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1 - Matese, dal monte al piano

Nell’osservazione del Matese partire dal basso è meglio che partire dall’alto e ciò per una ragione per così dire narrativa in quanto si ha uno sviluppo del racconto in crescendo trovandosi le principali emergenze naturalistiche, di certo, in quota. Dunque iniziamo dal piano dove è situato il maggiore centro abitato del comprensorio, Boiano, che era la capitale del Sannio Pentro: ciò sta a dimostrare che, a partire da quei tempi, questa piana è interessata da un forte popolamento umano oltre che attraversata da linee di comunicazioni importanti, la ferrovia e la statale 17 la quale ricalca una strada romana, la Minucia, e il tratturo Pescasseroli-Candela. Dunque si ha una contrapposizione tra la montagna e la pianura la quale non sembra avere stringenti vincoli di subordinazione con la prima caratterizzandosi come luogo dell’urbanizzazione, pure di tipo moderno con l’agglomerato produttivo di Campochiaro. La piana dell’alto Biferno rimane, ad ogni modo, sotto l’aspetto fisico, tributaria del sovrastante massiccio montuoso in quanto è formata da depositi lacustri e alluvionali, il materiale provenendo dai valloni montani (prendi il vallone di S. Giovanni a lato di Civita Superiore, lungo il percorso per S. Egidio). Si tratta di una pianura interna che nonostante non sia delimitata da tutti i lati da monti, bensì sul lato lungo, quello opposto alla catena matesina dalle colline che ospitano i nuclei urbani di Colledanchise, Spinete, ecc. può essere considerata, in qualche modo, una piana intermontana se non altro per la sua forma allungata che segue il perimetro del massiccio montuoso. Essa è ben differente dalle pianure che si aprono, nel caso della nostra regione, nell’area costiera, sia quella litoranea sia le Piane di Larino, le quali non hanno rapporti con rilievi montani e dalle quali si distingue almeno per le dimensioni che in queste ultime sono molto più grandi. Le pianure che abbiamo chiamate interne sono, invece, modeste come conferma pure l’altra piana, quella del Tammaro che ricomprende Altilia, anch’essa ai piedi del Matese e parallela a questo; le pianure interne, lo si è appena detto, sono ristrette pure quando sono, come nel nostro caso, contigue fra di loro non venendo a formare un’unica pianura, nonostante siano entrambe sottomesse al Matese, in quanto separate dalla Sella di Vinchiaturo. Per inciso si evidenzia che questo valico, m. 555, da alcuni è considerato come il punto di divisione tra l’Appennino Centrale e quello Meridionale che altri studiosi, al contrario, collocano nel Passo di Rionero alle Bocche di Forli. Infine, in questo discorso sulle pianure bisogna aggiungere che quella di Boiano non è l’unica piana del Matese poiché vi sono i pianori d’alta quota tanto che questa montagna può essere definita, in fin dei conti, un altopiano. Mentre le zone pianeggianti d’altitudine sono prive d’acqua quella di fondovalle ne è estremamente ricca. Nella piana, presso Boiano vi sono le tre sorgenti del fiume Biferno, partendo da ovest quella di Maiella, quella di Pietre Cadute e quella di Rio Freddo dove inizia la galleria che attraversando il Matese dagli anni ’60 alimenta l’acquedotto campano. Il Biferno è il principale corso d’acqua interamente molisano e del resto è, nell’Italia peninsulare, dalle montagne calcaree che si originano le più importanti aste fluviali. Ciò sia per le precipitazioni specie nevose che sono maggiori, ovviamente, lì dove l’altezza (monte Miletto supera i m. 2000) è superiore, sia per il carsismo, essendo il calcare formato di carbonato di calcio il quale viene corroso dall’acqua. C’è un’ulteriore ragione che spiega la presenza del gruppo sorgentizio