quanto riguarda quest’ultimo punto si è pensato alla formazione di uno stadio del ghiaccio pur in assenza di una tradizione nel nostro ambito degli sport sul ghiaccio, ma forse ciò è dovuto proprio all’assenza di impianti simili; che la scelta di tale attrezzatura non sia casuale lo si può capire se si riflette sul fatto che gli sport invernali e quelli del ghiaccio sono tipologie sportive rientranti nella stessa federazione. Già attualmente la seggiovia funziona pure d’estate e, del resto, questo è un servizio relativamente poco costoso perché le stazioni sciistiche hanno, in genere, una quota consistente di dipendenti fissi che, pertanto, sono sempre al lavoro, pure nelle stagioni morte. In definitiva, è necessario immaginare nuove prospettive per allargare l’offerta turistica magari legate alla proposta di parco del Matese che non significa, di certo, un ritorno all’indietro, un annullamento della stazione sciistica, ma la sua valorizzazione quale centro ricettivo per quanti intendono frequentare la montagna per conoscere e gustare le notevoli peculiarità ambientali e naturalistiche di cui è ricco il comprensorio.

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2 -  CAMPITELLO: DAL RIFUGIO (EPT) ALL’OSTELLO 

 

In questa località turistica mancano, ad eccezione dei pochi posti letto del rifugio EPT, strutture ricettive per ospitare escursionisti e studenti. Piuttosto però di costruire altri edifici si potrebbero riconvertire le seconde case.

Francesco Manfredi-Selvaggi

 

      Campitello è un insediamento turistico che costituisce un tutt’unico, il quale, dunque, va gestito unitariamente: questa è la tesi che si cercherà di dimostrare di seguito. La prima prova che si tratta di agglomerato concepito quale fatto definito compiutamente è proprio quella più immediata, quella visiva. Ci troviamo di fronte nella sua parte centrale ad un lungo edificio che sembra stringere a tenaglia una piazza verde la quale può essere considerata il cuore del villaggio (è destinata a perdere tale ruolo quando verrà completato il grande spazio gradonato appena al di là della « piramide » anch’essa in costruzione). Al piano terra di questo volume corre una galleria nella quale è raggruppata una serie di servizi, dal cinema ai negozi al ristorante (il Pentolone). Possiamo definirlo altrimenti corridoio perché, oltre ad essere il luogo degli acquisti, dello svago e del ristoro, esso è collegato all’ascensore inclinato realizzato per superare il dislivello che separa il Montur (il residence posto in basso) dalle Verande e dal Kandar, i due fabbricati in linea collocati sulla collina che sovrasta il complesso planimetricamente a ferro di cavallo. Tale percorso coperto affrancato da attività sussidiarie alla residenza è, lo si è detto prima, l’elemento unificante dell’agglomerato turistico, se non altro per la sua baricentricità. Nello stesso tempo, oltre a costituire l’impronta figurativa di Campitello, esso denuncia l’origine di questo centro di vacanze invernale quale frutto di un progetto complessivo che include sia le strutture ricettive che gli impianti da sci. Vi è una corrispondenza immediata, dal punto di vista percettivo, tra il semicerchio della galleria commerciale e l’anfiteatro naturale che dà il nome alla seggiovia con maggiore portata oraria, l’unico circo glaciale del massiccio del Matese. Proprio di fronte al nostro camminamento destinato allo shopping ed ad altre funzioni vi è il piano dove convergono le piste con la partenza delle risalite meccaniche (ad eccezione della funivia Capodacqua). Il piano è uno spettacolare pianoro, l’attrattiva principale di questa località la cui bellezza deve aver stimolato l’iniziativa imprenditoriale che ha portato alla nascita della stazione; esso ospita pure un campo di calcio, la pratica dell’ippica per principianti e l’anello per lo sci di fondo. La conca si configura come il polo della vita sportiva e nello stesso tempo è il fattore determinante dell’organizzazione urbanistica di Campitello con i fabbricati che si dispongono lungo la sua “sponda” (in effetti in passato è stato un lago artificiale). Il condizionamento principale della pianificazione della stazione turistica è stato, di certo, quello dato dai caratteri paesaggistici, più forte pure dell’esigenza del soleggiamento ottimale la quale avrebbe richiesto l’orientamento est-ovest degli alloggi e non quello rivolto a sud che si giustifica solo per la veduta panoramica. In definitiva, l’unitarietà che si è cercata nella progettazione dell’insediamento è sia a livello architettonico sia alla scala di paesaggio. La gestione di tutto ciò è evidente che debba essere unitaria. Un argomento decisivo che suffraga tale assunto è che gli alloggi qui sono di dimensioni minime con la vita che si svolge prevalentemente all’aperto per cui è necessario offrire attrezzature che facilitano la villeggiatura. Non bastano, di certo, i servizi presenti all’interno dei residence. I proprietari degli appartamenti sono di norma comproprietari delle parti comuni del complesso residenziale; le sale collettive sono usate come punto di ritrovo fra i condomini o per il gioco dei ragazzi. Le infrastrutture necessarie dovrebbero essere ben altre e quanto più sono numerose tanfo più aumenta il pregio della località e con esso il valore degli immobili privati. L’assenza di comodità rende poco competitiva una stazione di sport invernali, non in grado di reggere la concorrenza di altri centri, prendi Roccaraso. Servizi per i possessori di case e per i pendolari dello sci che a Campitello nelle domeniche con molta neve sono tantissimi. Questa località matesina è facilmente raggiungibile da Roma e Napoli attraverso la statale n. 17 un’arteria di grande comunicazione; il Matese, poi, è una sorta di montagna di casa per i molisani e i campani i quali la frequentano, sia d’estate che d’inverno, con un turismo giornaliero. Tra le attrezzature dedicate per tale tipo di turisti vi sono innanzitutto i parcheggi, per i quali viene destinata un’ampia superficie in prossimità di Selvapiana all’entrata della stazione, meglio dire all’esterno della stessa; tutto questo per sottrarre le zone residenziali alla confusione del traffico automobilistico. Un’area destinata ad autorimessa coperta è poi diventata un’ulteriore sede di locali per il commercio e mentre si e collocata una piscina (nel ristorante Il Pentolone) sottoterra non si è pensato a garages sotterranei per i pendolari. Tra i servizi generali dei quali un simile polo sciistico ha bisogno c’è la sistemazione abitativa del personale che qui opera. Quando il centro turistico è prossimo ad un nucleo urbano il problema non si pone perché coloro che lavorano negli alberghi, ristoranti, ecc. la sera possono fare ritorno alle proprie case, cosa meno facile in questa località che è l’unico insediamento in quota nel comprensorio matesino, ben distante dal resto degli agglomerati insediativi i quali stanno a valle. Necessitano posti-letto per i maestri di sci così come per gli accompagnatori di escursionismo e per gli istruttori sportivi in genere, mentre per gli impiegati amministrativi e per i tecnici addetti alla manutenzione degli impianti il cui lavoro comporta la permanenza nel villaggio tutto l’anno sono da prevedersi appartamenti. Manca attualmente un punto di informazione, magari, una guardiania per un custode centralizzato, per così dire, che dovrebbe curare l’accettazione nel complesso e anche per tale categoria di lavoratori servono alloggi. Infine sono utili suites destinati ai dirigenti del complesso turistico e una foresteria per studiosi che conducono ricerche sul notevole patrimonio ambientale di quest’area con annessa una sala studio. Manca a Capitello un ostello da quando il rifugio E.P.T. non svolge più questo ruolo e né vi sono occasioni di alloggiamento per chi desidera (o non può permettersi) pernottamenti al di fuori di strutture alberghiere non essendovi un campeggio né un’area per la sosta di roulottes, abortito il tentativo tanti anni fa di predisporne una. Non vi è una colonia per ragazzi nonostante che in periodo estivo vi siano gruppi di studenti accompagnati. Riprendendo il filo conduttore del discorso, quello della unitarietà della gestione alla quale è predisposto anche per l’aspetto architettonico il nostro villaggio turistico, si può dire che quello di garantire la ricettività extralberghiera o delle strutture residenziali con servizi alberghieri, cioè dei residence, è un compito ineludibile e perciò lo strumento urbanistico nel ’71 stabilì che essa fosse inclusa tra le “attrezzature di interesse comune”.

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3 - UNA STAZIONE SKI TOTAL, IMMAGINATE, SUL MATESE 

Oggi ci siamo abituati all’idea che esista un centro sciistico nella nostra montagna, ma quando nacque dovette colpire molto l’attenzione dei corregionali la presenza di un polo turistico invernale. Campitello, ormai appartiene alla coscienza collettiva e seppure artificiale viene considerato una presenza naturale, integrata nel contesto molisano.

 

 

 

