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IL CASINO DEL DUCA DI PESCOLANCIANO
Casino del Duca di Pescolanciano - ingresso

1. È' estremamente raro nelle nostre campagne incontrare degli edifici destinati alla villeggiatura di famiglie signorili di epoca ottocentesca, destinazione esclusiva. Non solo da noi perché ovunque, si prendano le ville venete, alla residenza padronale di vacanza si affiancano annessi agricoli, magari, l’abitazione del colono. La proprietà è dei duchi D’Alessandro, signori in epoca feudale e, quindi, fino al 1805, di Civitanova, Pescolanciano, Duronia, Pietrabbondante e Carovilli, Comuni fra di loro confinanti tanto da configurare, in qualche modo, un unico feudo, alla stregua di una “signoria”. Il casino risulta baricentrico rispetto ai primi quattro centri e ciò non deve essere un caso. Un altro fattore geografico che ne giustifica la localizzazione è il passaggio nelle vicinanze, immediate, del tratturo Celano-Foggia il quale si ricollega con il tratturo Castel di Sangro-Lucera tramite un breve percorso tangente tanto al Casino del Duca quanto all’abitato di Civitanova, probabilmente il più breve possibile; tale percorso, seppure non inscritto tra i Tratturelli, si rivela essenziale per chiudere la maglia tratturale. In definitiva il casino dei D’Alessandro è in una posizione strategica oltre che estremamente visibile da un ampio circondario, non solo dall’arteria di grande circolazione che lo sfiora, la Trignina. Non è il “quartier generale” di un’azienda rurale, funzione che sarebbe compatibile con il villeggiare dei proprietari che, anzi, soggiornandovi nei periodi di raccolto avrebbero potuto controllare il lavoro dei contadini, perché mancano i locali per il deposito delle derrate, le stalle, ne è, non ne ha proprio il carattere nonostante le garitte munite di feritoie (indirizzate verso i muri) appese a tutti gli spigoli e i corpi di guardia ai lati del cancello che introduce alla corte, un fortilizio perlomeno per le troppe bucature nelle pareti. È qualcosa di inedito nel panorama agreste molisano, salvo qualche sparuta casina di caccia come quella di Torcino appena al di fuori dei confini regionali appartenuta al re di Napoli, un luogo per gli ozi di una famiglia patrizia e dei suoi ospiti tra i quali vi deve essere stato il famoso archeologo Mommsen ospite dei D’Alessandro iniziatore degli scavi di Pietrabbondante (è credibile la sua presenza lì perché la villa, c’è scritto all’ingresso, è del 1856). È inconsueto, o meglio era, dato lo stato di abbandono di tanti fabbricati nell’agro, trovare edifici come doveva essere questo che per lunghi periodi dell’anno era lasciato vuoto, animandosi soltanto durante le ferie qui trascorse dai famigliari del duca, non necessariamente nella stagione estiva, è ovvio e con probabilità non quelle due volte l’anno che passava la transumanza, troppo frastuono. È tempo per tornare ad una caratteristica del manufatto evidenziata prima, quella delle garitte, una specie di torrette sospese in sommità dei 4 angoli del volume edilizio per sottolineare che se non è una rarità trovare delle torri affiancate ad una costruzione isolata nei  campi, vedi quella del casino Tommasi a Spinete, quella del casino Selvaggi a S. Massimo, ecc. e neanche lo è la loro funzione difensiva (seppure altrove servono anche a sorvegliare i possedimenti, non solo la casa) lo è il combinato disposto tra esse e gli avancorpi affiancati all’ingresso dello spazio recintato immediatamente antistante la villa, le une disposte in alto, gli altri in basso. I presidi difensivi sono collocati, e ciò è singolare, in cima e ai piedi della struttura architettonica, non in maniera continua, cioè da cielo a terra.

