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   I monumenti ai caduti

   Il ricordo dei morti della I Guerra Mondiale

   La commemorazione dei Soldati della Grande Guerra

   La memoria dei Caduti della Grande Guerra

Tutti i Comuni molisani hanno il monumento ai Caduti della Grande Guerra, non solo quelli dove avvenne il reclutamento degli Alpini, cioè i paesi di montagna; gli avvenimenti bellici, infatti, si svolsero non solo sulle Alpi, ma anche in piano, come la famosa Battaglia del Piave. Dunque, vi sono monumenti anche nei paesi costieri dai quali provengono i Fanti (non i Marinai in quanto si ebbero solo combattimenti terrestri). Termoli, il maggiore centro della costa, ha, peraltro, uno dei monumenti più apprezzati tra quelli che si trovano in Molise, opera di Enzo Puchetti, un artista di valore al quale si devono tanti altri Monumenti ai Caduti nel Centro meridione e, pure, quello di Trivento, altrettanto bello. Vale la pena, avendone parlato, mettere in evidenza l’iconografia di entrambi, in quanto simile, che è quello della Patria che sorregge il soldato morente, tema che se non è antibellicista è, però, lontano dalla volontà di celebrare il mito del guerriero. A riguardo della ricorrenza delle medesime raffigurazioni, seppure con varianti, va aggiunto che questa non è una cosa rara né qui da noi né altrove come dimostra l’impiego dell’obelisco, emblema della perennità della memoria, a Campobasso, a Toro, a Matrice in cui il Monumento è a metà tra obelisco e piramide, ambedue simboli tratti dalla civiltà egizia nella quale il culto dei morti era molto forte.

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Si prende spunto sempre da Termoli il cui monumento è situato in piazza Vittorio Veneto, la cittadina sede dello scontro finale, per dire che vi sono in molti centri della regione strade intitolate a località che furono siti di importanti battaglie a cominciare dalla sua “capitale” con un quartiere le cui vie hanno tutte nomi di questo tipo (Montegrappa, Pasubio, Montesabotino, ecc.) proseguendo con Isernia, via XXIV Maggio, una delle principali arterie urbane, l’altro capoluogo di provincia e così via. Vi sono pure nella toponomastica percorsi stradali dedicati a eroi, cioè Medaglie d’Oro, della I Guerra Mondiale, prendi a S. Massimo via Luigi Piccirilli. Ancora Termoli offre il cosiddetto destro per evidenziare che in diversi monumenti del nostro territorio il soggetto rappresentato è una figura femminile, sia nelle vesti della Patria quale madre come nella cittadina adriatica sia, di nuovo a S. Massimo, di personificazione della Vittoria che alza al cielo la fiaccola, gesto che ha in comune con la Statua della Libertà a New York; la donna se non è stata al fronte ha comunque svolto un ruolo importante negli anni ’15-’18 avendo sostituito gli uomini nella conduzione, per quanto riguarda la realtà nostrana, della campagna. Non furono poche quelle che rimasero vedove le quali si andavano a sommare ad un’ulteriore categoria di vedova, la “vedova bianca”, cioè la condizione di colei il cui marito è emigrato, l’emigrazione comincia allora, fino al ricongiungimento familiare che può avvenire numerosi anni dopo la sua partenza. Ci si è soffermati a lungo sulla città del Basso Molise, adesso lo si precisa, perché l’osservazione del suo Monumento ai caduti ci permette di fare il punto su alcune questioni ricorrenti relative a tali monumenti che sono, riassumendo, la prima quella della loro presenza in ogni insediamento abitativo, tanto a vocazione montana quanto marittima, la seconda quella che ve ne sono alcuni davvero di pregio, appunto quello termolese, realizzati da scultori noti, comunque pochi poiché la maggioranza è di autore anonimo, la terza, quella che non è affatto detto che il monumento debba esaltare le azioni guerresche e non, come succede proprio in questo caso, inculcare un sentimento di pietà verso le vittime dei combattimenti, la quarta, quella che a lasciare traccia di sé la Grande Guerra ci ha pensato anche attraverso lo stradario cittadino ricco di riferimenti agli eventi bellici, la quinta (non c’è un ordine prefissato), quella della varietà delle espressioni artistiche che sono a volte di natura figurativa, la statuaria, a volte informate ad una specie di esoterismo per i rimandi all’antico Egitto, la stele. Inoltre, continua l’analisi di ciò che si può dedurre vedendo il monumento di Termoli e che ci potrebbe, in contrapposizione, indurre in errore, spingere ad un falso convincimento, c’è il rischio che si creda che i Monumenti ai Caduti siano costantemente di uguale “stazza”, di equiparabile imponenza se non si estende lo sguardo all’insieme dei monumenti, perlomeno, molisani: allargando la vista si coglie che essi hanno dimensioni differenti, sono di “taglia” diversa e ciò non necessariamente in dipendenza della consistenza demografica del paese (Mirabello S. e Montagano, che hanno una quantità di residenti pressoché identica, hanno il primo un gruppo scultoreo a scala 1 a 1 su piedistallo in pietra, mentre il secondo ha una semplice lastra in marmo, seppure arricchita da decorazioni sui bordi, con l’elenco dei morti). Forse esiste un indizio, piuttosto che il reddito pro-capite registrato in quel comune, per cui in quelli più floridi economicamente vi sarebbero monumenti più grandi, che consente di stabilire la ragione della diversità dimensionale dei monumenti, da cui sicuramente dipende il loro costo, che è l’attivismo di qualcuno dei componenti della società del posto che si preoccupa di raccogliere fondi tra i concittadini, magari estendendo la raccolta pure alle comunità di emigrati. Talvolta i promotori sono stati associazioni, innanzitutto quella degli “ex combattenti e reduci” e dei Cavalieri di Vittorio Veneto, ad essere i promotori dell’iniziativa costruttiva. Di certo, non c’è un rapporto tra grandezza del monumento e, lo si ripete, tra spesa sostenuta, e le perdite subite da quel determinato centro abitato e l’esempio che illustra meglio ciò è Castelpizzuto, poco più che un villaggio e, però, montano dal che si desume che i giovani del luogo siano stati arruolati nel Corpo degli Alpini, arma che ha subito addirittura una decimazione dei militari durante il conflitto, svoltosi in consistente misura in montagna; in questo Comune c’è solo una lapide a ricordare i periti. Proprio lì dove, in proporzione, vi sono stati più morti il monumento è più piccolo.