       Viene da pensare se Campitello è stata concepita nella maniera che vediamo perché è la più opportuna progettazione urbanistica per quel sito oppure al contrario se il sito è stato prescelto in quanto quello maggiormente idoneo per realizzare il centro turistico che si aveva in mente. Si propende per la seconda ipotesi tanto si assomiglia la conformazione della stazione sciistica realizzata a quella di importanti località invernali delle Alpi francesi; queste ultime, e ciò avvalora la lettura fatta, sono state progettate dal medesimo architetto Laurent Chappis. È una tipologia di insediamento che si è affermata a partire dai primi anni del secondo dopoguerra e che è stata considerata a lungo la migliore. Essa richiede che vi sia un pianoro immediatamente al di sotto del versante montuoso giudicato “sciabile” e dalla parte opposta della stessa piana una superficie rialzata su cui edificare, tutte cose che si ritrovano in Campitello. Si potrebbe obiettare che tali caratteristiche, compresa l’altitudine, le posseggono anche altri posti nel massiccio matesino che, però, sono penalizzati per almeno un duplice ordine di fattori: uno è che vi è una via di collegamento di sezione adeguata, forse problema rimediabile, due, non superabile poiché un dato intrinseco del luogo, è la veduta della principale cima del Matese con il suo affascinante circo glaciale la quale non si percepisce neanche dal Campitello di Roccamandolfi. Bisogna aggiungere che Campitello di San Massimo, oltre ad una strada adatta aveva una certa tradizione di turismo montano. Qui era sorto nei decenni iniziali del secolo scorso un rifugio di proprietà dell’Ente Provinciale per il Turismo, meta di appassionati di escursionismo, un autentico punto di riferimento per chi frequentava la nostra montagna. Da qui partiamo per descrivere l’assetto urbano di Campitello. Occorre doverosamente prendere le mosse dal rifugio per comprendere le linee informative del disegno di questo polo di sport invernali, tra i più grandi del meridione (tra poco allo sci si affiancherà il pattinaggio sull’apposita pista del palazzetto a forma di piramide che è in corso di completamento). Sembra di cogliere una sorta di tensione, perlomeno dal punto di vista figurativo, tra il rifugio e l’adiacente fabbricato sede di attività commerciali, ristorative, ricreative e ricettive, denominato Montour, il quale, anticipando la conclusione di un ragionamento che svilupperemo in seguito, è il fulcro dell’insediamento; è un’immagine stridente quella dell’edificio in pietra a faccia vista accostato ad un’architettura recente. Si contendono la migliore posizione nell’altopiano, quella in asse con la vetta più elevata di questo comprensorio montuoso, che per il rifugio è ideale consentendo ai suoi ospiti, senza effettuare lunghi percorsi di avvicinamento, di compiere escursioni verso la sommità del monte e che per gli sciatori che alloggiano nei residence raggruppati intorno al Montur di raggiungere facilmente la rete degli impianti di risalita la quale, è ovvio, si infittisce lì dove i dislivelli tra le postazioni di partenza e di smonto sono superiori (l’altezza dell’arrivo è quasi 2.000 metri). Tale affollamento di interessi nell’ambito centrale del terrazzo morfologico sovrastante il piano carsico si riproduce all’interno dello stesso: nella fascia di territorio dirimpettaia della sommità del Miletto vi sono, uno a fianco all’altro, il campo sportivo, il recinto per l’equitazione, le basi delle seggiovie. Qui si sarebbe voluto realizzare pure il bacino idrico per l’innevamento artificiale che, poi, è stato deciso di collocare nella gola di Capodacqua, perché si riteneva che esso, alla stregua di un laghetto alpino, avrebbe potuto arricchire l’immagine della zona. Zona che è la maggiormente visibile da parte dei turisti che alloggiano nei residence e dei pendolari che parcheggiano nello slargo antistante il rifugio e la galleria commerciale, mentre la restante porzione di questa oblunga depressione frutto del carsismo rimane libera. Dunque, tutto a portata di mano. Ci sono, le abbiamo appena viste, una distesa pianeggiante di enorme valenza paesaggistica, in basso e una, molto più ridotta, parzialmente artificiale, 20 metri più sopra, il piazzale in cui stanno il rifugio, una serie di volumi bassi che comprendono la biglietteria, il nolo sci, alcuni negozi, la scuola sci, la postazione di polizia, la guardia medica e il Montour (la particolare architettura piramidale, invece, ha l’accesso a livello del pianoro e la testa, cioè la copertura, che fa capolino per una decina di metri dalla “piazza” che doveva occupare un pezzo del “piazzale”, abortita per far posto al palaghiaccio). Un insieme confuso di oggetti che si affastellano su tale spazio senza un disegno preciso: a far ordine in questo caos, percettivamente parlando, ci pensa o almeno lo tenta, il Montour. È, del resto, questa struttura, replicata, magari in scala maggiore, in tante altre stazioni sciistiche in Francia ideate da Chappis, un’opera sostanziale nella concezione del progettista francese il quale è l’ispiratore della planovolumetria di Campitello. La sua disposizione a ferro di cavallo è simile a quella adottata per contenere funzioni analoghe a quelle del Montour, quindi commercio e ristoro, in insediamenti turistici di nuova fondazione sulle Alpi, o meglio al di là delle Alpi, dove è sempre il cuore dell’agglomerato. Fatto che, puntualmente, si ritrova in questo angolo del Matese. Si riscontra, comunque, un’individualità del nostro centro rispetto ai suoi omologhi ed è che qui l’architettura ha una qualche assonanza con il contesto naturale nel senso che lo svolgimento del manufatto è ad anfiteatro, riecheggiando l’anfiteatro, così è conosciuto, che sta di fronte, il circo glaciale. Il Montour per la singolarità architettonica del corpo di fabbrica, insieme alla sua destinazione funzionale di contenitore di servizi collettivi, la fisionomia richiamante uno dei segni più forti del paesaggio, è stato assunto nel modo di sentire comune quale emblema di Campitello. Una primazia che è prevedibile verrà soppiantata, lo si rileva per inciso, dalla piramide la quale ha una forza espressiva notevole, non fosse altro che per la novità stilistica dell’involucro prismatico costituito da superfici inclinate in legno e vetro, una silhouette davvero particolare, esemplare unico nell’intero Molise. Allo stato attuale è ancora la composizione ad U della galleria porticata l’opera maggiormente riconoscibile della stazione sciistica molisana, che viene a rappresentare il nucleo indentitario, l’episodio unificante capace di tenere insieme i vari “quartieri” nei quali può suddividersi questa località: l’albergo Kristiania che ha ambizioni di villaggio-vacanze a Selva Piana, il Villaggio Turistico, detto pure “svedese” per la dispersione degli chalet nel bosco, quello di Rote-Trabucco, il complesso di seconde case S. Nicola collocato in testa all’omonimo vallone e Campitello vero e proprio. Nessuno di esse può dirsi autonomo perché tutti dipendenti dalle attività di servizio concentrate nel Montour.

Ancora 4

4 - CAMPITELLO: NON SOLO CEMENTO E PISTE DA SCI

 

Questa località matesina non si identifica solo nella stazione sciistica, ma essa è riconoscibile innanzitutto per il pregevole contesto paesaggistico nel quale è situata.

 

 

        Campitello offre un panorama davvero unico perché da qui è possibile ammirare uno dei pochi circhi glaciali dell’Appennino centro-meridionale. Il circo coincide con una delle due parti di cui si compone un ghiacciaio, che è quella del bacino di raccolta dove la neve si accumula e diventa ghiaccio ed è la prima di queste parti, mentre la seconda è costituita dalla caratteristica lingua che si viene a formare con la fusione di tale ghiaccio. Infatti, i ghiacciai non sono cose immobili, ma compiono un lento movimento verso valle. Il circo, lo si ripete, è il luogo dove la massa nevosa si raccoglie e consolida che sta in cima al ghiacciaio, nel nostro caso un piccolo ghiacciaio. Esso doveva essere confinato presso la vetta di monte Miletto perché la glaciazione nel sud d’Italia non ha mai toccato quote inferiori ai m. 1.800; si sta parlando del glacialismo dell’era del quaternario il quale ha avuto un limitato sviluppo nella catena appenninica. Il circo glaciale ha una forma tipica che è quella di un grande incavo circondato da pareti ripide e quello matesino non vi si discosta. Le alte scarpate che delimitano l’arco naturale qui chiamato anfiteatro (è il nome pure della seggiovia) sono il frutto del franamento del suolo eroso dall’acqua di scioglimento del ghiacciaio. Il terreno staccatosi dalla parte culminale del monte è trasportato in basso, alla stregua di un deposito morenico, ed esso deve aver contribuito alla formazione del pianoro di Campitello. Un po’ più giù del circo glaciale e spostata lateralmente rispetto a questo c’è la grotta delle Ciaole; il piazzale della stazione sciistica è quasi baricentrico rispetto alle due emergenze geologiche. La grotta delle Ciaole, appena percepibile dal complesso turistico perché nascosta dagli alberi, è più propriamente una caverna, intendendo per grotta un sistema di cavità e per caverna un solo vano. La grotta delle Ciaole ha un enorme imbocco di diverse decine di metri di altezza e questo ingresso sembra un finestrone collocata com’è la grotta a metà di quel versante roccioso che ben si scorge dal centro di sport invernali. La grotta delle Ciaole non è l’unica grotta presente nei dintorni in quanto vi è anche la grotta del Fumo la quale però sta un po’ più lontano; quest’ultima è una vera e propria grotta essendo abbastanza profonda e composta di vari ambienti. Entrambe le grotte sono connotate da uno sviluppo orizzontale, assai diverso da quello delle più celebri cavità matesine, prendi il Pozzo della Neve, la maggiormente estesa, il cui nome denuncia l’andamento verticale della grotta. L’orizzontalità significa che vi è una specie di pavimento, pur se di semplice terriccio, e ciò rende idonee tali grotte quali rifugio per le persone, per i briganti che popolavano il Matese nel periodo post-unitario. Verticali sono, gli inghiottitoi, dei quali uno è presente nella piana di Campitello che così si caratterizza come piana carsica; essa è una conca chiusa come le doline che è priva di deflusso esterno l’acqua essendo smaltita attraverso l’inghiottitoio. L’acqua è quella delle piogge, che sulla nostra montagna sono le più abbondanti del Molise, e dello scioglimento delle nevi, ma non di sorgenti in quota, se non quella di Capodacqua. Il paesaggio carsico lo si riconosce in primo luogo per l’assenza in superficie di corsi d’acqua. Per quanto riguarda Capodacqua essa è una delle rarissime falde idriche in quota e tale sua posizione è stata considerata strategica quando all’inizio del secolo scorso è nata l’industria idroelettrica: con importanti opere, le quali del resto sono connaturate alle infrastrutture idrauliche, vedi dighe, acquedotti, ecc., l’acqua viene inviata a valle dove alimenta una centrale elettrica. La centrale, che è una interessante costruzione architettonica, sorge nel punto in cui la montagna si salda alla fascia collinare per sfruttare il salto altimetrico. Condotte forzate, il torrino piezometrico, il canale che costeggia il pianoro, ma anche il rifugio prima della Società Meridionale di Elettricità e dopo E.P.T., sono i segni di questa grande impresa dell’uomo. L’inghiottitoio in passato veniva costruito con materiale impermeabile e la piana diventava un lago, un  bacino  d’accumulo  per  la  centrale  (l’unica  in  questa  parte della regione a non essere ad « acqua fluente », cioè con derivazione da un fiume). Dando le spalle all’insediamento ricettivo si possono ammirare nel panorama montano che sta di fronte oltre le componenti inanimate le formazioni geologiche di cui si è detto, quelle animate, flora e fauna, pure esse di forte interesse. Iniziamo dal mondo vegetale, notando che il contesto paesaggistico è fatto prevalentemente di praterie e di formazioni forestali. Sui lati del monte il dominio delle faggete è assoluto fino a raggiungere il limite della vegetazione arborea; al di sopra del bosco, nelle aree sommitali, rimangono magri pascoli. Quando il rilievo si fa impervio affiora la roccia ed è quanto abbiamo evidenziato parlando della grotta delle Ciaole. L’altopiano, o meglio l’insieme degli altopiani che si incontrano nel nostro massiccio intorno ai m. 1.400 (accanto a Campitello c’è il pianoro di Capodacqua e poi il Campo delle Ortiche, quello dell’Orso e così via), tutti di natura carsica sono coperti da prati su cui pascolano, durante l’alpeggio, mandrie bovine con le pecore che brucano il manto erboso meno florido dei crinali. A cominciare dal 1.700 la natura è stata pesantemente condizionata dall’azione antropica con il disboscamento, lo racconta il Galanti, e l’eccessivo carico di bestiame e, in tempi recenti, con l’agglomerato turistico e gli impianti di sci. La diversificazione delle condizioni vegetazionali e di quelle geomorfologiche, anche nello stesso ambito territoriale in cui è collocato Campitello Matese, porta ad una ricchezza degli habitat i quali vanno da quelli rocciosi a quelli boscosi a quelli prativi e da ciò ne deriva una spinta diversità faunistica. Tra le specie più rappresentative di questo territorio vi è, nel caso dei mammiferi, il lupo la cui frequentazione è costantemente accertata in tale comprensorio e per gli uccelli, l’aquila reale di cui è certa la presenza di almeno una coppia nidificante che, però, evita la vetta, che è uno dei luoghi che normalmente predilige per la sua inaccessibilità, di m. Miletto che con i suoi 2.050 m. è la più elevata dell’Appennino centro meridionale a causa del frastuono prodotto dagli sciatori.

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5 - (PISTA) NERA PER LA DIFFICOLTÁ, BIANCA PER LA NEVE

 

È in corso la procedura via per l’ammodernamento dell’impianto di risalita di Capodacqua a Campitello. Un’analisi delle problematiche ambientali connesse. Non sarà più uno skilift, ma una seggiovia.