ed è che nel piano i potenti strati calcarei che formano il Matese entrano in contatto con terreni aventi componente argillosa, e quindi impermeabili: le riserve idriche contenute nel sottosuolo montano trovano qui le loro scaturigini. Bisogna sottolineare che, nonostante questo massiccio sia spostato verso il versante tirrenico, non nella mezzeria della Penisola come il resto dell’Appennino, il Biferno sgorga sul versante adriatico, il nostro, e ciò determina la sua consistente lunghezza, impiegando ben 80 chilometri per raggiungere il mare. Questo fiume durante il suo percorso denuncia sempre la sua origine per così dire matesina mantenendo costantemente un andamento rettilineo, perpendicolare alla montagna; la sua ortogonalità è consentita dal fatto che è riuscito facilmente ad aprirsi un solco nelle colline del Molise centrale perché costituite di terreno erodibile come denunciano le tante frane, delle quali la peggiore è quella di località Covatta, che flagellano la vallata fluviale. Non è un fatto scontato, è opportuno rimarcarlo, che un fiume mantenga, pur allontanandosene, la dipendenza dalla montagna da cui proviene nella sua direzionalità e per dimostrarlo basta vedere il corso del Trigno, l’altro grande fiume molisano, che disegna nel tratto iniziale una curva. Comunque pure il Trigno per un lungo pezzo corre ortogonalmente alla costa (la quale, a sua volta, è parallela al Matese). Il Matese garantisce sorgenti perenni, oltre che copiose, al Biferno. Gli apporti che riceve nel suo cammino sono, invece, tutti di carattere torrentizio. Tra questi vi sono pure il Callora e il Quirino che provengono dalla stessa montagna, ma questa volta da fasce altitudinali elevate. Essi, insieme al Rio Bottone che invece si forma alle pendici della Montagnola, il rilievo dirimpettaio del Matese, sono responsabili del trasporto del materiale solido che, accumulandosi, ha formato la piana di Boiano. Lasciamo adesso la zona pianeggiante e spostiamoci un po’ più su fino a raggiungere la quota, che è di circa 600 metri, dei paesi che si dispongono a corona, da questo lato, nella parte basamentale della montagna. I centri abitati tutti di epoca medievale, vedi il castello longobardo nel borgo di Civita Superiore frazione di Boiano sono posizionati su speroni che sporgono dal versante montano, da S. Massimo a Campochiaro da Guardiaregia a S. Polo. Non è la franosità a sconsigliare l’ubicazione degli agglomerati edilizi a mezzacosta essendo questa una montagna calcarea per cui il suolo è stabile; piuttosto è la ripidità del versante a impedire lo sviluppo urbanistico degli insediamenti. Infatti, il Matese in territorio molisano ha un fronte molto pendente e, del resto, è la pendenza un requisito specifico di una montagna, addirittura più dell’altitudine. In Campania, in cui, peraltro, è già stato istituito il parco naturale che nella nostra regione è in attesa ormai da decenni, il massiccio matesino cala meno bruscamente. Vi è, dunque, una dissimmetria tra i due versanti e la minore acclività del lato campano ha permesso che sorgessero a quote altimetriche significative i comuni di Gallo, Letino e S. Gregorio. Le piane di Piedimonte, di Alife e di Telese stanno più in basso della piana di Boiano, determinando dislivelli maggiori con le cime matesine. Gli unici nuclei insediativi che si incontrano nelle fasce altitudinali elevate sono le stazioni di sport invernali, tra i quali vi è Campitello. Per rifornire d’acqua questa località turistica si è dovuto costruire un acquedotto che dalle sorgenti di S. Maria e Giacomo nella piana portasse l’acqua sopra mancando la possibilità di un approvvigionamento idrico in loco per via del carsismo al quale si deve l’assenza di scaturigini in altura.