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Il ricordo dei morti della I Guerra Mondiale

Tanti sono i punti di osservazione dai quali guardare i Monumenti. Uno di questi è di carattere, per così dire, urbanistico. C’è disomogeneità nella collocazione dei Monumenti ai Caduti nella struttura urbanistica dei nostri comuni, ma c’è una cosa in comune nella loro sistemazione ed è che essa è sempre esterna ai centri storici. Ciò lo si spiega con un duplice ordine di motivi che esponiamo di seguito. Il primo è che all’interno dei nuclei antichi di questa parte della Penisola, quella meridionale, a differenza dell’Italia dei Comuni dove esistono le piazze (l’unica è Isernia che ne ha una, retaggio della civilizzazione romana la quale impone che nella polis vi sia sempre il foro, l’attuale piazza Mercato) non vi sono spazi aperti. Il secondo è che, per legge, il Monumento deve essere associato al Parco o Viale delle Rimembranze i quali, sia l’uno che l’altro, si addicono alle zone extraurbane. Se nel borgo medioevale non c’è il Monumento c’è, però, una lapide posta sul muro, generalmente, del Municipio che a lungo ha continuato a stare qui, mentre il Monumento vero e proprio, il quale di norma è più tardo, è posizionato al di fuori delle mura urbiche e il caso esemplare è quello di Roccamandolfi. Se è vero che l’espansione extramoenia si sviluppa usualmente lungo la strada di collegamento alla viabilità regionale (è un processo spontaneo indotto dalla possibilità di sfruttare un’ “opera di urbanizzazione” già presente, l’infrastruttura viaria), allora è chiaro che il Monumento ai Caduti si viene a trovare all’ingresso dell’abitato tradizionale, ancora il cuore dell’insediamento, ed è, peraltro, la “cosa” che si incontra per prima (vedi Duronia).

Una diversa azione rispetto ai Monumenti per la celebrazione del patriottismo è quella della intestazione di arterie cittadine a chi ha contribuito a formare l’Italia. La memoria non ha bisogno per forza di monumenti per potersi trasmettere, per poter raggiungere le generazioni successive e tramandarsi. Il ricordo dell’epopea risorgimentale è stato affidato qui da noi, con l’eccezione delle statue all’eroe locale Gabriele Pepe e a quello nazionale per antonomasia, meno impegnativa perché è un mezzobusto, Garibaldi (peraltro in piazza Cuoco), alla toponomastica. Vi sono sia vie, via Mazzini, sia viali, viale Elena, sia corsi, corso Vittorio Emanuele, sia piazze, piazza Cesare Battisti, dedicate a personaggi che hanno concorso alla realizzazione del Regno d’Italia (la consorte di Re Umberto è una figura di un certo rilievo per il consolidamento della monarchia). La stessa cosa, per quanto riguarda la denominazione delle strade, è avvenuta per la Grande Guerra con arterie urbane che hanno il nome di Medaglie d’Oro, come Muricchio e Romagnoli, solo che per commemorare questa c’è anche il Monumento ai Caduti. Un intero quartiere ha le strade che si chiamano, ognuna, come le località in cui sono avvenute le principali battaglie di questo sanguinoso conflitto (Monte Nevoso, Monte Grappa, ecc.). Posti sconosciuti, qui da noi, che evocano morte anziché gloria, così come dovettero apparire ai coevi estranee quelle personalità indicate nelle targhe stradali protagoniste dell’Unità d’Italia che ebbe il pesante strascico nel brigantaggio. La commemorazione dei Caduti ha interessato tutti i borghi, ma, di certo, nel capoluogo del Molise ha un rilievo maggiore. Campobasso ha addirittura 3 punti distinti nei quali si commemora la Grande Guerra. Il principale, o almeno quello che è più alla portata, o meglio alla vista, di tutti è l’ “obelisco” che sta nella centralissima piazza della Vittoria e, del resto, esso è l’ “oggetto” delle celebrazioni del 4 Novembre alla cui base viene deposta la corona di fiori. Esso è ben visibile non solo da vicino e non potrebbe essere altrimenti data la sua mole, ma anche da notevole distanza costituendo l’asse prospettico della maggiore arteria cittadina, il corso Vittorio Emanuele II, il “corso” per antonomasia.

