I Borboni se non hanno lasciato opere pubbliche (salvo il ponte dei “25 archi” sul Volturno, davvero strategico) e neanche monumenti (la statua a Ferdinando II nel Borgo Murattiano a Campobasso pur prevista non venne realizzata e non per mancanza di tempo) nella nostra regione, un merito lo hanno avuto, quello di salvaguardare il bosco di Montedimezzo, oggi Riserva Unesco. Non era una cosa scontata perché stavamo in un’epoca in cui i privati procedevano alla deforestazione a tutto spiano in ogni angolo del Molise per quella fame di terra dovuta alla crescita impetuosa della popolazione, fenomeno che ha riguardato gran parte dell’Europa tra ‘700 e ‘800; c’è un passo di Vincenzo Cuoco nel suo Viaggio in Molise dove egli ammonisce a non dissodare i terreni per il rischio di innesco di movimenti franosi che nel paese in cui nacque, Civitacampomarano, si sono regolarmente registrati. In verità il monarca borbonico non fu mosso dalla volontà di salvaguardare il territorio, di fare qualcosa a beneficio della collettività, bensì da un interesse personale, quello di poter cacciare, la grande passione dei re. Montedimezzo, dunque, divenne una riserva di caccia reale insieme a Torcino che sta a confine tra noi e la Campania nella valle del Volturno, dove i regnanti avevano il diritto esclusivo di esercitare l’attività venatoria. L’immancabile casino di caccia è costituito dal soppresso, e incamerato dallo Stato, monastero benedettino, un presidio antropico fondamentale in un ambiente ostile per l’uomo qual’ è questa immensa foresta in cui solo i monaci, mossi dal desiderio di allontanarsi dal mondo, erano disposti a stabilirsi.
Bisogna pure dire che le superfici forestali non sono quelle predilette dai cacciatori per la monospecificità delle specie arboree che le contraddistinguono, preferendo al posto di boschi puri, con essenze coetanee, i luoghi dove vi è una compresenza di biotopi; la loro varietà è garanzia di una varietà di animali selvatici ognuno dei quali ha proprie nicchie ecologiche. In definitiva, sono migliori dal punto di vista faunistico le situazioni ambientali caratterizzate da una diversità di habitat, la boscaglia intercalata con alberi di alto fusto, distese boscose fitte frammiste a quelle rade. È assai apprezzata dai seguaci di Diana la presenza di radure, spazi liberi da piante che permettono di avere una visuale libera in modo da poter avvistare prontamente la selvaggina. In sintesi, appezzamenti aperti insieme a quelli chiusi. Purtroppo ormai, il rammarico non è per la caccia bensì per il paesaggio, vanno sparendo, richiudendosi i boschi, quelle “lacune” all’interno degli ambiti boschivi denominate cese, parola che viene etimologicamente dal verbo recidere, perché erano frutto di tagli per destinare la particella a coltivazioni agrarie. I vuoti nelle aree a copertura boschiva costituivano una caratteristica forte di tanti contesti paesaggistici molisani. Vi sono tantissimi toponimi che rimandano a tale pratica agricola, solo a S. Massimo Cesa Martello, Cesa Salomone, ecc. Oggi le cese vanno sparendo per il processo in corso di reinselvatichimento dei campi in abbandono, fenomeno grave a sua volta conseguenza del calo di residenti qui di 1/3 dal dopoguerra ad oggi. La faccenda delle cese è, comunque, una faccenda particolare, ma d’altro canto in relazione al patrimonio boschivo non si possono avere che sguardi parziali tanto ampie sono le questioni che lo riguardano così come tanto ampia è l’estensione delle aree boschive nel Molise. Un’altra tematica, anch’essa non paradigmatica in quanto coinvolgente una quota tutto sommato ridotta di soprassuolo forestale oggigiorno è quella dei rimboschimenti. Gli svariati Boschi dell’Impero, uno sta tra Macchiagodena e S. Angelo in Grotte, sono stati impiantati in “era” fascista. Devono aver pesato nella decisione di procedere alla creazione di tali boschi anche i rimandi culturali che ad essi si associano. Tra questi vi è il primato della forza con gli esemplari ad alto fusto che si ergono diritti e, in aggiunta, disposti in maniera ordinata similmente ad un reggimento di soldatini indomiti. Vi è, poi, il mito della natura primigenia nonostante siano entità boscate artificiali, diventando un fattore identitario della nazione sul modello dell’alleata Germania con la quale nel periodo del regime nazista si condivide gran parte dell’apparato ideologico e nella quale, prendi la Foresta Nera, la foresta assume addirittura un valore sacrale. In tali autentici sacrari non è ammessa la presenza umana, a controllare c’è la Milizia Forestale. La monumentalità si impone sia nelle architetture sia nelle componenti naturali. Per costruire l’ “uomo nuovo” mussoliniano occorrono simboli forti capaci di conferire identità. In seguito si comincia a guardare al bosco in modo più prosaico, si continua a piantumare, ma adesso per prevenire il dissesto idrogeologico. Non si disbosca più come all’epoca di Cuoco non perché si nutra un sentimento di pietas verso gli alberi, piuttosto per evitare l’innesco di frane.