 

 

 

       L’ammodernamento, che è anche un potenziamento, dell’impianto di risalita di Capodacqua va esaminato, ai fini della verifica del suo impatto sull’ambiente, non esclusivamente rispetto alle condizioni dell’area in cui ricade, ma nel contesto più generale  della stazione di sport invernali. A Campitello si può addirittura parlare di paesaggio sciistico perché qui, più che in altre località montane, le strutture per la pratica dello sci sono concentrate in un ambito ristretto, tutte intorno al pianoro. Alle opere dirette all’attività sportiva, cioè le piste e le sciovie, si aggiungono opere accessorie come le attrezzature per l’innevamento artificiale le quali comprendono i cannoni da neve e il bacino di accumulo idrico (che non provoca disturbo visivo, non perché è una vasca interrata, non lo è, ma perché posta ai margini della pianura). La nuova funivia produce, di certo, delle modifiche ambientali che, però, non incidono né sull’aspetto complessivo del centro turistico, trattandosi della sostituzione di una esistente né, in modo significativo, sulle componenti ecologiche; le trasformazioni riguardano la stazione di valle, che oggi si ritrae dalla pianura (e ciò è positivo ambientalmente) i sostegni dei piloni, ridotti di numero, anche se più grandi, l’allargamento della fascia di esbosco per il passaggio della fune, oltre che la realizzazione della strada di servizio nella fase di cantiere. Per quanto riguarda le piante è da dire che pure il semplice taglio delle loro cime per lasciare spazio al di sopra alle seggiole della seggiovia le rende fragili. Sarebbe opportuna, quale compensazione, la ripiantumazione di alberi, operazione, comunque, difficile data l’altitudine; il bosco, a prescindere dalle sue valenze naturalistiche, serve per prevenire e controllare piccole valanghe innescate proprio dalle piste, delle quali un esempio è quella che si verificò alcuni decenni fa nei pressi della Pinetina. In questa operazione di aggiornamento dell’impianto in questione vi è un rischio, per così dire, evitato di sconvolgimento di habitat di particolare pregio così come è invece avvenuto quando si è realizzata la seggiovia Anfiteatro. Quest’ultima, conviene soffermarsi su di essa che è un utile elemento di comparazione, prende nome dal circo glaciale che sta ai piedi della vetta di monte Miletto, un territorio molto delicato per via dell’abbondante detrito inconsolidato; più che gli sciatori a danneggiare il ghiaione potrebbero essere i turisti trasportati d’estate in quota dalla funivia quadriposto. La seggiovia Capodacqua non raggiunge, e ciò ci tranquillizza, la conca glacio-carsica non tanto perché la stazione di monte, seppur spostata più in alto, rimane ad un’altitudine inferiore quanto perché essa, la conca, è di limitata estensione per cui, in definitiva, si trova lontana dallo smonto dell’impianto. Le accortezze ambientali qui evidenziate sono realizzabili effettivamente in quanto il terreno è comunale, la proprietà dell’impianto è regionale e la sua gestione è di una società mista di natura pubblica e il pubblico, a qualunque livello istituzionale, è tenuto ad aver cura del paesaggio. Si è affermata già da tempo in questa località matesina la tendenza a privilegiare le seggiovie nei confronti degli skilifts e ciò non solo perché la loro portata oraria è minore (a dimostrazione di quanto appena detto vi è la seggiovia delle Lavarelle sorta al posto di due skilifts giunti al termine del ciclo di vita). Ad un aumento del numero degli sciatori trasportati nella medesima unità di tempo deve corrispondere un incremento della superficie sciabile essendovi un rapporto ottimale tra praticanti dello sci ed ettari di pista: è una verifica necessaria anche per il nuovo impianto di Capodacqua. Per inciso va puntualizzato, anche se è scontato, che le seggiovie sono più costose degli skilifts. A scadenze ravvicinate sono arrivati alla conclusione della loro esistenza, in base alla normativa in vigore, circa 50 anni, tutti gli impianti di risalita del polo sciistico e ora tocca all’ultimo, cioè Capodacqua. La sua sostituzione è imprescindibile se si vuole conservare il progetto originale di Chapis che è quello di avere in questo comprensorio piste di varie difficoltà, tra le quali Capodacqua è l’unica classificata « nera ». Nell’epoca attuale si registra ovunque un aumento delle pendenze delle piste per soddisfare le esigenze di un sempre maggiore numero di sciatori esperti che desiderano cimentarsi con percorsi ripidi e pure per tale ragione si rende indispensabile conservare il tracciato di Capodacqua. Bisogna, comunque, accontentarsi del limitato sviluppo in lunghezza di questa pista la quale con il presente progetto cresce di un poco perché esso è un problema comune a tutto il comprensorio sciistico di Campitello che va dai 1.450 metri dell’altopiano ai 1.700 metri. In tempi recenti al fine di accrescere l’offerta sciistica è stato predisposto un campo per la pratica di snowboard, mentre manca ancora uno spazio per gli slittini e, quindi, per accontentare i bambini e con essi le famiglie (è assente, inoltre, un baby sitting). Contemporaneamente all’investimento per rinnovare l’impianto di Capodacqua sarebbe opportuno puntare sulla spesa per la battitura del circuito per lo sci di fondo e della rete dei sentieri innevati per consentire l’effettuazione di escursioni, guidate o meno, con le ciaspole (piuttosto che con le motoslitte che si possono affittare a Campitello, le quali non sembrano consone all’ambiente montano). Se si considera che nel nostro centro turistico invernale vengono per sciare esclusivamente napoletani, pugliesi e, è ovvio, molisani, mentre per effettuare escursioni il Matese è frequentato da tante persone provenienti da territori anche più lontani, allora si potrà condividere che é utile puntare sulla sentieristica; in altri termini, si ribadisce che se spendere soldi per l’impianto di Capodacqua è una scelta condivisibile, nello stesso tempo è importante pure l’impegno economico per battere i percorsi pedonali. L’escursionismo, poi, ha caratteristica di valvola di sfogo per le attività ricettive e commerciali della località montana nelle annate con carenza di neve che nel Molise sono diventate frequenti, quando impianti come quello di Capodacqua rimangono inevitabilmente chiusi. I sentieri hanno rispetto alle piste un impatto inferiore sull’ambiente che è l’imperativo dell’epoca attuale nella quale è la sostenibilità il principio informatore di qualsiasi programma di sviluppo. L’obiettivo da perseguire è, dunque, quello di una stazione sciistica per così dire sostenibile, cominciando dagli alberghi e residence e proseguendo con la limitazione del traffico. Per quanto riguarda questo secondo punto la realizzanda “piramide” già riduce gli spazi per la sosta delle auto i quali magari potrebbero essere, allo scopo di nasconderli, ricavati sottoterra (vedi la tesi di laurea dell’arch. G. Bellantonio) oppure essere collocati all’esterno del piazzale, in tale ultimo caso è necessario assicurare lo spostamento dai parcheggi degli sciatori i quali devono potersi muovere nel comprensorio sciistico senza riprendere il volante. Alla luce di quanto appena detto è da scartare l’ipotesi che l’impianto di Capodacqua, finora non servito da strade, una volta potenziato possa essere reso raggiungibile con le automobili, bensì esso, integrato com’è con il carosello sciistico, deve continuare ad essere usufruito tramite il circuito delle piste. In conclusione, si evidenzia che quello di Capodacqua non va inteso quale nuovo impianto di risalita e che, pertanto, l’incremento di carico sull’ambiente non è assolutamente confrontabile con le alterazioni sull’ecosistema che provocherebbe l’estensione del comprensorio sciistico in direzione di Roccamandolfi.

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Ancora 6

6 - CAMPITELLO, IL VILLAGGIO TURISTICO

Campitello quando nacque agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, il Programma di Fabbricazione è del 1967, rappresentò una novità assoluta nel panorama insediativo molisano. Era una realizzazione di avanguardia e tale è rimasta nel senso che nel Molise fino ai giorni odierni non è mai stata replicata una cosa simile, non c’è stato niente di comparabile dopo la sua apparizione dal nulla. Si, dal nulla perché in alta quota, quota superiore seppur di poco a quella di Capracotta, per colpa del carsismo, siamo sul Matese, che limita le fonti di approvvigionamento idrico, cioè le sorgenti l’uomo ha trovato impossibile abitare stabilmente. L’assenza di borghi di montagna tradizionali con i quali confrontarsi, copiare il loro assetto urbanistico e le tipologie costruttive, ha reso liberi da condizionamenti formali di sorta i progettisti di questo complesso turistico. Era uno spazio vuoto e in tutto l’altopiano matesino non vi erano, né vi sono, riferimenti architettonici cui ispirarsi nell’edificazione della località di villeggiatura per cui i suoi ideatori si sono potuti esprimere con il linguaggio dell’architettura, all’epoca, contemporanea. La sua singolarità sta oltre che nell’altitudine in cui sorge e nei caratteri stilistici dell’edificato anche nel fatto che è la prima, peraltro unica, volta in cui un agglomerato edilizio risulta frutto di un disegno unitario; non è stato attuato, per intenderci, tramite un piano di lottizzazione nel quale intervengono operatori diversi nei vari lotti. Qui, invece, l’imprenditore è lo stesso, non vi è stato un frazionamento degli interventi, il quale, mutuando l’espressione “dal cucchiaio alla città” di Rogers, un Maestro del Razionalismo, ha curato ogni aspetto dell’insediamento. Prendendo in prestito e adattandola al nostro caso la celebre frase di Gioberti, un Maestro del pensiero risorgimentale, “fatta l’Italia ora bisogna fare gli Italiani”, si può dire che Campitello è bella e pronta, quello che rimane da fare è abituare i molisani alla vacanza in montagna, non di diventare montanari s’intende. È vero che nella stagione invernale accorrono molti sulle piste da sci, ma sono in pochi a frequentare la stazione turistica nel resto dell’anno, lasciando così inutilizzato l’enorme patrimonio abitativo che ha occupato un pezzo di uno dei luoghi più belli del massiccio montuoso.

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Se le case non vengono usate si può legittimamente parlare di spreco ambientale; il sito risulta ingombrato da una enorme volumetria edilizia, una colata di cemento che ne ha alterato le caratteristiche naturalistiche e percettive. Si è fatto poco per incentivare la pratica dell’escursionismo, uno stimolo alla frequentazione fuori stagione, con Campitello quale campo base e il poco, che comunque per quegli anni era tanto, partendo da zero, dall’assenza totale di “infrastrutturazione” sentieristica in questo comprensorio, è rappresentato dai 6 itinerari nella natura ideati dal direttore tecnico della stazione Riccardo Platner, più che maestro di sci Maestro dello Sci. I tracciati escursionistici proposti indicati su un tabellone in bella vista all’interno del polo montano hanno quale punto di partenza, ovviamente, Campitello il quale può fungere quale base logistica per le “gite” ovvero passeggiate giornaliere e per i trekking che sono plurigiornalieri. Negli anni non si è mai pensato a predisporre un punto informativo per gli appassionati di escursioni, a formare guide per accompagnare i visitatori e i villeggianti desiderosi di provare l’esperienza della camminata. Il cammino non è solo occasione di svago o di conoscenza delle peculiarità ambientali del circondario montagnoso, perché è anche un’attività salutistica. Lo è specie se si svolge in un contesto salubre. La salute era l’obiettivo programmatico dell’iniziativa del presidente dell’Ente provinciale del turismo Ciampitti di promuovere la creazione di un villaggio cosiddetto svedese di casette diffuse nel bosco, quello di Rote-Trabucco, per i benefici ai polmoni e alle coronarie di un periodo di ferie, prolungato perché è essenziale l’acclimatazione, in altura. L’operazione, dato il numero necessariamente ridotto di cottage da ospitare dentro la superficie boschiva, appare di tipo elitario; all’estremo opposto vi è l’elevata quantità di posti letto contenuti nei blocchi di fabbrica della contigua e successiva Campitello che si sta rivelando esorbitante rispetto alla domanda in atto, funzionali a consentire ad un maggior numero di persone di poter villeggiare alle curve di livello superiori e così giovarsi del cambio di pressione atmosferica la quale influisce su quella sanguigna e sulla formazione dei globuli rossi se la permanenza in loco è protratta per un tempo sufficiente.