Casino del Duca di Pescolanciano

Al di là dell’anomalia segnalata, quella di uno sviluppo in verticale incompleto dell’apparato di protezione, viene da pensare che le esigenze di sicurezza, comunque giustificate per via dell’ “endemico” fenomeno del brigantaggio (lo stesso Mommsen fu assalito dai briganti), non fossero esclusive, ma a determinare la scelta di dotare la magione nobiliare di simili accorgimenti militari si ritiene vi siano state anche ragioni di prestigio, il richiamo formale alle architetture castellane. Dunque, le garitte come elemento fondamentalmente ornamentale. Colpisce la discrasia presente nelle residenze dei D’Alessandro, con il castello nel centro urbano di Pescolanciano che rimanda ad un palazzo rinascimentale per via del loggiato sorretto dai beccatelli rientranti tra gli apparecchi murari, a sporgere, guerreschi e il casino di campagna il cui massiccio impianto murario è alleggerito, figurativamente, dalle aeree garitte, pur essendo anch’esse accorgimenti ingegneristici dell’arte della guerra. In altri termini, un manufatto per la “dolcevita” che vuole sembrare un castello e un castello che vuole assomigliare ad un manufatto per la “dolcevita”. Vale la pena pure far notare che mentre il maniero deve essere inespugnabile e perciò la sua entrata è regolata da un ponte levatoio, il casino è preceduto da un lungo viale contornato da ombrosi pini che costituisce una sorta di invito ad accedervi. Ciò che condiziona la veduta paesaggistica è tanto la bella fabbrica quanto la deliziosa passeggiata alberata che ad essa conduce, le quali vengono a costituire un tutt’uno. È da sottolineare che non rappresenta un’alterazione dell’intorno, una compromissione della sua pregevolezza, il passaggio ad un centinaio di metri di distanza della Trignina perché questa è una superstrada che nell’Altomolise corre prevalentemente su viadotti e, come nelle vicinanze del Casino del Duca, in galleria, non interagendo con l’assetto agrario, non è, certo, una fondovalle. Per la sua volumetria, di molto superiore a quella delle dimore contadine, il casino assume il ruolo di punto focale dei panorami per un largo raggio, ma è possibile leggerlo anche quale land mark, di rilevanza assoluta, di un paesaggio lineare che è quello tratturale i cui altri nodi di elevata pregnanza sono la torre di S. Bartolomeo su una sponda del Trigno e su quella opposta il Torrione di Sprondasino, località quest’ultima dove c’è un attraversamento nevralgico del fiume mediante un ponte cui si affiancava una taverna: un insieme di emergenze culturali alcune delle quali sono ammirabili dal belvedere situato sul tetto del casino, sebbene in lontananza.