 

 

 

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2 - Bojano: Conca, piana o valle?

 

Potrebbe apparire di primo acchito quello della zona di Boiano un paesaggio pianeggiante ed in effetti, per certi versi, lo è; ciò che manca per poterla considerare una vera e propria pianura dal punto di vista paesaggistico, cioè rispondente all’idea di piana che ci portiamo dentro, quella, mettiamo, della nostra fascia costiera, per rimanere al Molise, è la vastità dell’orizzonte che qui non c’è. Infatti questo territorio è racchiuso tra il Matese, da un lato, dall’altro, la Montagnola e le colline che affiancano il corso del Biferno per cui più correttamente possiamo chiamarla conca, aggiungendo, magari, la specificazione di intermontana. Della pianura ha, la nostra, comunque alcune caratteristiche tra cui quella essenziale della, per così dire, piattezza che non è contraddetta neanche dalle costruzioni, peraltro scarse, che le più grandi sono gli allevamenti avicoli i quali, in quanto capannoni, sono lunghi e bassi; l’unica nota verticale è data dal silos a servizio della GAM che, però, è situato sui primi rilievi collinari. Mentre in una piana, e questa è un’ulteriore differenza con le aree pianeggianti « classiche », non è consentito allo sguardo cogliere l’interezza del territorio perché tutto è allo stesso livello, qui invece vi sono punti di osservazione dall’alto che consentono vedute complessive, peraltro bellissime, della pianura quale quella che si gode dal belvedere di Civita Superiore. Adesso immaginiamo di trovarci in uno di tali posti, un altro è il rifugio di Fonte Francone a Campochiaro, un altro ancora è l’ultima curva salendo a Campitello dai quali si aprono ampie visuali sulla distesa pianeggiante che sta al di sotto. L’orografia sembra, da una vista complessiva, abbastanza elementare, ma, in realtà, la piana dell’alto Biferno, la si può chiamare pure così, è lontano dall’essere una cosa omogenea. Essa non è completamente piatta per cui l’altitudine che le si attribuisce di 500 metri non è la stessa ovunque (il bivio di S. Massimo è a m. 513, invece già il ponte della Fiumara sulla stessa statale è a circa m. 484); a proposito dell’altezza media di m. 500 s.l.m. così elevata è doveroso evidenziare che proprio tale caratteristica avvalora la denominazione di conca intermontana. Non ha neanche una pendenza verso un’unica direzione così che possiamo parlare di una lievissima, forse addirittura impercettibile, ondulazione del terreno. I canali collettori delle acque sono, dunque, molteplici, presenti appena il suolo forma una depressione. È importante sottolineare in relazione a questa questione che qui non vi è, come sarebbe da aspettarsi, il declinare della superficie terrestre dalla montagna verso la piana (in verità da ambedue i lati vi sono rilievi e il degradare del pendio nei due versi opposti caratterizza la conca) poiché il versante matesino scende in maniera ripida a valle, senza autentiche propaggini collinari. Lo dimostra la posizione del Calderari la quale è proprio ai piedi del massiccio montuoso, al si sotto del livello medio dell’agglomerato urbano; in questo corpo idrico convergono i rivi che si riversano, a volte in modo impetuoso, in basso dalla parete montana identificabile con quello su cui vi è S. Egidio e cioè il Fosso S. Vito, il Ravone. C’è un pezzo della piana, la quale è per il resto uniforme per quanto riguarda la formazione geologica che è completamente di origine alluvionale, del tutto singolare: è quello su cui sta il vivaio forestale dove c’è una diversa natura del substrato, non più sedimenti trascinati dai fiumi, bensì materiale più solido. Tale angolo della pianura, una specie di isolotto contornato dal torrente Quirino, è ai bordi del mare di depositi fluviali che hanno colmato la conca. È, peraltro, distinguibile dal restante paesaggio della pianura per un suo certo innalzamento del livello medio della piana e dalla copertura boschiva che ne giustifica il toponimo di Selva di Campo. Non è l’unico bosco del comprensorio in esame poiché c’è pure il Bosco Popolo (Populus sta per pioppo, pianta legata alla presenza d’acqua della quale la piana di Boiano è ricca); insieme costituiscono i relitti di foreste planiziali che un tempo dovevano coprire l’intero territorio e delle quali un esempio è la distesa forestale posta in agro di S. Maria del Molise a fianco del tratto iniziale del Rio Bottone. Salvo queste eccezioni l’unica vegetazione arborea sopravvissuta in pianura è quella ripariale dei tanti corpi idrici che la solcano. il reticolo idrografico ad una visione non approfondita rischia di sembrare casuale ed invece ad una lettura attenta si coglie una maglia ad albero la quale porta il Callora a congiungersi con il Rio Bottone che dopo aver accolto nella riva opposta il Rio Petroso proveniente da Spinete si riversa nel Biferno. Il maggior affluente del Biferno è, però, il torrente Quirino le cui portate sono influenzate dalle manovre di regolazione dell’invaso di Arcichiaro. Il Biferno, comunque, per la ricchezza delle sue sorgenti è poco sensibile al regime idrico dei suoi tributari, ben diverso quello del Callora che nascendo sul Matese, in alto, è influenzato dallo scioglimento delle nevi nel periodo tardo primaverile e da quello del Rio Bottone proveniente da Caporio alla base della Montagnola, una montagna anch’essa carsica, scaturigine con rilasci regolari. A voler seguire i tracciati fluviali c’è da star dietro alla curvilineità dei loro assi, connotato che contrasta con quella della rettilineità dei percorsi viari che servono la zona pianeggiante. Se la difesa dalle inondazioni ha portato, a partire dal secondo dopoguerra, da parte del Consorzio di Bonifica Montana che aveva sede a Boiano, alla regolarizzazione delle sezioni degli alvei e al loro approfondimento non vi è stata alcuna rettificazione. L’acqua in pianura si manifesta oltre che in forma lineare, i canali, in sembianze di piccoli laghetti, quelli dell’Alifana e i laghetti Spina, anch’essi memoria dell’antico paesaggio planiziano; si tratta di risorgive, non di semplici specchi d’acqua stagnante, e, come ogni zona umida, di elementi con forte vitalità biologica. In ultimo, si segnala per il suo notevole interesse ecologico la particolarità del Callora di avere un largo letto ghiaioso che nelle belle stagioni riamane a secco (mentre l’acqua continua a scorrere al di sotto), un fondo questo che ogni anno si solleva di un po’ a causa del deposito, raggiunta la pianura, degli inerti trasportati da monte, fatto che fa diminuire la pendenza generale.