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Si sta verificando un corto circuito: meno gente decide di trascorrere le vacanze a Campitello, meno negozi, anche di prima necessità, vedi l’alimentare chiuso di recente, rimagono aperti. La massa critica per gli esercizi commerciali di servizio è stimabile in 350-500 abitanti e la loro mancanza, sotto tale soglia, scoraggia il soggiorno nella stazione. Per invogliare a soggiornare nei residence si sta puntando sull’intensificazione dell’effetto villaggio. Una prima azione è la costruzione ai margini della strada provinciale di accesso alla località di un marciapiede, un accenno, solo un accenno, alla pedonalizzazione che è un requisito primario per la vivibilità dell’area auspicata anche da Chappis il progettista della stazione. È una specie di lungo-pianoro, se così si può dire, come fosse un lungomare da cui si riesce ad ammirare la vastissima conca carsica che costeggia e la cima di monte Miletto, la principale del centro-meridione. È comodo per camminare perché si svolge in piano, non altrettanto per passeggiare in compagnia perché stretto e d’altronde non è un viale mancando dell’ombreggiamento degli alberi i quali peraltro ostacolerebbero, non si può avere tutto, la splendida visione delle cose che si è descritto, una visione unica.

7 - CAMPITELLO, CAMPOMARINO, UN CAMP-US VACANZE

Nonostante uno sia in montagna, l’altro sulla costa rispondono alle stesse esigenze di tanti molisani, o almeno rientrano nei loro sogni, di avere una seconda casa, meglio ancora una terza per le ferie estive e invernali.

Ancora 7

Campitello è, in effetti, una “città”, per usare un termine che rimanda alle “città ideali” del Rinascimento, ma che qui impieghiamo come sinonimo di insediamento di “nuova fondazione”, sorprendentemente a 1450 metri di quota. Essa nasce, come si conviene a simili entità urbane, da un’idea base che guida la composizione urbanistica. Questa è, nelle intenzioni iniziali, quella di raggruppare le costruzioni sia per garantire una migliore efficienza nel funzionamento della stazione, alla stregua delle megastrutture, sia per, concentrando i fabbricati in un unico punto, lasciare intatto, a meno dell’ambito in cui insiste tale grumo di cemento, lo spettacolare scenario naturale. La nostra località di turismo invernale non si esaurisce in tale blocco edilizio (Montur, Verande, Kandhar) in quanto vi sono all’intorno altri episodi insediativi dei quali alcuni precedono, altri seguono la realizzazione del nucleo edificato di cui si è detto, il quale, peraltro, è centrale rispetto alle iniziative costruttive avvenute prima e dopo la sua comparsa. È antecedente allo strumento urbanistico (anni 60) che sancisce la nascita del polo sciistico il Villaggio EPT (Ente Provinciale del Turismo) il quale è composto di case unifamiliari (con l’eccezione delle due palazzine disegnate dall’ing. Toffi) mentre nel resto della zona turistica matesina vi sono solo appartamenti; da notare comunque che anche qui i fabbricati, che sono chalet, non hanno un proprio lotto di pertinenza (e dunque non è una lottizzazione), analogamente ai residence, facendo parte di una unità che è il Villaggio (in verità, in una sua propaggine vi è una villa con giardino cintato). 

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Un carattere fortemente distintivo del Villaggio è la bassissima densità costruttiva. Le residenze sono scomode per chi intende praticare lo sci perché distanti dagli impianti di risalita obbligando a prendere l’auto per raggiungerli e, pertanto sono sottoutilizzate anche perché è venuta meno la passione per la vacanza estiva in quota; esse potrebbero diventare alloggi appetibili per gli sciatori qualora si desse attivazione al completamento delle previsioni del successivo Programma di Fabbricazione (anni ’70) il quale colloca alle pendici del bosco di Rote-Trabucco, quello in cui sta il Villaggio, lungo la strada per Sella del Perrone, delle lunghe “stecche” di fabbricati. Queste ultime, la cui cubatura è rapportabile a quella esistente, una specie di raddoppio della volumetria della stazione, costringerebbero a collocare delle funivie in prossimità per evitare il medesimo problema che ha indotto i proprietari a frequentare poco le loro abitazioni nel Villaggio. Da un lato, ciò sarebbe possibile in quanto la situazione morfologica considerata favorevole per l’installazione delle attrezzature funiviarie, cioè un tratto in piano seguito dal versante montano su cui sviluppare il carosello delle piste, la quale indusse alla fondazione della stazione sciistica, è presente pure in questo luogo; il pianoro il quale per intero è sottoposto al massiccio del Miletto, è assai lungo e ciò che identifichiamo come Campitello ne “sfrutta” solo un pezzo. Tanto è vero che è sciabile tutta la fascia molisana di questo monte a Capodacqua, al capo opposto di questa conca carsica rispetto a quello dov’è la stazione, vi è una seggiovia, rinnovata di recente. Dall’altro lato, riprendendo il discorso iniziato, è davvero improbabile che il piano urbanistico che si avvertiva già al momento della sua redazione sovradimensionato, trovi compimento data la diminuzione della nevosità a causa dei cambiamenti climatici in corso.

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Ritorniamo a noi chiudendo l’esame del Villaggio EPT con il riconoscere che è un intervento pianificato e ciò è sempre un bene. Appare, invece, un fatto a sé stante, cioè non coordinato con altre strutture perché isolato posto com’è a Selvapiana, un’area con un proprio toponimo distinto da Campitello, l’albergo Kristiania. La formula adottata nella gestione è quella del “tutto compreso”, di un’offerta di soggiorno completa, di un “pacchetto-vacanze” chiuso nel senso che la struttura ricettiva è dotata al suo interno di piscina, campetto, campo da tennis ed è quindi autosufficiente sotto l’aspetto ricreativo (e ristorativo) perché ha scarso bisogno dei servizi presenti a Campitello che, ad ogni modo, non è lontano. Il suo isolamento, va precisato, non è tale da porlo al di fuori del raggio di distanza massima dal sito di partenza delle funivie. Nel secondo piano urbanistico è stabilita una estensione della località turistica ad ovest, in direzione del vallone S. Nicola la quale era pensata per bilanciare il peso anche in termini visivi che avrebbe avuto qualora attuata, l’espansione commentata sopra verso est, confermando così il ruolo di fulcro al complesso sorto all’inizio, secondo le indicazioni dell’urbanista francese Chappis, ispiratore della pianificazione originaria il quale lo considera il cuore della stazione ed in effetti lo è: il corpo di fabbrica di valle di questo insieme edilizio (il Montur che con le Verande e il Kandhar forma il predetto complesso) è l’unica costruzione a Campitello che ha il pianoterra destinato ad esercizi commerciali tra cui gli alimentari. I residence S. Nicola sono 2, ma unicamente il primo è interessante sotto l’aspetto formale, essendo un tentativo con il suo aspetto gradonato, di richiamare l’immagine delle schiere edilizie tradizionali. È ben diverso dal residence Le Verande, pur essendo in comune l’interesse a rispettare la morfologia del terreno, l’uno, il San Nicola, disponendo le cellule in modo sfalsato per adattare il fabbricato al pendio, l’altro, Le Verande, seguendo con la sua sinuosità la curva di livello su cui si attesta. Quest’ultimo ha la facciata, si noti bene in quanto il lato più soleggiato, sud interamente vetrata. Tipologie urbanistiche, le varie storie insediative, d architettoniche differenti fra loro danno vivacità all’immagine di Campitello il quale, però, ha un’unità di fondo nella sua mission, quella, salvo le poche attività alberghiere e i ristoranti, di essere un’aggregazione di seconde case. La località invernale si sviluppa contemporaneamente a quella estiva di Campomarino rispondendo all’esigenza della borghesia locale di avere la villetta (o il mono, bi o tricamere in condominio) al mare e l’appartamento in montagna, anche per lo status quo che ne deriva e per investire i propri risparmi nel mattone, oltre che per le opportunità di svago fisico.

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Ancora 8

8 - STAZIONE PER LO SCI, ALTRIMENTI VUOTA

È il fenomeno del pendolarismo con gli sciatori che non pernottano nella località matesina, lasciando inutilizzati i suoi immobili.

A Campitello, contrariamente a quanto pronosticato all’inizio, al momento della creazione della stazione sciistica la quale era stata pensata per un turismo residenziale, si è andato affermando nel tempo il pendolarismo. La maggioranza delle persone che frequentano questa località, sia d’inverno sia d’estate, sono pendolari, sempre meno essendo quelli che, proprietari o affittuari, soggiornano per più giorni in qualcuno dei numerosissimi appartamenti presenti nei vari residence costruiti dagli anni ’70 ai ’90. Se questo è certo, come è certo, dovrebbe essere ridotta la potenzialità edificatoria residua prevista dal Programma di Fabbricazione vigente. Invero, va precisato, non è una volumetria residuale, correggendo così quanto detto prima, perché, al contrario, essa è ancora consistente. Dunque, è il tema del flusso turistico giornaliero quello che è diventato centrale nella gestione del centro montano, dato che si sono ormai esaurite le prospettive della stanzialità dei fruitori del sito le quali ultime sole giustificherebbero un’espansione dell’edificato. La verifica dell’impatto ambientale si deve misurare così con la questione delle permanenze di un giorno, essendo ormai fuori dalla concretezza le preoccupazioni per l’ambiente che si genererebbero dall’estensione del costruito. I visitatori che raggiungono il polo di sport invernali matesino in giornata, usufruendone dei servizi producono sicuramente effetti sul contesto ecologico, a cominciare dai rifiuti i quali essendo “stradali” non sono differenziabili, sulla risorsa idrica, i grandi serbatoi sotterranei della nostra montagna, per via delle inevitabili esigenze fisiologiche, sull’aria, i gas di scarico delle auto. Per quanto riguarda la problematica appena citata è da aggiungere che l’inquinamento prodotto dalle tante macchine private, i pullman sono molto meno, riguarda pure la strada che congiunge con S. Massimo. Quelli elencati sono i principali punti critici connessi all’afflusso di turisti, per così dire, mordi e fuggi, ma, è evidente, ve ne sono pure altri, dal rumore che provoca disturbo anche alla fauna selvatica alla copertura con asfalto e, quindi, impermeabilizzazione del suolo, per ricavare parcheggi. Tutte cose alle quali non si era pensato allorché si decise, eravamo nel 1967, la nascita del villaggio vacanze sulla neve. Il progetto, o meglio il piano, o tutte e due insieme perché qui il progetto della società immobiliare viene assunto sic et simpliciter quale piano urbanistico comunale, riguardava la realizzazione di un complesso di fabbricati per alloggi, chiamati impropriamente residence, in quanto gli acquirenti ne hanno il pieno possesso senza essere obbligati, come si conviene ai residence, a ricevere alcuna prestazione da parte del soggetto che li conduce, dalla pulizia dei vani alla fornitura di lenzuola, per esempio. Non sono, bisogna per onestà dirlo, neanche delle classiche seconde case poiché le unità abitative, sempre piccole, sono integrate con una serie di locali comuni dove svolgere attività ricreative e conviviali (un po’ quanto succede, per intenderci, nella cosiddetta edilizia sociale).

