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L'artigianato

Per combattere la crisi economica che stiamo attraversando si sono formulate molte ricette per la ripresa produttiva; tra queste non può essere compreso il rilancio dell’artigianato perché questo è un settore che richiede decenni per poter nuovamente decollare, mentre oggi occorrono risposte immediate a sostegno dell’occupazione. Per imparare un mestiere artigiano occorre un apprendistato lungo, ma anche la disponibilità di botteghe per formare i giovani, le quali, però, oggi nel Molise sono in numero davvero limitato.

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L’artigianato è diventato tutt’al più una fonte di integrazione del reddito come succede ad Isernia dove casalinghe o inoccupate lavorando il tombolo forniscono un qualche aiuto alla famiglia. Gli artigiani qui da noi sono quasi tutti anziani e si stenta a trovare giovani che vogliano imparare gli antichi lavori, neanche quando si tratta della famosa fabbrica di campane di Agnone. Ciò che è successo negli ultimi decenni è davvero grave perché si è disperso il sapere centenario di pastai (i pastifici erano molto diffusi ad Agnone, a Isernia, a Cantalupo e così via), di mugnai (l’ultimo mulino ad acqua è stato quello di Baranello, il mulino Corona), di produttori di laterizio (le fornaci di Ripalimosani, di S. Pietro Avellana, di S. Agapito e diverse altre), per non citarne che alcuni. Si tratta di conoscenze, quelle artigianali, che una volta perdute sono difficilmente recuperabili. Si parla tanto di innovazione industriale quale campo su cui puntare per fronteggiare la crisi: si potrebbero trarre vari spunti dall’osservazione dei procedimenti artigianali del passato, studiando, ad esempio, le tecniche dell’arte dell’acciaio traforato di Campobasso, oppure della tessitura della lana di Sepino. Finora, al contrario, si è assistito con indifferenza alla chiusura delle botteghe, senza rendersi conto del patrimonio che in queste era contenuto. Per molti versi è un mistero la scomparsa dei mestieri storici che sono stati liquidati in modo incosciente. Tutti vogliamo diventare bancari, impiegati pubblici e, comunque, addetti ai cosiddetti «servizi», cioè il settore terziario, anche perché convinti che su di esso si baserà la società del futuro. Si preferisce, dall’altra parte, fare gli operai alla catena di montaggio, mettiamo nello stabilimento FIAT di Termoli, piuttosto che imparare qualche arte per aspirare a diventare un mastro artigiano. È proprio un segreto indecifrabile la dissoluzione della tradizione artigiana.

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Chi più ha lottato per la conservazione della cultura artigianale molisana è stato sicuramente più che la Formazione Professionale della Regione l’Istituto d’Arte di Isernia, fondato con il sostegno del Comune un secolo fa come scuola serale per giovani apprendisti. Da pochi mesi si è conclusa la mostra organizzata nella nuova sede di via Berta per celebrare (e giustamente perché questo non è uno dei tanti istituti professionali cui si iscrive chi odia studiare) il centenario di questo istituto scolastico. In tale occasione sono stati presentati al pubblico i prodotti dei vari laboratori i quali sono ancora la spina dorsale di questa istituzione, anche dopo che essa diventata statale si è andata omologando per certi versi alle scuole secondarie superiori del medesimo indirizzo. Se è vero che questo istituto, in cui in origine insegnavano prevalentemente esperti artigiani tanto che i docenti venivano chiamati maestri e non professori come si è fatto in seguito, nel tempo ha modificato parzialmente la sua natura esso ha, ad ogni modo, cercato di mantenere i rapporti con la realtà della produzione. Qui si insegna la ceramica, la tessitura, la fusione dei metalli, la grafica misurandosi pure con le esigenze della serializzazione della odierna “società di massa”. La produzione in serie è inevitabile se non si vuole che la lavorazione artigiana rientri nella nicchia degli oggetti di lusso. Molte volte per essere inclusi in tale categoria non conta tanto il materiale di cui sono formati quanto il fatto che sono pezzi unici. La contraddizione dei nostri tempi, come qualcuno ha detto, è che siamo, da un lato, così benestanti da non saper fare più lavori manuali e, dall’altro lato, con un reddito non sufficiente a consentirci di acquistare cose fatte a mano. Attraverso il legame con la macchina si corre, però, il pericolo che l’artigianato rimanga sempre più senza artigiani e ciò, del resto, è quanto è già successo all’agricoltura che, per via della spinta meccanizzazione, è priva adesso di contadini, almeno nel basso Molise dove è questa la realtà che si sta vivendo. Con l’introduzione di procedimenti produttivi mutuati da quelli dell’industria si riesce a soddisfare la domanda dei turisti in cerca di souvenir: è quanto succede ad Agnone con gli oggetti in rame il cui numero si è moltiplicato nonostante le due «ramere» poste lungo il corso del Verrino siano da tempo chiuse e sparite le botteghe nel centro storico (salvo quella di Mazziotta alla Ripa). Il folclorismo spinge a rivendere nella cittadina alto molisana oggetti in rame che vengono da fuori, quasi fossero fabbricati dagli artigiani locali. Questo non è un imbroglio a danno dei visitatori, ma la regola nelle località turistiche se è vero che anche a Firenze si vendono lavori a tombolo eseguiti a Isernia fatti passare per merletti toscani.

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A quest’ultimo proposito va sottolineato che prima l’artigiano non esportava salvo che nei paesi vicini durante i giorni di mercato e ciò era determinato dalla distribuzione fra le varie comunità in un dato territorio delle capacità artigianali: a Campobasso e Guardiaregia i vasi in terracotta, a S. Massimo i cesti, ad Agnone il ferro battuto (oltre il rame), a Frosolone le forbici e i coltelli, a Sepino i panni di lana e via dicendo. Si esportavano unicamente, pure oltre i confini nazionali, le pregiate «lame» di Campobasso. Il legame con il luogo era indispensabile per l’artigiano non fosse altro che per il reperimento della materia prima per le loro fabbricazioni; si pensi alla creta per i «pignatari» che deve consistere in una argilla abbastanza pura, oppure ai gambi di quel particolare “cultivar” di grano e ai giunchi rispettivamente per l’intreccio della paglia e per la preparazione dei canestri di vimini. Il rapporto con il posto è fondamentale, ovviamente, per la trasmissione del sapere artigiano, anche se ciò, in verità, non sempre è vero come testimonia la presenza di un pittore di icone a Petrella Tifernina e l’attività di amanuensi e miniaturiste praticata dalle suore di S. Vincenzo al Volturno. Non ci si sorprenda, non sono citazioni casuali, quelle contenute nel periodo precedente, e nemmeno inappropriate  in quanto il confine tra l’espressione artistica e il lavoro artigianale è sottile e, perciò, per i prossimi cento anni l’Istituto d’Arte di Isernia se non vuole trasformarsi in una accademia delle belle arti in sedicesimo dovrà impegnarsi affinché i suoi allievi non siano interessati esclusivamente alla conoscenza delle arti visive, ma anche, e soprattutto, all’apprendimento di un mestiere artigiano!

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