 

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3 - Le valli Matesine
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Applicare il metodo della comparazione è indispensabile per far emergere le peculiarità dell’ambito matesino e quale pietra di paragone prendiamo per prossimità il circo-ndario circo-stante il capoluogo di regione. Mentre la struttura insediativa che comprende Campobasso appare essere radiocentrica con i comuni di quella che si chiama “area metropolitana” che si dispongono tutt’intorno alla “capitale” del Molise, circo-ndandola in ogni direzione, nella fascia di territorio sottostante al massiccio del Matese gli agglomerati edilizi stanno, per così dire, in linea, cioè vengono uno dopo l’altro. Peraltro il passo di tale successione ovvero la distanza tra due centri contigui è sempre la stessa.

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Boiano si colloca a metà di questa serie di entità urbane; per la sua posizione baricentrica tale cittadina ha acquisito la preminenza nella struttura insediativa del comprensorio. Ben diversa dunque, è la situazione rispetto all’area campobassana dove la viabilità di zona converge da ogni lato secondo un modello stellare sul capoluogo regionale. Oltre alla centralità geografica Boiano ha un vantaggio posizionale nei confronti degli altri comuni, pur’essi pedemontani e però discosti dalla pianura, collocati sui primi rilievi, derivante dall’essere nel fondovalle e ben si sa le arterie di comunicazione principali prediligono il piano. Oggi la strada statale è tangente all’abitato boianese mentre fino a mezzo secolo fa essa passava nel mezzo dello stesso. Ciò faceva di Boiano un luogo di passaggio obbligato cosa che, questa sì, aveva in comune con Campobasso dove è tuttora necessario transitare per raggiungere, mettiamo, da Ferrazzano Vinchiaturo oppure da Ripalimosani Mirabello. Lo schema viabilistico della vallata matesina, se si esclude dal discorso il nodo di Boiano, lo si può definite a pettine con tanti, quanti sono i paesi che vi appartengono, e brevi tronchi stradali che dai borghi collinari si innestano similmente ai denti del pettine, sull’asta viaria primaria la quale segue il fondo della valle. Per il distretto di Campobasso abbiamo parlato di radiocentricità anche se tale configurazione viabilistica è più propria di un territorio pianeggiante che di uno di collina qual è il medio Molise e, però, non si addice neanche ad una piana tipo quella di Boiano caratterizzata da una spinta direzionalità; per essere radiali occorre che le direttrici che si diramano dal nodo siano equivalenti, senza che ce ne sia una che predomini, un canale di traffico privilegiato che, uscendo dal’arcano, è il fascio di infrastrutture di trasporto ferroviario, automobilistico e pastorale, il tratturo, che corrono parallele fra loro nel mezzo della conca matesina. La piana di Boiano è lunga e stretta, connotati che distinguono anche le altre piane che si susseguono al margine del complesso montuoso. 

