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I centri abitati nel paesaggio

In tante cartoline illustrate dei comuni molisani la foto ha al centro del panorama l’insediamento abitato. Questo posto sempre su un’altura domina il quadro paesaggistico in cui si alternano campi coltivati e macchie boschive. È un’immagine suggestiva anche perché rimanda al medioevo quando i nostri borghi vennero fondati, con poche eccezioni tra le quali Boiano e Venafro che essendo di origine romana non stanno sul colle, bensì in pianura; a quest’ultimo proposito vale sottolineare che in ogni epoca le città sono situate in piano e i villaggi sopra un rilievo.

Bojano

Rimanendo alle cartoline è ovvio che esse siano tendenzialmente oleografiche per cui vi compare sullo sfondo la casetta tradizionale, l’albero secolare e così via, ma ciò non può essere imputato solo a esigenze di marketing riflettendo anche l’immaginario collettivo dove una certa Italia minore è racchiusa nella visione fatta da agglomerati storici arroccati in cima ad un picco morfologico. Al di là dello stereotipo è una delle rappresentazioni più incisive del paesaggio collinare delle regioni appenniniche nel quale la struttura insediativa, che era di tipo compatto, ha una indiscussa centralità per il suo grande peso simbolico. Noi costruiamo ancora oggi mentalmente quali riferimenti territoriali gli scorci prospettici aventi come fulcro l’aggregato edilizio storico. In effetti, è un modo corretto se si tiene conto che il fatto urbano, in maniera estremamente forte, è rivelatore dell’antropizzazione che ha subito il territorio italiano anche negli angoli più remoti. Qui non esistono luoghi selvaggi, ogni contesto pur lontano dai poli dai quali si sono irradiate le civiltà essendo frutto del lavoro di generazioni di contadini, artigiani, ecc. Il paesaggio molisano compreso quello delle valli sommitali del Matese e delle Mainarde, risulta, se non costruito, impregnato dell’azione dell’uomo. Il rapporto tra opera umana e componente della natura non è stato, comunque, di sopraffazione, bensì di ricerca dell’armonia; rende chiaro tale concetto la situazione dei centri abitati con il nucleo antico che fa tutt’uno con l’emergenza rocciosa su cui sorge il quale è ben più stabile delle espansioni recenti sviluppatesi su aree argillose. È da dire ancora che il paesaggio collinare è molto più delicato dal punto di vista idrogeologico di quello di pianura e perciò l’edificazione dei villaggi, cominciando dalla scelta del sito, ha richiesto una grande attenzione imponendo un atteggiamento estremamente rispettoso nei confronti dell’ambiente. Nella nostra regione pure è corretto fare un richiamo alla civilizzazione urbana quella, anche se a scala ridotta, che ha informato, a partire dall’Età dei Comuni, la parte mediana della penisola, con la specificazione che qui al posto delle città si hanno realtà insediative distribuite nel territorio piccole e, però, capaci di essere un riferimento per l’intorno. Invece, dunque, di città borghi di dimensioni contenute che appaiono, con i loro campanili svettanti quasi in ogni visuale panoramica con lo sguardo che inevitabilmente si concentra su di essi.

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Si è nominato di frequente il Molise, che non è una cosa unitaria, presentando zone rimaste escluse dallo sviluppo dei decenni passati e aree più avanzate: i cambiamenti nelle prime sono stati minimi per l’impianto e il pericolo maggiore urbanistico è costituito non dalle trasformazioni incongrue, bensì dall’abbandono. L’isolamento vissuto da interi comprensori come l’altissimo Molise ha favorito la conservazione nel tempo del suo paesaggio, mentre la collocazione su aree rilevate dei paesi ha impedito l’affiancamento ad essi di capannoni. Osservando da vicino quello che da lontano sembrava un insediamento omogeneo si nota che, il più delle volte, è formato da differenti parti. Gli insediamenti sono cresciuti su sè stessi, Isernia con il suo schema viario romano all’interno del quale sorgono edifici con facciate ottocentesche, esemplifica bene ciò, oppure vi sono quelli che si estendono fuori le mura, rimanendo così la zona più antica inalterata, ed è quanto è successo a S. Massimo. Si tratta di modelli urbanistici diversi, quello per il nucleo di origine medioevale con una disposizione radiocentrica o a ventaglio dei percorsi e quello per l’ambito di espansione che è di tipo lineare seguendo questa le direttrici viarie. La matrice originaria rimane, però, evidente riuscendo a non rimanere soffocata dai rimaneggiamenti subiti nei secoli e specie negli ultimi tempi a Torella, a Tufara, a Gambatesa e in svariati altri comuni. Una vicenda particolare è quella dei paesi toccati dalla ferrovia poiché nei pressi della stazione ferroviaria che sta necessariamente in basso, essendo impossibile per la linea ferrata seguire i dislivelli, nasce un’appendice urbana, connessa o meno (S. Agapito Scalo) con il resto dell’agglomerato e la connessione vi è a Carovilli dove la stazione è in una conca valliva. Soffermandosi su quanto appena detto è da aggiungere che la crescita urbana o si attesta ai lati delle principali arterie che penetrano nel centro abitato o sceglie una superficie pianeggiante (Piana S. Leonardo di Larino) per l’ampliamento, mai sfrutta una dorsale o uno sprone. Di spunto in spunto, i tracciati ferroviari e soprattutto stradali realizzati prima, mettiamo della seconda guerra mondiale nonostante siano dei segni moderni non disturbano l’immagine paesaggistica degli abitati, al contrario di quanto fanno i viadotti contemporanei, il caso più eclatante è quello di Cerro al Volturno. I manufatti viari odierni sono sconvolgenti altrettanto quanto un complesso edilizio nuovo affiancato al vecchio borgo se supera certe dimensioni, imponendosi negli scorci visivi che abbracciano il villaggio preesistente.

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Un grosso edificio (al di là dell’altezza conta la continuità della massa volumetrica e la superficie esterna impegnata) ingombra lo skyline sia se inserito nella zona urbana esistente sia se all’esterno. I caratteri architettonici dei fabbricati che si pongono nell’addizione urbana non sono quelli tradizionali e anche la distribuzione dei volumi non è la stessa, distanziandosi fra loro le case nella parte nuova, mentre in quella vecchia si ammassavano l’una sull’altra. È davvero difficile ottenere l’integrazione tra i due edificati, certo non con la mimetizzazione degli edifici che si vanno a costruire ottenuta attraverso l’utilizzo di pietra locale in facciata. Se non si è in grado di garantire la leggibilità delle viste panoramiche del borgo arroccato e del suo rapporto con l’insieme ambientale cui partecipa allora, forse è meglio spostare quanto si intende realizzare ad una qualche distanza dall’abitato storico al fine di assicurare la riconoscibilità paesaggistica di tale aggregato, ponendo, comunque, nella individuazione del luogo cura a non alterare gli spazi periurbani che con i loro orti (Agnone), viali alberati (Casacalenda) sono ambiti preziosi (nei centri di montagna, vedi Vastogirardi, l’interesse è la salvaguardia dei rustici destinati a stalle che sono extramurari).

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