La scelta che fu fatta al principio fu quella di accorpare i blocchi destinati a residenze e con i negozi in modo da minimizzare gli spostamenti. Ci si sarebbe mossi a piedi, costantemente al coperto, financo in pantofole, e ciò significa che non vi sarebbe stato traffico automobilistico, una delle conseguenze negative del pendolarismo degli sciatori. Vale la pena soffermarsi sugli aspetti architettonici, sull’idea progettuale del primo nucleo di Campitello il quale è tuttora il corpo centrale dell’insediamento in quanto costituiscono una novità assoluta nel panorama insediativo molisano, non c’è niente da prendere ad esempio, rispetto ai quali bisognerà confrontarsi senza avere modelli di valutazione da seguire per determinare le criticità ambientali; i vantaggi, oltre che nel campo della mobilità, si intravedono nella raccolta degli scarti domestici con i contenitori, di tipo condominiale, conservati al chiuso, nella centralizzazione del riscaldamento per minimizzare i consumi energetici, nel riciclo delle acque e così via. Non è che all’epoca, più di mezzo secolo fa, si poneva attenzione a ciò per cui l’impostazione compositiva adottata segue semplicemente logiche funzionali senza disdegnare, ad ogni modo, interesse per l’autopromozione della struttura, una specie di marketing fatto attraverso l’architettura. È la pianta ad U del Montur, a far venire in mente tale lettura, l’emiciclo essendo una forma “classica” la quale conferisce un’immagine, per certi versi e con i limiti immaginabili, nobile alla fabbrica. Campitello sembra sia in continua ricerca di elementi fisici caratterizzanti, l’altro è la piramide, un archetipo assoluto, l’involucro del palazzetto del ghiaccio. Più di tutto, però, ad impressionare un osservatore, oggi noi ci abbiamo fatto l’abitudine, visiva, è la scala della costruzione la quale appare come un insieme unitario pur articolato in due parti distinte, l’una, il binomio Kandhar e le Verande, soprapposta all’altra, il Montur, collegate da un ascensore inclinato, un’esibizione, peraltro, di tecnologia innovativa, che aggiorna la funicolare. In definitiva è ciò che si chiama megastruttura, simile a quelle che, nel medesimo periodo, cominciano ad apparire nelle grandi città e, perciò, è un simbolo della modernità. Il rapporto con il paesaggio è nella stessa planimetria semicircolare che richiama la concavità del circo glaciale che sta dirimpetto. Poca cosa e non sarebbe andata meglio se, perché il problema è l’ingombro dello spazio innanzitutto, invece di questo conglomerato cementizio, ammassamento di volumi, si fosse puntato su palazzine singole, cariche esteriormente di rimandi alle dimore tradizionali come fece Ridolfi un decennio prima al quartiere Tiburtino a Roma, rievocazioni che sono presenti nella operazione compiuta di recente di arredo urbano. L’ampliamento del centro turistico secondo lo strumento urbanistico, attuato sia in un modo sia nell’altro, produrrebbe inevitabilmente l’alterazione dei quadri percettivi con serie lesioni all’ambiente, intollerabili per un’area che è nel cuore del Parco Nazionale.

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Ancora 9

9 - INSEDIARSI IN QUOTA

Campitello è a oltre 1.400 metri di altitudine dove, eccetto Capracotta, nel Molise non vi sono altri insediamenti. Fra poco compirà 50 anni e pur se la sua vita non è lunga ha subito diverse evoluzioni.

Un insediamento urbano è normalmente riconosciuto, superata ormai la logica dello zoning, quale luogo in cui vi è la compresenza di una pluralità di funzioni, non un posto formatosi per semplice accostamento di fatti distinti. Una città per essere viva, autentica, ha bisogno che le cose si mischino fra loro, le abitazioni, i servizi, le sedi lavorative. Invece, nei centri turistici, specie in quelli nati proprio per questo scopo, dove, cioè, all’origine non c’era un nucleo abitato evoluto poi in località di villeggiatura, prendi Roccaraso, vi è una diversa impostazione della pianificazione che prevede la separazione delle differenti attività. La differenza tra una stazione di soggiorno e una città, anche quando molto piccola, è evidente se solo si pensa alla complessità del fenomeno urbano; un agglomerato insediativo ha, qui da noi, una storia solitamente millenaria che produce la stratificazione dell’edificato e con essa delle destinazioni funzionali, cose non presenti in nuclei sorti ex novo, quindi negli insediamenti turistici. Campitello che è uno di questi è stato progettato con una netta distinzione delle attività: gli alberghi, la galleria commerciale, le piste da sci alpino e quelle per lo sci nordico, gli alloggi per vacanze. Mancava la chiesa nel progetto iniziale forse perché vi era l’iniziativa in corso, poi non proseguita, di Franco Ciampitti, il presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo al quale si deve la nascita di Campitello, di costruzione della Madonna delle Neve sul colle che domina il pianoro all’entrata della stazione; solo in seguito è stata realizzata la cappella attuale ai margini del piazzale che contribuisce al tanto ricercato effetto villaggio. Questa scansione così definita delle destinazioni d’uso non comporta una loro collocazione in spazi distaccati, bensì esse rimangono raggruppate intorno ad un elemento centrale, il cosiddetto «ferro di cavallo», e collegate fra loro da un camminamento coperto e da una sorta di funicolare. Tale impronta di «megastruttura», di unico enorme blocco cementizio contenente posti letto e servizi, viene conservata pure nel nuovo piano urbanistico, quello vigente, che prevede un notevole aumento di cubatura, ma anch’essa concentrata intorno a quella piazza ad U di cui si è fatto cenno. Siamo di fronte all’applicazione del concetto lecourbesiano di complesso a «dimensione conforme», questa volta riferito ad un centro di sport invernali e non all’unitè d’habitation. Il programma di fabbricazione attuale è stato ispirato da Laurent Chapis, l’architetto delle prime stazioni sciistiche sulle Alpi, il quale teorizzava che gli sciatori pendolari dovessero essere differenziati da quelli, per così dire, residenti; gli sciatori giornalieri devono avere propri servizi, percorsi differenti da quelli dei turisti più stabili, senza che intralcino le esigenze di vivibilità dei secondi, dunque la permanenza prolungata di questi ultimi nel centro. Secondo Chapis si devono configurare, da un lato, spazi per i visitatori e dall’altro spazi per i fruitori delle settimane bianche o dei weekend, più o meno prolungati; per gli uni necessitano, per esemplificare, locali dove è possibile lasciare borse e ricambi di vestiario, per gli altri sono da offrire occasioni di svago nel dopo sci. I pendolari non devono avere accesso con le auto all’interno dell’insediamento turistico e non possono scegliere dove parcheggiare, ma si è costretti a sostare le automobili private e gli autobus in un determinato sito, mentre i residenti hanno facoltà di transitare per raggiungere i garages condominiali. Chapis suggeriva che ci si sarebbe dovuti fermare, addirittura, alle Pianelle, a 3 chilometri da Campitello che sarebbe stato raggiunto con servizi navetta. La descrizione fatta è finalizzata, come si può intendere, a evidenziare, per un verso, l’estrema articolazione delle funzioni, ben diversa da quella rinvenibile in un nucleo urbano dove i fatti si accavallano, si mischiano, si sovrappongono, a volte in maniera abbastanza casuale, frutto come sono delle vicende storiche che esso ha vissuto, del coacervo di componenti sociali e, di conseguenza, di esigenze spesso divergenti, e per l’altro verso che l’impianto urbanistico segue un modello architettonico definito, al contrario degli agglomerati abitativi classici in cui nella forma urbana si registrano le varie fasi di espansione. Vi è, in verità, un’eccezione a quanto affermato ed è il caso delle «città ideali» del Rinascimento italiano (vedi Palmanova) e delle città coloniali americane con il tipico tracciato a maglia ortogonale, e ideale è un aggettivo che è lecito adottare per una stazione sciistica d’impianto (non legata ad un centro abitato). Ideale è, comunque, una stazione al momento della sua fondazione in quanto in seguito, Campitello ha ormai quasi cinquant’anni, il suo schema subisce contaminazioni. Nella località matesina esse sono iniziate pure, si riconosce che è paradossale, antecedentemente agli impianti da sci: il villaggio EPT nel bosco Rote-Trabucco preesisteva all’iniziativa imprenditoriale del gruppo immobiliare del conte Stella. Ci sono anche il rifugio storico e la casa del guardiano presso la Pinetina della Società Meridionale d’Elettricità a servizio della centrale idroelettrica di S. Massimo che è degli anni ’20 del secolo scorso. Nell’ultimo decennio vi sono stati dei cambiamenti nell’assetto del centro turistico il principale dei quali è la comparsa della piazza in cui ora si sta erigendo la piramide in vetro del palazzetto dello sport; l’epicentro della località si sta spostando con la definizione di un nuovo punto centrale. Si legge, poi, la tendenza al restyling con la pavimentazione in pietra del lungo marciapiede contornato da una staccionata in legno, ambedue materiali che conferiscono l’atmosfera del villaggio alpino e che sono in contrapposizione agli enormi volumi in cemento armato costruiti in passato che ingombrano il sito. Finora si è parlato di rinnovo, va evidenziato, e non di crescita e neanche di trasformazione vera e propria, la piazza non basta, neppure nella modalità della rigenerazione urbana. Si legge ad ogni modo un accenno di evoluzione, sempre la piazza e gli interventi di arredo urbano, che va nella direzione della caratterizzazione di Campitello non più quale località tutta legata allo sci (si pensi che i tetti dei corpi edilizi che dovrebbero sorgere di fronte al “ferro di cavallo” sono inclinati per permettere agli sciatori di raggiungere le piste direttamente dai residence), ma che punta alla pluristagionalità, alla frequentazione turistica anche in stagioni diverse da quella invernale; a questo proposito, per sottolineare la innovazione in embrione, che ciò è ben altra faccenda che quella di garantire un gradevole soggiorno ai turisti che trascorrono un periodo di più giorni sulla neve nonostante che pure per questo fine occorra un ambiente urbano gradevole. Accompagnare tale mutazione ancora in germe, la quale è in linea con l’esigenza di valorizzazione del Matese, del quale Campitello potrebbe fungere da centro servizi, dovrebbe essere lo scopo di un rivisitato strumento urbanistico. La necessità di una nuova pianificazione scaturisce pure dal bisogno di introdurre accorgimenti per la sostenibilità ambientale, tema particolarmente importante trovandoci nel cuore di un ambito di valenze ecologiche eccezionali. Si dovrebbe pensare pure a ridurre i metri cubi edificabili secondo il piano in vigore per salvaguardare l’immagine di questa conca davvero unica, il vero motivo della scelta del sito da parte della società imprenditrice che realizzò Campitello; il Molise spesso sottovaluta la bellezza dei suoi beni. L’ubicazione degli edifici è nella parte più soleggiata di Campitello in quanto discostata da m. Miletto al quale invece la proposta progettuale in esame della ditta Cicchese si avvicina e il costruire affianco a questo monte che ha un grande valore simbolico costituisce, peraltro, una sorta di mancanza di riguardo nei suoi confronti. Infine, si ritorna alla espressione dimensione conforme, sempre con riferimento a questo progetto, la quale contiene in sé il significato di compiutezza e nello stesso tempo di limite dimensionale, per dire che il mancato completamento del piano urbanistico rende oggi parziali attuazioni dello stesso, come quella che ha in cantiere la ditta Cicchese, incoerenti con l’assetto dell’agglomerato turistico ormai cristallizzato.

Ancora 10

10 - A PIEDI DENTRO E FUORI CAMPITELLO

Le escursioni si effettuano muovendosi con gli scarponi ai piedi e, ovviamente, ciò avviene all’esterno del perimetro della stazione turistica, mentre all’interno ancora non si predispone un piano per la pedonalizzazione complessivo, non vi sono percorsi riservati alle passeggiate se non il marciapiede che costeggia il piazzale.

