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Il monastero di S.Brigida a Civitanova

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Che cos’è un campanile se non il mezzo per avvisare, insieme oppure in supplenza dell’orologio o della meridiana (su una chiesa a Frosolone), dell’inizio di un certo momento della giornata. Le campane, rigorosamente della vicina Agnone nella quale già a quel tempo si fabbricavano, segnano con i loro rintocchi le ore canoniche del mattutino, cioè l’avvio delle attività lavorative, del mezzodì, quindi la sosta per il pranzo, del vespro, allorché si concludono gli impegni di lavoro, della sera, ovviamente il coricarsi. Accanto a questo compito di scandire la giornata di lavoro le campane, con il loro suono, hanno pure quello di chiamare i fedeli alla partecipazione alle funzioni liturgiche. Pertanto lo scampanellio ha un duplice scopo, sacro e profano. È l’equivalente dell’ora et labora di S. Benedetto. La Regola benedettina richiede che venga rispettata la puntualità e questa è, addirittura, la regola, appunto, base della comunità monastica. Un sistema organizzativo per essere efficiente necessariamente si deve fondare su una rigida osservanza delle disposizioni, a cominciare da quelle riguardanti l’orario. Qualcosa di simile troveremo nelle fabbriche moderne e un’anticipazione l’abbiamo qui da noi a Sepino nel lanificio Martino in cui una campanella è posta proprio a fianco dell’ingresso. Solo che le sirene degli stabilimenti industriali risuonano, come è evidente, esclusivamente negli opifici, non pretendono cioè di modulare la vita degli operai nel resto del giorno, tantomeno di indicare loro quando dedicarsi alla cura dello spirito. Riassumendo, i campanili sono una componente imprescindibile di un monastero per cui ve n’è uno in ogni struttura conventuale di quest’Ordine: a Canneto, a S. Vincenzo al Volturno, a Monteverde tra Vinchiaturo e Mirabello, ecc.. Non vi sono altri campanili nelle nostre campagne perché le chiese rurali hanno una semplice vela a sostegno della campana. È da aggiungere, o meglio da specificare, che la presenza di un campanile, opera in genere imponente, non si giustificherebbe se i richiami che da esso provengono fossero destinati esclusivamente ai monaci, sarebbe bastata una vela, mentre ha senso se si considera che il centro monastico è, per l’appunto, il centro di una consistente superficie terriera che è il possedimento dell’abbazia. I benedettini coltivavano la terra anche mediante i coloni ai quali, oltre che ai frati, era rivolto il suono delle campane. Il loro rimbombo ha bisogno di spargersi in un raggio territoriale ampio e per ottenere tale risultato sono necessarie due cose: che le campane siano grandi e che siano collocate ad una altezza ragguardevole il che impone che si costruisca una torre e che quest’ultima sia robusta poiché le campane sono pesanti. I campanili che sorgono nell’agro ci segnalano, in definitiva, che siamo in presenza di un insediamento benedettino inteso quale insieme di convento e di circondario agricolo di pertinenza.

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Tale formula, del campanile vicino al complesso abbaziale, che fa la sua comparsa per prima sull’Appennino, da Norcia su quello umbro a Montecassino su quello laziale a S. Vincenzo alle sorgenti del Volturno a De Iumento Albo sulle rive del Trigno e giù proseguendo, si diffonde in tutto il nostro continente. I seguaci di S. Benedetto, riconosciuto infine Patrono d’Europa, con il loro modello vincente di strutturazione del territorio che sotto le insegne della religione contribuisce allo sviluppo socio-economico delle zone in cui si stabiliscono, prendendo le mosse dalla fascia appenninica, la quale così da cuore dell’Italia diviene un polo della rinascita europea nell’alto medioevo, un baricentro non geografico, bensì spirituale, irradiano la loro cultura nell’intera area continentale. Era una Europa durante quella lontana fase storica priva di confini nazionali unificata all’interno del Sacro Romano Impero, in cui le espressioni artistiche, le idee, gli avanzamenti culturali si muovevano liberamente da un luogo all’altro, magari transitando per i vari nuclei monastici. Isolati nell’ambito agreste: a differenza dei conventi degli Ordini mendicanti, un po’ successivi, come i francescani, che erano cittadini, non costituivano i monasteri benedettini, di certo, dei mondi chiusi. Un motto del santo di Norcia, che tra l’altro si trova inciso in una lapide al’interno dell’ex palazzo baronale di Civitanova, è «hic hostis est hospes», vale a dire qui perfino il nemico è ospite, rivela l’attitudine all’accoglienza dei benedettini, atteggiamento che Benedetto ebbe nei confronti dell’aggressivo re longobardo Totila (è il nome di un monte vicino a Civitanova e piace pensare che un legame ci sia). Pertanto, la massiccia torre campanaria di S. Brigida non va scambiata per una torre di guardia, di scolta per avvisare l’avvicinarsi di possibili minacce, va intesa alla stregua di un faro che indica un porto sicuro in cui i viaggiatori che percorrono l’adiacente tratturo Castel di Sangro-Lucera, nell’approssimarsi di un pericolo, possono trovare rifugio. Se si vuol proprio considerarla una torre voluta per proteggersi allora occorre puntualizzare che la protezione cui è destinata è quella dell’entrata del luogo di culto nel quale si accede da un varco al di sotto della predetta torre. Non è l’unico caso nel Molise di un campanile sovrapposto all’ingresso di un’architettura religiosa perché ve ne sono anche altri; vi è la parrocchiale di Torella in cui per raggiungere il suo portone bisogna superare una breve scalinata che si sviluppa in seno al basamento del campanile e la cappella, Cappella è il toponimo della borgata in cui sta, di Baranello, S. Maria ad Nives, nella quale il piano della navata è lo stesso del piano di campagna.

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Il campanile di S. Brigida situato com’è al suo centro è parte integrante del prospetto a differenza che in altre strutture ecclesiastiche dove, forse perché aggiunto successivamente (lo si legge chiaramente nella chiesa di S. Nicola a Vastogirardi in cui esso autenticamente penetra all’interno dello spazio cultuale, in maniera brusca), esso o viene affiancato al fronte principale allineato con esso, vedi la cattedrale di Trivento, o sul retro, il duomo di Termoli, o è dissociato completamente dal disegno della facciata, a Lucito nell’edificio parrocchiale, o, addirittura, è staccato dal volume chiesastico formando un corpo a sé, la chiesa madre di Campodipietra; per trovare un altro esempio di architettura religiosa in cui il campanile, nel presente caso due, fa tutt’uno con il prospetto bisogna andare a San Giuliano del Sannio con la sua chiesa principale che ha un campanile per lato.

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