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È una teoria di piane che comprende, nell’ordine, quelle del Tammaro, dell’alto Biferno, di Pettoranello, di Macchia d’Isernia e di Monteroduni. La piana di Boiano è contraddistinta dall’essere chiusa pressoché da ognuno dei lati, sia quelli lunghi sia quelli corti: nel senso, longitudinale vi sono il Matese e quindi l’Appennino e i rilievi ad esso dirimpettai del cosiddetto piccolo Appennino, dalla Montagnola a m. Saraceno, in quello trasversale vi sono, nei due punti opposti, il Valico di Castelpetroso e la Sella di Vinchiaturo. Paradossalmente è una concavità morfologica senza sbocco da cui, è il paradosso, trae origine il Biferno, il maggiore fiume interamente molisano, il quale, comunque, riesce a scavarsi un varco per raggiungere il mare. Se prendiamo la questione dell’appartenenza ai bacini idrografici confluenti nel Tirreno o nell’Adriatico, vediamo che la vallata di Boiano è esclusivamente adriatica. C’è da dire, poi, che ad un unico massiccio montuoso il cui nome è al singolare, il Matese, fa riscontro una pluralità di valli, quelle citate prima, al contrario delle Mainarde, nome al plurale, ai piedi delle quali per la porzione rientrante nel Molise vi è una singola valle quella dell’alto Volturno. Rimanendo al confronto con la realtà mainardina si nota che se il Matese ha un centro di riferimento, anzi due, uno nel versante campobassano, Boiano, uno in quello isernino, la stessa Isernia, le Mainarde ne sono prive; l’assenza di un agglomerato insediativo di taglia consistente al contorno è una carenza non da poco perché comporta la mancata erogazione per la popolazione di servizi di un certo livello specifici delle entità urbanistiche di un qualche rilievo. Bisogna aggiungere, sempre in riguardo al tema del rapporto monte-città, che il Matese ricade nella sfera di influenza dei due capoluoghi di provincia del Molise, la montagna si associa cioè non solo ai piccoli centri, ma anche ai grandi. Uno è Isernia che, peraltro, comprende nei suoi confini comunali un pezzo di montagna, l’altro è Campobasso che dista appena 15 chilometri dal bordo del rilievo montano, precisamente dalla base del monte Mutria. La già citata area metropolitana del capoluogo regionale si estende, vedi la Metropolitana Leggera, fino a Boiano. Questo centro era un tempo sede della Comunità Montana del Matese la cui direzione amministrativa stava, perciò, nel piano a dimostrazione della compenetrazione tra montagna e piano che contraddistingue questo territorio.

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Da quest’ultima considerazione partiamo per la conclusione: piuttosto che una lettura per valli come si è pure proposto finora occorre adottare una chiave interpretativa che tenendo conto dell’unitarietà del massiccio montuoso colga l’ambito ad esso sottostante altrettanto unitario. Usare non semplicemente la stessa ottica a monte e a valle, ma riconoscendo una unità di fondo tra le cose che insistono in questo spazio, sopra e sotto, anche le politiche da mettere in campo per lo sviluppo territoriale devono tendere a ricomporre quella frattura tra i domini spaziali in quota e quelli di bassura manifestatasi con evidenza durante la dominazione romana che si limitò a colonizzare le piane alla quale fece seguito in età medioevale lo spostamento delle persone sulle alture con conseguente ritrazione dalla fascia pianeggiante per arrivare ad oggi in cui la montagna, finita l’economia pastorale, risulta pressoché abbandonata, se non sfruttata per attività poco ecosostenibili quali quelle legate agli sport invernali, alcune di quelle.

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