Campitello quando nacque agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, il Programma di Fabbricazione è del 1967, rappresentò una novità assoluta nel panorama insediativo molisano. Era una realizzazione di avanguardia e tale è rimasta nel senso che nel Molise fino ai giorni odierni non è mai stata replicata una cosa simile, non c’è stato niente di comparabile dopo la sua apparizione dal nulla. Si, dal nulla perché in alta quota, quota superiore seppur di poco a quella di Capracotta, per colpa del carsismo, siamo sul Matese, che limita le fonti di approvvigionamento idrico, cioè le sorgenti l’uomo ha trovato impossibile abitare stabilmente. L’assenza di borghi di montagna tradizionali con i quali confrontarsi, copiare il loro assetto urbanistico e le tipologie costruttive, ha reso liberi da condizionamenti formali di sorta i progettisti di questo complesso turistico. Era uno spazio vuoto e in tutto l’altopiano matesino non vi erano, né vi sono, riferimenti architettonici cui ispirarsi nell’edificazione della località di villeggiatura per cui i suoi ideatori si sono potuti esprimere con il linguaggio dell’architettura, all’epoca, contemporanea. La sua singolarità sta oltre che nell’altitudine in cui sorge e nei caratteri stilistici dell’edificato anche nel fatto che è la prima, peraltro unica, volta in cui un agglomerato edilizio risulta frutto di un disegno unitario; non è stato attuato, per intenderci, tramite un piano di lottizzazione nel quale intervengono operatori diversi nei vari lotti. Qui, invece, l’imprenditore è lo stesso, non vi è stato un frazionamento degli interventi, il quale, mutuando l’espressione “dal cucchiaio alla città” di Rogers, un Maestro del Razionalismo, ha curato ogni aspetto dell’insediamento. Prendendo in prestito e adattandola al nostro caso la celebre frase di Gioberti, un Maestro del pensiero risorgimentale, “fatta l’Italia ora bisogna fare gli Italiani”, si può dire che Campitello è bella e pronta, quello che rimane da fare è abituare i molisani alla vacanza in montagna, non di diventare montanari s’intende. È vero che nella stagione invernale accorrono molti sulle piste da sci, ma sono in pochi a frequentare la stazione turistica nel resto dell’anno, lasciando così inutilizzato l’enorme patrimonio abitativo che ha occupato un pezzo di uno dei luoghi più belli del massiccio montuoso. Se le case non vengono usate si può legittimamente parlare di spreco ambientale; il sito risulta ingombrato da una enorme volumetria edilizia, una colata di cemento che ne ha alterato le caratteristiche naturalistiche e percettive. Si è fatto poco per incentivare la pratica dell’escursionismo, uno stimolo alla frequentazione fuori stagione, con Campitello quale campo base e il poco, che comunque per quegli anni era tanto, partendo da zero, dall’assenza totale di “infrastrutturazione” sentieristica in questo comprensorio, è rappresentato dai 6 itinerari nella natura ideati dal direttore tecnico della stazione Riccardo Platner, più che maestro di sci Maestro dello Sci. I tracciati escursionistici proposti indicati su un tabellone in bella vista all’interno del polo montano hanno quale punto di partenza, ovviamente, Campitello il quale può fungere quale base logistica per le “gite” ovvero passeggiate giornaliere e per i trekking che sono plurigiornalieri. Negli anni non si è mai pensato a predisporre un punto informativo per gli appassionati di escursioni, a formare guide per accompagnare i visitatori e i villeggianti desiderosi di provare l’esperienza della camminata. Il cammino non è solo occasione di svago o di conoscenza delle peculiarità ambientali del circondario montagnoso, perché è anche un’attività salutistica. Lo è specie se si svolge in un contesto salubre. La salute era l’obiettivo programmatico dell’iniziativa del presidente dell’Ente provinciale del turismo Ciampitti di promuovere la creazione di un villaggio cosiddetto svedese di casette diffuse nel bosco, quello di Rote-Trabucco, per i benefici ai polmoni e alle coronarie di un periodo di ferie, prolungato perché è essenziale l’acclimatazione, in altura. L’operazione, dato il numero necessariamente ridotto di cottage da ospitare dentro la superficie boschiva, appare di tipo elitario; all’estremo opposto vi è l’elevata quantità di posti letto contenuti nei blocchi di fabbrica della contigua e successiva Campitello che si sta rivelando esorbitante rispetto alla domanda in atto, funzionali a consentire ad un maggior numero di persone di poter villeggiare alle curve di livello superiori e così giovarsi del cambio di pressione atmosferica la quale influisce su quella sanguigna e sulla formazione dei globuli rossi se la permanenza in loco è protratta per un tempo sufficiente. Si sta verificando un corto circuito: meno gente decide di trascorrere le vacanze a Campitello, meno negozi, anche di prima necessità, vedi l’alimentare chiuso di recente, rimagono aperti. La massa critica per gli esercizi commerciali di servizio è stimabile in 350-500 abitanti e la loro mancanza, sotto tale soglia, scoraggia il soggiorno nella stazione. Per invogliare a soggiornare nei residence si sta puntando sull’intensificazione dell’effetto villaggio. Una prima azione è la costruzione ai margini della strada provinciale di accesso alla località di un marciapiede, un accenno, solo un accenno, alla pedonalizzazione che è un requisito primario per la vivibilità dell’area auspicata anche da Chappis il progettista della stazione. È una specie di lungo-pianoro, se così si può dire, come fosse un lungomare da cui si riesce ad ammirare la vastissima conca carsica che costeggia e la cima di monte Miletto, la principale del centro-meridione. È comodo per camminare perché si svolge in piano, non altrettanto per passeggiare in compagnia perché stretto e d’altronde non è un viale mancando dell’ombreggiamento degli alberi i quali peraltro ostacolerebbero, non si può avere tutto, la splendida visione delle cose che si è descritto, una visione unica.

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11 - CHE SPASSO SAREBBE ANDARE A SPASSO PER CAMPITELLO

In questa località turistica, salvo il marciapiedi realizzato a lato del piazzale di recente, mancano percorsi pedonali. Eppure per attrarre persone a soggiornarvi sarebbe auspicabile la realizzazione di un viale, possibilmente alberato, lungo il quale passeggiare. Camminare in natura, lungo i sentieri, è importante, ma lo è pure il passeggio nel centro di vacanza.

Per invogliare ad una frequentazione degli alloggi, spesso sottoutilizzati, che compongono i residence occorre puntare all’intensificazione dell’effetto-villaggio agendo sulla pedonalizzazione. Una delle azioni auspicabili è quella della separazione delle percorrenze pedonali e quelle automobilistiche, il meglio sarebbe il prevedere corsie per pedoni in sede propria il che vuol dire non affiancate a quelle carrabili. Mancano ancora, né sono in progetto, camminamenti pedestri che congiungano le varie attività, dalla biglietteria degli impianti di risalita alla chiesa alla piazza gradonata al palazzetto del ghiaccio, al rifugio EPT fino alla galleria commerciale Montur. Attualmente chi va a piedi non è tranquillo dovendo stare attento alle auto che passano a fianco. Potrebbe essere opportuno, visto che siamo in quota, un porticato quale prosecuzione del portico a forma di ferro di cavallo del Montur, a differenza di questo non affiancato da negozi o ristoranti, che permetta a coloro che si spostano con le proprie gambe di non essere esposti alle intemperie, di potersi muovere anche con la pioggia e durante le nevicate. Ad essere esclusa da questo sistema continuo di passaggi coperti rimarrebbe unicamente la cosiddetta Piramide, la quale per l’assolutezza della sua forma, è un “solido platonico”, non accetterebbe di venir affiancata da alcuna pensilina di sorta. Del resto, da un lato, il suo ingresso non sta nel piazzale sul quale aprono tutti gli altri edifici, bensì si entra dal pianoro che è quota inferiore e, dal’altro lato, è certo che l’accostamento a questo prisma in vetro di appendici seppure leggere cozza con la ricerca di purezza dell’immagine di questo oggetto di alto valore simbolico, immagine estremamente accattivante la quale rientra in un’operazione di marketing, di richiamo pubblicitario per il rilancio della località. Quello che manca a Campitello, così come nella maggioranza di quei Comuni molisani che ambiscono a diventare luoghi di villeggiatura, è un viale. Qui si potrebbe attrezzare, non c’è bisogno di piantumare alberi ai bordi, a tale scopo il tratto iniziale della strada per Sella del Perrone che ha limitata pendenza, dotandolo di punti di sosta con panchine e lampioni lungo il suo svolgimento. Oggi si può passeggiare sul marciapiede a lato della strada provinciale di accesso a Campitello, piacevolmente perché è con vista dell’insieme di Miletto e pianoro, un lungo-pianoro così come c’è il lungo-mare e il lungo-lago e poi perché è pressoché pianeggiante. Il viale proposto sopra ne costituirebbe la prosecuzione, allungando il percorso del passeggio e permetterebbe di camminare, per diporto, lontano dal rumore del traffico e dal vociare dei frequentatori del centro trattandosi di un ambito appartato. È assente pure un giardino pubblico per la ricreazione all’aperto dei villeggianti, magari sul modello dell’alpen garden, da usufruire in estate, il quale è complementare al viale. La pedonalità non sarebbe possibile, è bene evidenziarlo, se i fabbricati residenziali fossero troppo lontani dalle seggiovie. A proposito della dispersione insediativa c’è da dire che alcuni ritengono che la concentrazione in un unico sito, la situazione attuale, delle cubature edilizie abbia una forte incidenza percettiva ed è vero, è una enorme massa edificata composta da molteplici residence, le Verande, il Kandhar, i S. Nicola 1 e 2, tutti di grosse dimensioni  posti a distanza ravvicinata fra loro; gli stessi critici pensano che sarebbe stato opportuno, a parità di volumetria prevedere l’edificazione di costruzioni di grandezza contenuta se non di casette a schiera o meno, di villette come si vedono nelle località turistiche alpine più celebrate. È da immaginare l’effetto negativo sul paesaggio che avrebbe avuto la disseminazione in un’intorno ampio, non circoscritto allo spazio, tutto sommato ristretto, occupato ora da questa stazione di sport invernali, di corpi di fabbrica, si piccoli e però innumerevoli. Nel contempo è da riflettere sulle conseguenze di tale distribuzione delle unità alloggiative applicando nel Programma di Fabbricazione un indice fondiario basso sul traffico che avrebbero generato gli spostamenti dalle residenze alle partenze degli impianti di risalita, non è nelle cose muoversi di casa per raggiungere le sciovie avendo già dovuto calzare gli scarponi da neve. Il Villaggio EPT composto da immobili unifamiliari diffusi nell’areale del bosco Rote-Trabucco costituisce un monito, un esempio da non seguire; a sua giustificazione vi è il fatto che esso è precedente alla stazione dello sci. La decisione urbanistica di accentrare gli alloggi unendoli fra loro e questi con i servizi va nella direzione di ridurre la necessità dell’uso dell’automobile. Le unità abitative sono raggruppate in poche, assai voluminose entità architettoniche. Esse, peraltro, vengono a costituire un insieme in quanto reciprocamente prossime. Probabilmente preoccupati di determinare un “grumo” cementizio troppo consistente dovettero convincersi che sarebbe stato opportuno articolare la grossa quantità volumetrica frazionandola in più tronconi, i singoli residence, intermezzandoli con minime strisce di verde. Essi sono collegati pedonalmente, almeno il gruppo centrale. Si cammina andando da una parte all’altra di questo nucleo che è al centro di Campitello formato dalle Verande, il Kandhar e il Montur sempre al chiuso; anda- ndo da sopra a sotto si passa lungo un corridoio vetrato che si sviluppa al piano basamentale de Le Verande cui si raccorda anche il camminamento che parte dal Kandhar per proseguire trasportati da un ascensore inclinato nell’ambulacro semicircolare del Montur su cui affacciano ingressi e vetrine di negozi e un esercizio di ristoro. Quando si è obbligati a uscire allo scoperto allora iniziano i problemi, chi intende adoperare per spostarsi le proprie gambe sarà costretto a zigzagare tra le macchine in sosta, al Montur manca un garage per gli ospiti, e in movimento. Dal lato del piazzale che volge verso monte, non monte Miletto che è, incredibile ma vero verso valle, non vi è quella stessa continuità della percorrenza pedonale protetta, ovvero su marciapiede, che vi è in quello opposto. La persona semovente nell’attraversare la località secondo il suo asse maggiore, se non opta per il più sicuro percorso bordo-pianoro, si imbatte in due innesti di strade secondarie, ambedue a fondo cieco, l’una che risale l’altura in cui sorgono Le Verande e il Kandhar e l’altra che ridiscende il pezzo iniziale, l’imbocco, del vallone S. Nicola, costeggiato sui lati contrapposti dal S. Nicola 1 e dal S. Nicola 2. Si tratta di vie laterali che conducono a complessi residenziali i quali aspirano a stare appartati, non hanno avuto interesse a prospettare sul piazzale, il luogo su cui si riversano i turisti, per così dire, giornalieri i quali inevitabilmente generano confusione e rumore con disturbo della quiete di chi è in vacanza a riposare; da notare, annotazione marginale, in riferimento al discorso che si è fatto prima sulla passeggiata, per chiudere in qualche modo il cerchio, che entrambe le stradine hanno una accentuata pendenza il che le rende oltre che per la sezione viaria ristretta inidonee per il passeggio.