Si sono rimboschiti i versanti sovrastanti l’invaso del Liscione per impedire lo scivolamento di particelle terrose a valle le quali depositandosi nel fondo del bacino idrico avrebbero provocato l’innalzamento del lago con il rischio di tracimazione delle acque dalla diga di sbarramento, una pineta artificiale per un bacino artificiale. Sempre per eliminare il pericolo di scoscendimenti, ora colate di neve, cioè slavine e non colate di fango, a Campitello vi è una pinetina in località, appunto, La Pinetina. C’è da vedere, poi, un aspetto abbastanza contraddittorio riguardante il materiale legnoso il quale è quello che se da un lato è diminuito il taglio dei boschi essendo venuta a cadere la domanda di legno da ardere, dall’altro lato stanno facendo la loro apparizione anche qui da noi le casette in legno. I cottage sono di moda oltre che perché evocano le dimore rustiche alpine pure per la carica semantica che si porta il legno quale materia prima ecologica. Alla scomparsa nell’edilizia corrente dell’uso del legname per le travi sostituito prima dai travetti in ferro e poi dagli impalcati in calcestruzzo fa da contrappunto la comparsa di abitazioni completamente in legno. Tale tipologia costruttiva nel nostro territorio è una novità assoluta, nella tradizione edificatoria nostrana non ve ne sono esempi se si esclude, è però posticcio, il graticciato del Casino di Don Stefano, Iadopi, a Isernia che ricorda la tecnica costruttiva delle dimore di campagna mitteleuropee.
2 - I boschi e il paesaggio
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I boschi nella nostra regione sono situati in ogni fascia altitudinale, pure in pianura (vedi le pinete litoranee). La gran parte della superficie forestale è, comunque, collocata al disopra degli 800 metri di quota. C’è un limite superiore, che qui da noi è di circa 1900 metri, superato il quale scompare la vegetazione arborea come si verifica nelle cime più alte del Matese (monte Miletto, la Gallinola, monte Mutria) e delle Mainarde (la Meta, la Metuccia, ecc.). la montagna è il luogo esclusivo del bosco d’alto fusto, il quale è prevalentemente una faggeta, seppure vi sono anche cerrete d’alto fusto quale il Bosco Mazzocca a Riccia e il Bosco Pianelle a Tufara. Nelle zone montane o, comunque, in quelle cosiddette interne c’è un aumento dei terreni boscati per via dell’abbandono dell’agricoltura mentre, all’opposto, nelle aree pianeggianti si registra una loro diminuzione a causa dell’urbanizzazione e, cioè, l’espansione edilizia e lo sviluppo delle vie di comunicazione. Le tipologie di bosco nel Molise sono diversissime e vanno dalle macchie boschive che occupano le scarpate, gli angoli dei campi presentandosi in maniera così frazionata da non avere la dignità di bosco, ai rimboschimenti di pino marittimo i quali hanno l’esclusiva funzione di protezione dai venti marini. Pure i boschi possono essere inclusi tra i componenti del paesaggio antropizzato. Poche sono le foreste vergini le quali non sono solo quelle impervie, lontane dagli abitati e scomode da raggiungere, ma anche estensioni boschive lasciate allo stato naturale per ragioni particolari quale quella di essere riserve di caccia reale e questi sono i boschi di Colle Meluccio e di Monte di Mezzo. Esse sono incluse tra le aree MAB dell’Unesco le quali costituiscono un sistema di superfici forestali scelte perché rappresentative dei diversi ecosistemi forestali; in questo campo si ha una estrema varietà poiché la montagna dove in prevalenza si situano i boschi è caratterizzata da una forte eterogeneità geomorfologica, superiore a quella di altre zone altimetriche, la quale dà luogo a un’ampia casistica di nicchie ecologiche. La gestione delle riserve biogenetiche dell’Unesco è connotata dal lasciare tali ambiti alla loro dinamica naturale. Il legname morto viene lasciato in situ, come succede a Colle Meluccio e a Monte di Mezzo, e ciò è l’indicatore più sicuro della naturalità di un bosco.