Casino del Duca di Pescolanciano - cortile

2. La villa dei duchi D’Alessandro è uno dei rari esempi nel Molise di dimora signorile di campagna. Bisogna premettere che nella nostra regione è poco accentuata la dualità città-campagna, addirittura tale binomio qui da noi è scarsamente significativo, la sua pregnanza è inficiata dalla ridotta rilevanza di uno dei due poli della predetta dicotomia, la città. Se la villa risponde all'esigenza di evasione dalla vita cittadina la quale produce stress in una terra, quella molisana, in cui le realtà urbane sono tutte, anche le maggiori, di esigua consistenza, essa perde di significato, cioè non ha più il significato che di solito attribuiamo a un manufatto di tal genere di buen retiro. Non è che da noi non esistano i cosiddetti casini di campagna i quali si differenziano dalle ville, per rimanere a Civitanova dove sta pure la villa D’Alessandro il casino Cardarelli, perché assolvono anche al ruolo di "attrezzature" funzionali alle attività agricole trovando posto in tali architetture gli "annessi agricoli" e l'alloggio del mezzadro accanto a quello del proprietario del fondo, residenze per il primo stabile per il secondo saltuaria; casini nel senso forse di piccole case, tanto quella del colono quanto quella del signore. La villa ha un collegamento flebile con l'agricoltura, è molto meno coinvolta nello svolgimento delle lavorazioni dei campi rispetto al casino; è al fattore che è affidata la cura del podere, il padrone ha una parte minimale nella gestione aziendale. La villa D’Alessandro non ha specifici vani destinati né alla rimessa delle derrate, né al deposito degli attrezzi né tantomeno al ricovero delle bestie, sia quelle da lavoro sia quelle d'allevamento. La distanza dell'edificio di cui trattiamo dal centro abitato qualora fosse a servizio di un'azienda ad indirizzo zootecnico avrebbe una ragion d’essere decisiva nella necessità di allontanamento degli animali dalle abitazioni degli, appunto, abitanti di quell’agglomerato, perlappunto, abitativo a causa degli odori molesti, della sporcizia delle strade, dei rumori fastidiosi prodotti dalle bestie. Altra motivazione dirimente non la si coglie, non è una giustificazione per l'ubicazione in aperta campagna, lontano dal nucleo urbano il desiderio di stare in contatto con la natura poiché già i piccolissimi comuni, Pescolanciano con il suo castello che è un po' il quartier generale dei D’Alessandro è uno di essi, sono in genere immersi nell'ambiente naturale, e neanche la voglia d’isolamento, del resto cosa c'è di più utile di un ponte levatoio quale quello del castello di Pescolanciano per separarsi dal resto del mondo.

Casino del Duca di Pescolanciano 1

Forse quello che manca al maniero è un giardino per lo svago che proprio non lo si può ricavare sul colmo dello sperone roccioso, appena sufficiente per contenere la pianta del fortilizio, su cui si erge. L'emergenza lapidea è intimamente legata all'organismo castellano rivelandosi un complemento della murazione, un masso quale sussidio alle opere di difesa. Rocca e roccia sono due parole molto simili fra loro, arroccarsi significa costruire la rocca sulla roccia diventando le due cose, l’una artificiale e l'altra naturale, interdipendenti. I ricevimenti in estate probabilmente si svolgono nella villa visto il capace spazio esterno a disposizione che consentiva di organizzare feste all'aria aperta, il piazzale pavimentato che circonda la villa è ben più ampio e luminoso della corte del castello, un cavedio tutto sommato di grande formato o poco più. Nella villa per la gradevolezza del risiedervi si dava accoglienza ad ospiti di riguardo come il Mommsen il quale qui soggiornò anche per la vicinanza con gli scavi archeologici di Pietrabbondante che egli stava conducendo. Il castello venuti a cadere in età moderna le necessità militari si era andato trasformando in un palazzo signorile; ci si sofferma ora su tale sorta di mutazione genetica del fabbricato per evidenziare la "stranezza" che mentre il castello tende ad abbandonare i caratteri di presidio guerresco, i beccatelli definiti apparati a sporgere, adesso servono per sorreggere il lungo loggiato, la villa sorta quale luogo di "delizie" si dota di ben 4 garitte ancorate agli spigoli della cortina muraria; a continuare a qualificare, a farne permanere la qualifica, la fabbrica di Pescolanciano, e in maniera forte, quale castello è la passerella retraibile la quale fa il paio in quanto ad accorgimento per il controllo dell'accesso con i corpi di guardia collocati ad entrambi i lati del cancello d'ingresso all’area di pertinenza della villa. Si potrebbe pensare in base a ciò che si è detto prima che mentre il castello è naturalmente protetto dalla sua ubicazione sopra lo spuntone calcareo per cui le ulteriori misure miranti a contrastare gli attacchi dei nemici non siano poi così indispensabili, per la villa che è effettivamente esposta, dato che sta isolata in aperta campagna, alle razzie dei predoni (l’edificazione risale all'epoca del brigantaggio) è opportuno provvedere alla messa in sicurezza; seppure sia quella appena illustrata una tesi con qualche fondamento si propende a credere che i gabbiotti sospesi agli angoli delle pareti dotati di feritoie e i casotti a quota, all'opposto, del terreno a vigilanza dell'entrata siano frutto più che di esigenze militari di una volontà estetica. Proseguendo con il parallelo tra il castello e la villa notiamo un'altra, per così dire, incongruenza: la loggia che ci saremmo aspettati di vedere in una dimora patrizia di campagna la troviamo, invece, in un castello, davvero una singolarità. Andiamo oltre spingendo il parallelismo anche alla volumetria e vediamo che la villa è un blocco compatto, simile stereometricamente ad un torrione, al contrario il castello è un volume vuoto all'interno per la presenza di un cortile ed una corte porticata come questa di derivazione da modelli dell'architettura rinascimentale non si confà, è quasi una nota stonata nonostante sia un elemento di pregio, abbia una fattura pregiata, alla destinazione del presente organismo architettonico la quale è guerresca. La spiegazione di tale metamorfosi va cercata nell'evoluzione della figura del feudatario da bellicoso dominus del feudo a esponente dell'aristocrazia di corte, non, attenzione, del suo maniero bensì regia, per cui la villa lo viene a rappresentare maggiormente.