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12 - SCIARE È BELLO SE LA MONTAGNA È BELLA

Non farebbe certo piacere praticare lo sci in un ambiente degradato e, perciò, occorre evitare che opere impattanti come l’innalzamento a Campitello delle funivie possano alterare il contesto paesaggistico montano. Si va a sciare anche per godere dei suggestivi panorami del comprensorio matesino. I lunapark dove pure si scivola devono essere belli, per ragioni analoghe.

È sicuramente il luogo più bello del Parco Nazionale del Matese e, nello stesso tempo, il luogo maggiormente oggetto di trasformazioni dell’intero comprensorio matesino, non si può fare il paragone con nessun altro angolo del massiccio, neanche con Bocca della Selva. Tutto ciò apparirebbe paradossale se non fosse che proprio dove sono più elevate le valenze paesaggistiche lì l’interesse allo sfruttamento turistico anche mediante lavori impattanti è più elevato. Al turismo legato al godimento delle qualità panoramiche del sito qui si aggiunge qualcosa di ulteriore che sono le sue potenzialità sciistiche; è bene precisare che non siamo di fronte ad una mera coincidenza il fatto che in questa località vi siano entrambe le attrattive, quella del paesaggio e quella dello sci. Infatti siamo nell’ambito più decisamente alpestre di questa montagna, con la cima di monte Miletto spettacolare per il circo glaciale appena al di sotto e la sua altitudine superiore a 2000 metri, elevazione, anche se non si raggiunge tale altimetria con gli impianti di risalita (cosa che si vorrebbe fare ora), che garantisce la presenza di neve a lungo e, di conseguenza, insieme all’”aiutino” dell’innevamento artificiale nelle quote inferiori, la possibilità di sciare, a lungo. Bisogna, poi, considerare in riferimento alla vocazione sciistica che il versante molisano del Matese il quale volge verso l’Adriatico è più distante dal mare di quanto lo sia quello campano in quanto in questa porzione della Penisola l’Appennino non sta sulla sua mezzeria, bensì è spostato sul lato tirrenico. Non solo Campitello subisce minimamente, data la lontananza, l’influenza marina mitigatrice della temperatura, ma è protetto dalle perturbazioni provenienti da ovest per via della barriera montuosa (la protezione verrebbe meno se ci si avvicina alla vetta che, appunto, svetta). In aggiunta, il fianco del rilievo montano che ricade nel Molise è esposto a nord, quindi più freddo. Infine, il dislivello da monte (Miletto) a valle (il pianoro), circa 600 metri, è sufficiente per avere piste ben sviluppate. Ritornando alla considerazione che Campitello è attraente tanto per la bellezza degli scenari quanto a ragione della suscettibilità intrinseca per la pratica dello sci vediamo che la faggeta che si sviluppa alle pendici del Miletto, in quanto superficie forestale è, di certo, elemento di richiamo nonostante risulti alterato dal passaggio delle piste e delle sciovie, autentiche cicatrici nel manto boscoso. Se dal punto di vista di osservazione del visitatore amante dell’integrità dei quadri visivi ciò è un aspetto del tutto negativo, da quello dello sciatore lo è, come è ovvio che sia, meno, forse dall’interno delle piste se ne accorge meno, lo ritiene magari un sacrificio inevitabile. È da considerare che gli sport invernali sono quelli in cui vi è la maggiore correlazione tra attività sportiva e turismo. In altri termini, colui che scia ama farlo in contesti ambientali gradevoli per cui anche lo sciatore, salvo le manomissioni necessarie per la realizzazione delle opere funzionali alla discesa con gli sci, il suo obiettivo primario, è favorevole alla conservazione delle visuali di pregio. È troppo generico, lo si ammette, parlare di sciatore perché vi sono sia quelli “pendolari”, sia quelli che pernottano nella stazione montana. Ai secondi, oltre naturalmente la ricettività, occorre offrire occasioni di divertimento per impegnare i momenti del dopo-sci. Poca cosa nelle stazioni ski-total come era stata concepita all’inizio la nostra, che oggi, invece, assumono un peso rilevante nella pianificazione della località vista la diminuzione delle precipitazioni nevose. Campitello al principio ha puntato tutto sullo sci anzi la nascita di Campitello è contemporanea alla nascita dello sci quale fenomeno di massa, prima essendo uno sport elitario (il principe Umberto di Savoia è il più noto dei frequentatori del passato). Del resto questo polo montano è sorto dal nulla, non doveva tener conto di preesistenti impostazioni del centro turistico alla stregua, per esempio, di Roccaraso, che ne avrebbero potuto condizionare l’organizzazione. Se la comparsa della stazione invernale matesina non è stata preceduta, come pure avvenuto altrove e adesso quale esemplificazione si indica Capracotta dove la funivia di m. Capraro è di moltissimo successiva agli anelli di sci di fondo di m. Campo, da niente è negli ultimi anni che si è cominciato a programmare attrezzature alternative alla discesa, invertendo l’ordine consueto delle infrastrutture per il turismo invernale. Si realizza così il palazzetto per il ghiaccio che è funzionale, da un lato, agli sciatori per trascorrere il tempo libero e, dall’altro lato, ad un’utenza generica, cioè anche a chi non si reca a Campitello per sciare, né è un accompagnatore dei primi. È, in definitiva, una cosa a sé, distinta dallo sci che, però, ha in comune con questo l’essere pur esso, il pattinaggio su ghiaccio, uno sport invernale; non è, dunque, un’iniziativa infrastrutturale come tante, prendi un campo di basket o una piscina, scelta a caso perché è coerente con la natura di questo villaggio turistico che è montano. Il suo essere tipico degli insediamenti per vacanza in quota non fa temere a tale attrezzatura la concorrenza di altre simili nei comuni a valle che non ve ne sono (né ci potrebbero stare date le condizioni climatiche, è superfluo dirlo). Il pattinaggio su piste ghiacciate è, comunque, un richiamo assai minore di quello di sciare su piste innevate, non c’è alcunché in montagna che può stare alla pari, in quanto a numero di praticanti, allo sci il quale è, dopo il calcio, lo sport più amato dagli italiani. Talmente amato che si accetta volentieri, pur di poter sciare, di effettuare lunghi spostamenti. Per qualche aspetto, per quello che lo sci impone defaticanti viaggi per raggiungere la base di partenza degli impianti, probabilmente la passione per lo sci è più forte di quella del gioco del pallone, ma al proposito va tenuto conto di quanto sottolineato in precedenza, che al piacere di sciare si associa il gusto di apprezzare i panorami, una molla non da poco. Mentre si scia ci si immerge in ambienti di indiscutibile valore come sono le zone in altitudine. A rafforzare tali affermazioni vi è la constatazione che anche chi vive nell’area matesina non disdegna di muoversi per andare a Roccaraso e non solamente per cimentarsi su altri tracciati, non i soliti, o sperimentarne di più impegnativi. Lo sci si sposa pure con la vacanza, la quale in quanto tale deve svolgersi in una situazione ambientale piacevole (di nuovo la questione del mantenimento dei caratteri di pregio dell’area sciabile) e allora si parte in direzione delle Alpi per la cosiddetta settimana bianca. Piuttosto che tirare delle conclusioni si chiude raccomandando ai gestori di Campitello di non tirare troppo la corda, o meglio la fune degli impianti a fune, sollevando la loro stazione di smonto, per non rischiare di rovinare i quadri percettivi e di compromettere, avvicinandosi troppo, la “sacralità” della vetta, la più alta dell’Italia centro-meridionale.

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13 - A CAMPITELLO UN RIFUGIO CHE NON SERVE PIÙ PER RIFUGIARSI

Oggi per via della presenza di numerose strutture ricettive nella nostra località turistica montana non si coglie l’utilità del rifugio EPT il quale andrebbe destinato ad altri usi, tipo centro visita o museo della montagna. In quota, sopra i 2000 metri alla fine dell’800 venne costruito un bivacco che poi il tempo e le intemperie hanno fatto.