Un intervento non corretto sembra essere quello della recinzione della superficie boscata come si verifica a Monte di Mezzo perché essa serve sì a proteggere dalle intrusioni e, quindi, dai danneggiamenti, ma impedisce anche l’accesso alla fauna selvatica. Infine, va sottolineato che i boschi, pur della medesima composizione e di uguale dimensione, non hanno tutti la stessa importanza, la quale dipende dal contesto in cui si trovano. Si investono fondi per valorizzare il bosco di Montecilfone il quale pure se non è di pregio eccezionale ha un notevole valore per la sua rarità trovandosi nel basso Molise. Le superfici forestali, ovunque stiano, sono soggette dal 1985 al vincolo paesistico il quale si aggiunge per molti di essi al vincolo idrogeologico che per decenni, a partire dal 1923, ha salvaguardato il patrimonio boschivo molisano. Con un gioco di parole si può dire che prima della legge Galasso si proteggevano i boschi perché essi, a loro volta, proteggono dalle frane e dalla caduta massi (è quanto si constata, ad esempio, a monte del centro abitato di Pesche su cui incombono grossi blocchi lapidei). Se i boschi planiziali e quelli di collina sono costantemente minacciati, le estensioni forestali montane non sono da considerare in pericolo se non per la probabilità, davvero bassa, di qualche valanga (2 decenni fa una slavina distrusse una striscia della pinetina di Campitello). In montagna dove, lo abbiamo visto prima, ci sono i boschi d’alto fusto le superfici boscose hanno un maggiore grado di naturalità che altrove, il quale ultimo può essere messo in relazione con il numero di strade forestali: ci sono meno strade di esbosco nei boschi di alto fusto rispetto a quelli cedui in quanto il turno di taglio è più lungo (80 anni contro 20). Queste stradine se, per un verso, sono di disturbo all’ambiente possono servire per la prevenzione incendi. Le richieste sociali rispetto ai boschi si sono modificate e stanno acquistando sempre più peso quelle dei turisti oggi che si vanno affermando le forme ricreative più vicine alla natura: molti preferiscono le vacanze in campeggio come a Monte Vairano di Campobasso o alle Civitelle di Vastogirardi dove si può fare un’esperienza di vita all’aria aperta.
L’economia del bosco è oggi nel Molise pressoché inesistente perché il legno non è competitivo con gli attuali materiali edilizi e neanche viene più usato tanto come combustibile. Se anche vi sono ditte boschive, che sono quelle del taglio degli alberi, queste non hanno collegamenti con le imprese industriali del settore del legno le quali, segherie, mobilifici, ecc. qui da noi peraltro non esistono. Ad influire su questo stato di cose sono state anche le politiche seguite nel campo della forestazione la quale ha avuto come obiettivo solo la prevenzione del dissesto idrogeologico e non quella produttiva se non limitatamente ai finanziamenti europei destinati ad incentivare il ritiro delle colture granarie dei terreni. Ad ogni modo si sottolinea la necessità di ridare centralità nel dibattito regionale al tema del bosco che è un elemento fondamentale dell’ecosistema e che può diventare un fattore di sviluppo per la nostra regione.
3 - I BOSCHI E IL TERRITORIO
I margini sono una parte della superficie forestale alla quale solitamente non si pone attenzione, mentre invece essi costituiscono un ambiente di grande interesse. Essi contribuiscono ad arricchire l’ecomosaico del bosco, il quale si presenta suddiviso in porzioni di differente età, dimensioni e densità ed è inframmezzato da superfici erbose e da terreni inselvatichiti con copertura boschiva. Non si tratta di fatti singoli in quanto essi vengono a formare un insieme in cui i vari componenti possono essere collegati tra di loro e separati da spuntoni rocciosi, piccoli rivi, scarpate e sentieri. In questo modo i margini dei boschi hanno una particolare importanza perché rappresentano la fascia di transizione con la campagna aperta. Nelle zone poste ai margini dei complessi boscati si hanno, data la minore fittezza degli alberi, migliori condizioni di luminosità la quale permette la crescita di una molteplicità di specie vegetali superiore a quella che si ha all’interno del bosco, favorendo la sua articolazione strutturale. In definitiva i margini evitando che il passaggio tra due differenti tipi di biotopi, il bosco e la campagna coltivata, sia eccessivamente netto, bensì che sia graduale, e, perciò, hanno un notevole valore ecologico. Ai margini dei boschi si collocano spesso i campeggi o le aree pic-nic perché gli ambiti boschivi sono i più attraenti per la ricreazione all’aperto; la presenza di attrezzature ricreative in prossimità dei terreni è, però, potenzialmente una causa di incendi, specie quando si tratta di pinete o abetine che sono popolamenti arborei di resinose.