Casino del Duca di Pescolanciano - cortile

3. È difficile immaginare Cola di Monforte o Giacomo Caldora a villeggiare in tenute agricole in qualche loro feudo. Troppo rudi questi condottieri per poterli pensare capaci di apprezzare i piaceri di una vacanza agreste, gli agi di comode dimore immerse nell'ambiente naturale nelle quali oziare nel periodo di ferie tra una battaglia e l’altra. La villa della famiglia plurifeudale di Pescolanciano, Pietrabbondante, Carovilli, Civitanova sita nel territorio di quest'ultimo comune ci rivela una diversa faccia della classe nobiliare molisana, differenti valori esistenziali, modi di sentire il mondo che emergono all'indomani della fine del feudalesimo che è quella di una componente della società denominata Alta Società amante della, per così dire, bella vita assimilando i costumi della borghesia ormai divenuta la categoria sociale di riferimento portatrice di nuovi orientamenti ovvero concezioni dal campo della cultura e della politica a quello della moda, fino, giù giù, a quello dell'abitare e dell'impiego del tempo libero. Un segno del processo di imborghesimento della vecchia nobiltà è proprio il gusto per l'evasione dalla città verso la Villa che condivide con il ceto borghese. Anche il proprietario di una bottega bene avviata, il professionista, il funzionario di un certo rango nutrono il mito dell'abitazione indipendente isolata dalle altre costruzioni, dotata di giardino, meglio se circondata interamente da una superficie a verde, distaccata dalle strade per cui nelle periferie urbane si sviluppano viali lungo i quali si attestano, al di là del filare di alberi che è a corredo di tale particolare tipo di viabilità, edifici unifamiliari che non nascondono, per le loro fattezze, pretese da villa. Viale Elena nel capoluogo regionale ne è un classico esempio con la sua teoria di villette in stile liberty che si conclude con Villa, di nome e di fatto, Maria. Una prima distinzione tra villa e villetta non è tanto di tipo dimensionale quanto di collocazione, la villa sta in aperta campagna, la villetta nel suburbio. Forse, però, è ancora più significativa la differenza sotto l'aspetto funzionale, mentre la villetta accoglie una residenza stabile, la villa invece è destinata ad una permanenza saltuaria, in cui si dimora prevalentemente nella stagione estiva. Da qui ne discende che la villa è evidentemente complementare ad una situazione alloggiativa in città, al contrario della villetta che è essa stessa un alloggio cittadino. Proseguendo con la comparazione tra villa e villetta la quale è finalizzata, lo si sarà capito, a far venir fuori la singolarità della villa e soffermandoci ora su una discriminante decisiva tra le due categorie architettoniche che è quella dell'ubicazione nell’agro della villa vediamo che tale scelta localizzativa è legata non solo alla voglia di stare in contatto con la natura, ma pure al desiderio di godimento dei panorami, non c'è niente da fare, dalle finestre di una villetta si traguardano inevitabilmente stabili che bloccano, nonostante si sia in ambiti periferici siamo pur sempre in area urbanizzata, che bloccano o quantomeno riducono le visuali verso l'esterno dell'abitato; se non succede adesso succederà in un prossimo futuro per il fenomeno dell’espansione costante degli agglomerati abitativi.