Ogni qual volta si discuta di parchi è evidente che uno dei temi da trattare sia quello dei rifugi. Ebbene anche in questo caso, il caso del Matese, ci tocca parlare di tali manufatti costruttivi che, poi, sono gli unici ammessi in un’Area Protetta qual’è la nostra essendo la montagna in questione diventata Parco Nazionale. In verità, qui di volumetria realizzata ce n’è tanta, tutta concentrata a Campitello. Il rifugio per sua natura è una struttura isolata ma in questa località non è affatto solinga attorniata com’è di molti residence edificati in passato il che ne altera il suo senso precipuo, quello di presidiare l’altura per garantire la possibilità di rifugiarsi, alla bisogna, ai frequentatori di questa zona d’altitudine; non c’è, certo, ora più la necessità di un attrezzatura specifica per soddisfare l’esigenza di un posto dove ripararsi al sopraggiungere di fenomeni atmosferici intensi e inattesi oppure per ricoverarsi al chiuso allorché la notte ti colga all’improvviso, essendoci in loco diversi alberghi che potrebbero servire all’uopo. Il rifugio dà, ad un tempo, alloggio ai praticanti di monti e al conduttore dello stesso il quale avrebbe il compito di soccorrere chi, a causa di un qualche incidente occorso durante un’escursione montana, sia in difficoltà e anche di rintracciare le persone che si sono smarrite lungo un sentiero (operazione fattibile se si è preventivamente informato il gestore del rifugio dell’itinerario che intendevano seguire). Il rifugio di Campitello, specie antecedentemente alla realizzazione, siamo intorno al 1960, della strada che conduce alla stazione sciistica, è stato utilizzato, una sistemazione spartana, recandovisi la sera prima da coloro che volevano intraprendere percorsi che impegnano un’intera giornata per cui è necessario che si parta all’alba. È da dire che gli oneri a carico di colui che gestisce il rifugio erano, appunto, onerosi con molte spese, compensati, in certo qual modo, dagli introiti dell’attività ristorativa aperta anche a coloro che non sono frequentatori della rete sentieristica, bensì che vengono fin qui per una scampagnata, il rifugio quale meta di una gita domenicale. Se il rifugio ha perso ormai il ruolo che aveva all’origine conserva ancora delle vestigia del suo antico prestigio legato all’essere approdo sicuro per i camminatori, imponendosi per la sua centralità nel contesto insediativo; la sua muratura in pietra a vista richiama le architetture tipiche di montagna, è, in miniatura, il nucleo storico dell’urbanistica di Campitello. È ben riconoscibile, è il fulcro percettivo delle vedute di questo centro di sport invernali da qualsiasi angolatura lo si guardi. È, in qualche modo, il suo cuore. Campitello non si può dire che sia nata proprio dal nulla, c’era già il rifugio quando si decise di farne un polo turistico. Il rifugio che si chiama ancora comunemente EPT, le iniziali di Ente Provinciale per il Turismo, è di proprietà pubblica, peraltro l’unico locale di proprietà di enti in quota, salvo l’infermeria e la sua conduzione viene affidata ad un soggetto privato. Se così stanno le cose allora è plausibile, essendo venuta a cadere, per quanto detto, la sua ragione sociale originaria, il poter essere destinato ad altre funzioni. È possibile immaginare, vista pure la sua centralità all’interno dell’insediamento, la sua utilizzazione quale centro visita oppure museo della montagna. Una differente utilizzazione ipotizzabile è quella a foresteria (nel Programma di Fabbricazione è indicata una particella dove dovrebbe sorgere una cosa del genere rimasta vuota) per guardia-parco e ogni genere di operatori preposti alla cura degli ambienti naturali. Se rifugio deve rimanere occorrerà privilegiarne la fruizione da parte di persone non abbienti o di ragazzi, gruppi, gruppetti, perché piccolo quasi fosse una colonia alpina. Va lasciata in tal senso al volume edilizio una porzione nelle disponibilità del Soccorso Alpino e degli specifici corpi delle Armi confermandosi, in questa maniera, l’essenza di un rifugio che è un indispensabile presidio per garantire la sicurezza in montagna, una primaria esigenza. Esso appare indispensabile per supportare la pratica dell’escursionismo e il primo è in coincidenza, guarda caso, siamo alla fine del XIX secolo, con lo sbocciare di tale passione in prossimità della vetta del monte Miletto, un piccolo bivacco in cui rifugiarsi all’occorrenza. Tale capanno fu eretto dalla Società Alpinistica Meridionale, una associazione nata da una scissione, poi rientrata, del Club Alpino Italiano, sezione di Napoli, promossa da un gruppo di giovani ardimentosi in contrasto con l’atteggiamento “posato” del consiglio direttivo della stessa in cui erano presenti Benedetto Croce e il nostro, era di S. Giuliano del Sannio, Pedicino, degli amanti dei monti da tavolino e non in ambiente. Il CAI partenopeo è del 1871, la seconda realtà sezionale in ordine di tempo d’Italia, precedendo di 14 anni quella di Campobasso. In quel lasso temporale sono stati i campani a fare le veci dei molisani in quanto a promotori delle gite sui rilievi matesini; del resto questo massiccio è in condivisione fra Campania e Molise. Questa capanna era in possesso della SAM (il rifugio EPT lo era della SME, Società Meridionale di Elettricità, sigle che si assomigliano) che l’aveva tirata su; essa non era proprietaria del suolo il che ha fatto sì che una volta andato giù il suo sedime è tornato nella piena disponibilità del Comune di Roccamandolfi all’interno dei cui confini amministrativi ricade. Tale casupola poteva essere utile per proteggersi durante i temporali estivi. Durante l’inverno non ci si spingeva tanto in alto e, a tale proposito, si ricorda che la prima vetta del Matese scalata in invernale, a gennaio del 1892, fu proprio la più elevata, i m. 2050 del Miletto, ascensione documentata in un resoconto a stampa di Beniamino Caso, l’organizzatore dell’impresa, di Piedimonte d’Alife dove era attivo il club dei Pionieri del Matese non il Club Alpino Italiano. Dovette essere un’autentica prima assoluta perché neanche i pastori nei mesi freddi si spingevano fino a queste quote; forse i cacciatori, gli unici peraltro che si inoltravano nei canaloni o si arrampicavano sulle pareti rocciose all’inseguimento di prede. L’abitacolo del rifugio SAM era parzialmente interrato, l’ingresso era sul muro a valle, il solo che fuoriusciva da terra; è da evidenziare che il terreno, la pianta è di circa mq.10, su cui poggia non è una rientranza del fianco del monte, ma è frutto di scavo. Non vi erano ulteriori aperture, nessuna finestra. La muratura costituita da sassi tenuti insieme da scarso legante è stata fiaccata dalle condizioni estreme della fascia cacuminale fino a scomparire. L’immagine di un edificio a due piani, la tipologia è quella classica della casa su pendio, va intesa quale disegno ideale.

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14 - DA STAZIONE SKI-TOTAL A VILLAGGIO VACANZE

Si tratta, lo si sarà capito, di Campitello il quale nato come polo sciistico ha necessità di riconvertirsi a località di villeggiatura e non solo invernale, vista la riduzione della nevosità negli ultimi decenni. Ne ha tutte le potenzialità vista la ricchezza del patrimonio ambientale del Matese il cui riconoscimento ufficiale è stato l’istituzione del Parco Nazionale che speriamo decolli presto.

Campitello non è stato pensato come un luogo urbano, nel senso cui siamo abituati di aggregato edilizio fatto di case, di strade e di piazze, e neanche possiamo definirlo, all’opposto, un non-luogo, cioè un posto privo di qualsiasi identità. Esso è stato concepito quale insediamento specializzato, tutto finalizzato alla pratica dello sci, niente che assomigli agli agglomerati abitativi ordinari. La tipologia prescelta per la località montana è stata quella della stazione ski-total concepita dall’architetto francese Laurent Chappis e replicata tante volte sulle Alpi; è una formula che si differenzia molto dal modello adottato, ad esempio, a Roccaraso dove lo sci non è il protagonista unico del centro invernale in quanto vi si trovano diverse altre attività di intrattenimento. Il vasto piazzale che fronteggia, una posizione strategica, la pendice sciabile, destinato a parcheggio delle auto e dei bus, scesi dai quali la si raggiunge sci ai piedi, ora è stato trasformato in piazza per tentare di conferire al polo di turismo che si spera non più solo invernale l’aspetto di un villaggio. È un tentativo, lo si è detto, che appare davvero improbo. Non basta cambiare da piazzale, elemento centrale nella visione «sci totale», totalizzante, a piazza per ottenere l’effetto-villaggio, la piazza del villaggio. Nei borghi tradizionali, ma in qualsiasi realtà abitativa, le piazze sono, seppure tra le principali, una delle componenti degli spazi vuoti che innervano la conglomerazione edilizia, gli spazi pieni, e qui non è presente una trama dei tracciati viari ben definita. Gli slarghi, quale quelli antistanti gli ingressi degli alberghi Lo Sciatore e Kristall, si intersecano, senza una precisa ripartizione delle superfici dedicate, con le corsie, non vere e proprie strade automobilistiche. Le aree aperte sono slabbrate, ambiti incerti, a tratti residuali, e l’unico segno deciso è rappresentato dalla piazza in quanto incavata. Altrettanto distinguibile è il percorso pedonale, lunghissimo, che dal Rifugio, cioè dalla Campitello vera e propria porta al Cristiania che è a Selvapiana, adesso non perché incassato nel suolo, bensì perché è rialzato come si conviene ad un marciapiede. Alla quota di campagna, anche per l’invadenza delle macchine, tutto si confonde. Per lasciar spazio al traffico, si starebbe per dire, l’edificio ecclesiastico, dedicato a S. Maria della Neve, non si è dotato di un sagrato. È una piccola architettura religiosa, vocata al raccoglimento di preghiera individuale più che allo svolgimento di funzioni liturgiche con una partecipazione comunitaria dei fedeli, la quale ha l’ambizione di qualificare l’intorno e, purtroppo, lo riesce a fare esclusivamente in un raggio spaziale ristretto; appena oltre, i luoghi, contrassegnati da una distesa d’asfalto continua, ricadono nell’anonimato. Il riferimento alla religione più forte rimane la croce che svetta su cima Croce, né vi sono edicole votive o statue a soggetto devozionale a richiamare i valori spirituali. La piazza, non ancora completata la gradonata dell’emiciclo con fontana al centro, ha subito una sorta di cambiamento in corso d’opera avendo dovuto cedere una porzione del terreno assegnatole alla piramide vetrata che è la copertura della pista di pattinaggio. È come se dal sottosuolo, perché la base è diversi metri al di sotto, fosse spuntato un misterioso oggetto prismatico, un abitante delle viscere della terra, per vedere la luce del sole. Esso è un estraneo che non dialoga con il contesto come, invece, sarebbe obbligato se avesse l’ingresso dalla piazza, un po’ ciò che succede alla cuspide piramidale disegnata dal giapponese Pei nel giardino del Louvre a Parigi che dà accesso ai musei. La finiamo qui sugli aspetti formali e passiamo alla sua destinazione funzionale. È un’attrezzatura sportiva e a tale proposito ci sarebbe da obiettare, nell’ottica dello ski-total, che lo sciatore al termine della giornata trascorsa sulle piste non ha voglia di intraprendere un secondo sport, con i pattini ai piedi al posto degli sci, quanto riposarsi, distendersi. Se, invece, la si vede nella prospettiva del villaggio-vacanze, essa costituisce un’opportunità, una delle possibili attrattive da sfruttare per trascorrere il tempo che in vacanza è sempre libero, una delle cose da fare durante il soggiorno in quota, almeno per i non-sciatori. La piramide, in definitiva, rappresenta in maniera “plastica” l’evoluzione della nostra località, alla stessa maniera della trasformazione che abbiamo visto del piazzale in piazza. Quanto si va mettendo in atto va nella direzione della riconversione del centro turistico da monofunzionale, interamente concentrato sullo sci, a plurifunzionale, con un’offerta ricreativa variegata, e, contemporanea- mente, da monostagionale a pluristagionale. Se è possibile mutare la funzione è sicuramente impossibile mutare la “pelle”, quindi l’assetto fisico, a meno di demolire l’esistente, opzione da non scartare a priori, per ridurre le volumetrie che, di certo, sono eccessive, con grave danno al paesaggio e, nello stesso tempo, la consistenza della massa edificata è assai superiore a quella di un borgo tradizionale, il villaggio. Non è una soluzione, né lo sarebbe stata, prevedere invece che i grossi complessi residenziali, a parità di volume, una sommatoria di villette e di palazzine per il problema che ne deriverebbe di un insopportabile consumo di suolo, meglio concentrare le residenze per turisti in unità architettoniche compatte. In verità, si sarebbe potuto coniugare la voglia di attribuire all’insediamento turistico la fisionomia di un villaggio con la richiesta di un quantitativo elevato di superfici abitative da parte del gruppo imprenditoriale del conte Stella che ne ha promosso la formazione, ai fini della redditività dell’investimento tra i cui costi vi sono gli impianti di risalita, se solo si fosse imitato ciò che fece l’architetto Ruspoli nel progetto del S. Nicola 1 dove il quantitativo di metri cubi da realizzare, ancorché importante non sembra tale poiché articolato in più corpi congiunti fra loro a comporre una sagoma scalettata che segue l’andamento del pendio. Le altezze sono contenute e ciò, insieme al profilo gradonato rimanda alle immagini delle viuzze dei nostri centri storici che si sviluppano lungo il pendio. Si coglie l’insegnamento del quartiere Tiburtino di Ridolfi a Roma, la massima espressione del Neorealismo in architettura il quale si ispira ai modi di formazione degli aggregati residenziali popolari di un tempo. Ha un ulteriore merito l’opera dell’architetto Ruspoli che é la scelta del sito per il S. Nicola 1, la cui denominazione rivela la sua ubicazione nel vallone S. Nicola, posto distinto seppure adiacente a Campitello, il toponimo della conca, in quanto poco visibile da quest’ultima. Il S. Nicola 1 è prossimo ad una sciovia per cui uscendo dai suoi alloggi è possibile con gli scarponi da sci già calzati montando su questa entrare nel carosello delle piste, passare a piacimento da una pista alla successiva senza mai dover effettuare tragitti a piedi. In conclusione, il S. Nicola 1 è capace di fornire qualche indicazione su come conciliare le peculiarità di una stazione sciistica con quelle di un villaggio-vacanze.

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