Un altro pericolo viene dalla vicinanza di aziende in cui si pratica ancora la bruciatura delle stoppie. Un rimedio è rappresentato dai viali tagliafuoco i quali possono coincidere con i margini del bosco con i quali hanno in comune la ridotta vegetazione. I margini per la loro natura di strisce di terreno a cavallo tra realtà distinte sono caratterizzati da ambiguità e, quindi, non sono facilmente definibili. Una difficoltà che del resto, riguarda il bosco nella sua generalità. La definizione di bosco è divergente da un sistema di rilevazione all’altro per cui l’estensione forestale in Italia calcolata dall’ISTAT è molto diversa da quella che scaturisce dal Censimento dell’Agricoltura effettuato dal Ministero per le Politiche Agricole. Non esiste un vero e proprio catasto forestale né su scala nazionale né su quella regionale. Sarebbe necessario un inventario che potrebbe utilizzare i dati forniti dalle carte topografiche e dai piani di assestamento dei boschi. Un catalogo sistematico e continuativo dovrebbe essere basato sul rilevamento satellitare il quale assicura una ricognizione fotografica periodica del territorio evidenziando i processi di trasformazione in atto; si potrà così stare al passo con la dinamicità della situazione forestale poiché i boschi nel Molise stanno in costante, seppur lenta, espansione. Un problema nella ricognizione da satellite è dato dalle zone in ombra che sono molto frequenti in terreni di montagna come sono quelli molisani; inoltre va sottolineato che i rilievi da satellite non possono sostituire del tutto quelli compiuti a terra, cioè quelli classici. La normativa che vige qui da noi, la legge regionale n. 6 del 2000, basa la definizione di bosco su diversi parametri. Tra questi vi è quello della superficie minima che è di mq. 2000, quello della sua larghezza, per quanto riguarda la vegetazione ripariale, che è di m. 20, sul grado di copertura che deve essere il 25% dell’intera superficie (si tiene conto pure del fenomeno della frammentazione della superficie forestale perché anche macchie boschive inferiori a questa dimensione purché a distanza inferiore a m. 70 da un bosco sono considerate boschi). Quest’ultimo criterio è legato ad una concezione del bosco come risorsa legnosa che altrove fa riferimento alla massa legnosa per unità di superficie o addirittura al numero di tronchi.
Ciò porta a classificazioni divergenti perché vi sono boschi ricchi di legname, boschi radi ed arbusteti, boschi formati da specie arboree dal rendimento elevato oppure terreni rinselvatichiti che anche quando rientrano tra i boschi hanno una scarsa produzione legnosa. Sulla scorta di quanto sopra i limiti di un bosco diventano estremamente incerti e, così, fissare i margini diventa un’operazione davvero ardua e ciò si traduce in una forte insicurezza nell’applicazione della disposizione contenuta nei piani paesistici dei 50 metri della fascia di rispetto dai boschi; va precisato che questa norma precede la legge forestale regionale e, pertanto, non ha potuto tener conto dell’attribuzione della definizione di bosco anche ai suoli con basso popolamento erboso quali sono, appunto, i margini come si è visto prima. In altri termini si vuole dire che la fascia di rispetto prescritta nella pianificazione paesistica non poteva che mirare a salvaguardare le parti estreme delle superfici boschive le quali sono state ricomprese successivamente con la legge più volte citata nella classificazione di bosco e, pertanto, tale vincolo, la striscia di m. 50 di inedificabilità, ha, in un certo senso, perso di significato.
4 - Vivaio di Colle Astore
e casa in legno
Il legno, materia prima abbondante qui da noi come nel resto dell’Appennino, potrebbe essere sfruttato quale materiale da costruzione nelle tipologie abitative unifamiliari (per impiegarlo nella realizzazione degli edifici pluripiano occorrerebbe una modifica alle norme sismiche in vigore) e negli annessi. Ciò permetterebbe di ridurre la produzione di cemento la quale, come ben si sa, necessita dell’impiego di consistenti quantitativi di derivati dal petrolio che alimentano il forno del cementificio per i quali, anche questo ben lo si sa, dipendiamo dall’estero; in tempi quale quello che stiamo vivendo c’è il rischio che ciò si trasformi in dipendenza pure sugli scenari geopolitici; la dipendenza mette in pericolo la nostra indipendenza. Un discorso completo sul legno, cosa che qui, lo si assicura, non intendiamo fare, richiede che si parta dai vivai, cosa questa che intendiamo fare.