Casino del Duca di Pescolanciano 2

Dalla villa, invece, si può spaziare con la vista fino a fondali percettivi più o meno distanti in dipendenza della morfologia del suolo, cioè della sussistenza di rilievi orografici che limitano la visione o di distese boscose che si approssimano alla fabbrica tanto da fungere da schermo alle aperture finestrate. Nel caso della villa dei D’Alessandro non vi sono barriere, né vegetali né morfologiche, che riducono la visibilità. La scelta localizzativa per quanto riguarda la panoramicità del sito è perfetta, esso è ad una curva di livello intermedia tra il fondovalle solcato dal fiume Trigno e il crinale montagnoso che incornicia la vallata. È in una posizione estremamente favorevole, non troppo in alto altrimenti sarebbe stato difficile scorgerla, né troppo in basso, cioè non infossata, stando in un fosso non si riesce a guardare, e ovviamente ad esse guardati, oltre l'orlo superiore ovvero il bordo della concavità. È alla medesima quota degli insediamenti umani del comprensorio dai quali, come dalla rete viaria dell’intorno, la villa è visibilissima e per il principio della reciprocità degli sguardi dalla villa se ne riesce a contare tantissimi essendo vastissimo il bacino di intervisibilità. Per i borghi alto-molisani essa viene a costituire un autentico punto focale nella percezione del paesaggio. Che la villa sia stata pensata anche per ammirare il contesto paesaggistico, peraltro assai pregevole, è presto dimostrato: nel fabbricato in questione il tetto inteso quale sistema di falde la cui inclinazione serve ad allontanare la neve che vi si deposita, abbondante nell'alto Molise, non copre interamente l'ultimo livello della costruzione, al centro è sormontato da un terrazzino scoperto. In altri termini un pezzo del tetto viene sacrificato per far posto ad un belvedere, si antepone all'esigenza di avere una copertura integrale con spioventi quella di avere un osservatorio il che testimonia la passione per gli scorci panoramici. Il terrazzo, piccolo, in sostituzione di un loggiato più o meno grande, come ci sarebbe stato da aspettarsi, ma, tutto sommato, la copertura piana, parziale, presenta il vantaggio, oltre che di abbracciare l'orizzonte a 360 gradi, di rimirare la volta celeste, cosa che in una loggia non è ammesso in quanto affaccio coperto. Il lastrico che conclude la porzione centrale del volume architettonico ha quale appellativo, di norma, solarium forse perché vi si può prendere il sole e, quindi, è sfruttabile sia di giorno, per abbronzarsi o per gustare il panorama, sia di notte, per contemplare il firmamento. Torniamo per un attimo al confronto con le villette suburbane da cui non si riescono a inquadrare scorci dell'agro e neppure a intravvedere le stelle per colpa dell'inquinamento luminoso che è costantemente in crescita negli ambiti urbanizzati e riscontriamo la profonda diversità. La geometricità della villa la quale è a pianta quadrata con i lati della medesima misura dell'altezza, una sagoma, in definitiva, iscritta in un cubo ideale, la rende oltremodo riconoscibile anche da lunga distanza risaltando in qualsiasi canale ottico che si apra verso di essa perché in contrasto con le forme regolari che caratterizzano il luogo. Detto diversamente la razionalità cartesiana di questo parallelepipedo regolare, un solido platonico, si sono scomodati 2 filosofi per descrivere la struttura, se lo merita, è in contrapposizione con l'irrazionalità della natura.

Casino del Duca di Pescolanciano - ingresso
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