Il vivaio, invero un ex-vivaio, di cui si sta per parlare è quello originario (ne è stato realizzato a breve distanza uno nuovo dismettendo il preesistente) di colle Astore a Carpinone. Esso ci permette, evidentemente in piccolo, di poter seguire l’intero ciclo del legno, dallo sviluppo di piante da legno all’utilizzo di quest’ultimo in manufatti costruttivi, peraltro di notevole interesse architettonico e anche paesaggistico poiché composti come sono, in parte, di legname il quale, comunque, li caratterizza, coerenti con il contesto ambientale che è un bosco (l’attività vivaistica sta in una radura boschiva). Nell’unico corpo di fabbrica vero e proprio, gli ulteriori volumi, di cubatura inferiore, hanno le sembianze di strutture di carattere temporaneo o amovibili, che contiene vani per ufficio, divulgazione, guardiania il legno è accostato alla pietra dello zoccolo basamentale e alla muratura delle pareti. In legno è la copertura la quale si impone alla vista per la sua forte sporgenza sul lato frontale, in grado così di coprire la balconata sottostante. È da sottolineare che è un tetto molto pendente e questa scelta formale si giustifica, per un verso, in quanto aumentandosi l’altezza del piano subito sotto si migliora la sua vivibilità e, per un diverso verso, per esigenze estetiche richiamando la sagoma il profilo delle abitazioni o malghe che siano delle Alpi dove la maggiore nevosità impone che le falde del tetto abbiano una maggiore inclinazione al fine di favorire lo scivolamento della coltre nevosa ivi depositatavisi, sulle faccende stilistiche, però, ritorneremo dopo. Il legno è il componente esclusivo, con la vetrata, di sicuro, della veranda, “parola” di un linguaggio differente da quello dell’architettura alpina in cui, dato il freddo di quelle latitudini, le bucature nelle murature sono contenute;
piuttosto il richiamo è alle dimore di villeggiatura nelle quali la veranda comincia a comparire fin dal XVII secolo. La veranda è una sorta di ornamento che, peraltro, contrasterebbe con la semplicità che informa la classica casa contadina. Come ci si è accorti siamo tornati a quel tema degli stili che tenevamo accantonato e che adesso siamo pronti, introdotta la “figura” della veranda, a trattare. In campagna, ora siamo in una superficie boscata ma fa lo stesso, sono spuntati, qui e là, negli ultimi 100 anni fabbricati con fattezze “esotiche”, quasi seguendo delle mode quali il neo-medioevale ovvero il gotico, l’old England, le pagode dei gazebo derivanti dal gusto per le “cineserie”, i colonnati palladiani agli ingressi degli edifici e persino c’è la replica di stilemi vernacolari dell’edificato rurale toscano, in contrasto con i connotati tradizionali delle costruzioni locali. Vi è, in definitiva, una molteplicità di codici linguistici, addirittura una babele, è tra essi vi è la specifica lingua delle opere in legno per le quali il riferimento figurativo è il cottage che, a sua volta, si ispira alle farm del far west. Nei cottages gli americani metropolitani si rifugiano nei week end e a questo carattere di luogo di evasione si aggiunge quello di luogo in cui stare a contatto con la natura, sensazione che si incrementa se il legno viene adoperato allo stato grezzo con i tronchi appena scorticati e le tavole appena piallate.
La carica semantica del legno, quella legata al rifuggire le comodità della vita borghese, si è ormai stemperata e il legno compare nei nostri alloggi unicamente sotto forma di parquet, pavimentazione particolarmente apprezzata per il senso di calore che emana. Una digressione quella condotta sul gusto per il pittoresco lunga, ma utile per inquadrare la specificità dello stabile di Colle Astore. Gli inserti in legno che qui e, del resto, anche altrove a vista alleggeriscono l’immagine di tale immobile la cui massività è attenuata attraverso lo “svuotamento” di un angolo, stilema caro all’architettura contemporanea, cui è applicata la veranda in legno e attraverso l’aggiunta di un corpo scala contenuto in una gabbia in vetro e legno che pur essendo esterno racchiude una scala interna, pur’essa in legno; l’uso del vetro sul quale si rispecchiano gli alberi circostanti smaterializza in qualche modo e in qualche punto il blocco edilizio che senza gli inserimenti della veranda e della “teca” contenente la scala sarebbe un parallelepipedo “squadrato”. Il legname di cui ci si è serviti in questa fabbrica è liscio, ben rifinito, non “al naturale” qual è quello dei cottages, e ciò conferisce ad essa una qualche urbanità, più propriamente una sub-urbanità ritrovandosi tale tendenza alla “civilizzazione” del legno nelle villette sub-urbane, il sogno peraltro della piccola borghesia.