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È percepibile fin dal capo opposto di tale strada. Non è l’unico caso nel Molise dove il Monumento ai Caduti costituisce il fondale di un percorso urbano, sempre quello più importante, perché vi è anche S. Angelo in Grotte, paese in cui si è avuta pure una disputa in relazione all’allineamento del monumento con il tracciato viario più significativo che deve essere stato il generatore del’insediamento. Un secondo luogo dedicato alla memoria dei soldati morti è il portico del Municipio all’interno del quale vi è la lapide con incisi i loro nomi e proprio per tale collocazione è poco visibile, a differenza di altre realtà comunali che hanno un’analoga iscrizione posta, però, sulla facciata del palazzo civico (ad es. nel fronte della ex Casa Comunale della vicina Ferrazzano). Infine sulla Collina Monforte vi è il Viale delle Rimembranze (a Isernia è un giardino pubblico che comprende il Monumento) il quale è uno dei pochissimi casi nella regione di viale a sé stante dedicato ai Caduti, la cui meta è il Sacrario che conserva le spoglie dei militari deceduti, mentre di solito, prendi S. Giuliano del Sannio per non allontanarci troppo, il viale è integrato nella struttura urbanistica con conseguente evidenti disturbi alla meditazione sui valori patriottici. Va segnalata anche la lapide al chiuso del convitto degli studenti del Mario Pagano insigniti di medaglia. Adesso si ritiene doveroso precisare che i Monumenti ai Caduti assomigliano più a monumenti funerari che a vessilli della vittoria, una cosa festosa. I Monumenti ai Caduti non sono assolutamente esaltazione della guerra, proprio perché sono un omaggio, in qualche modo, nel senso che compaiono pure in queste opere vittorie alate, armi e aquile (prendi Oratino) simboli guerreschi, a chi è caduto durante gli eventi bellici. Non sono neanche un’esaltazione, sic et sempliciter, pura e semplice, del patriottismo come dimostra il fatto che quando è raffigurata la Patria Essa è, di frequente (Termoli e Trivento), rappresentata nell’atto di sostenere il soldato morente, alla stregua di una madre che sorregge il proprio figlio colpito e quindi sollecita un sentimento di pietà. Tutto ciò per dire che seppure edificati in prevalenza nell’ “era” fascista essi non sono frutto di quell’acceso nazionalismo che portò al potere Mussolini il quale si avvalse del forte sostegno dei reduci di guerra. A dimostrazione che non si tratta di celebrazioni tout court della vittoria le quali facilmente scadono nella rivendicazione di una presunta superiorità della nostra nazione, vediamo in taluni casi, uno per tutti Spinete ad opera dello scultore boianese Mario Cavaliere, che nel Monumento ai Caduti che sta presso la scuola i combattenti periti nella II Guerra Mondiale stanno elencati accanto a quelli della I e accanto, inoltre, ai dispersi nella Campagna di Russia, ai morti sul Mare Egeo nel conflitto contro la Grecia, ai caduti nella guerra di Spagna.

La commemorazione dei Soldati della Grande Guerra

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La Grande Guerra si concretizza davanti agli occhi delle comunità attraverso opere durevoli le quali ancora oggi presidiano i centri abitati, che sono i Monumenti ai Caduti. Vi sono diversi aspetti da considerare nell’esaminare tali Monumenti. Una cosa fondamentale che emerge in tale analisi è che essi sono onnipresenti, cioè presenti in quasi ogni centro del Molise. Alle volte, una volta sola in verità, ve ne sono due ed è quanto succede a S. Maria del Molise dove ce n’è uno nel capoluogo comunale e un altro nella frazione di S. Angelo in Grotte che al tempo del I conflitto mondiale era Comune autonomo; all’opposto a Castelsanvincenzo che nella medesima epoca era suddiviso in due entità comunali a sé stanti, S. Vincenzo e Castellone al Volturno, se ne è realizzato, con contributo regionale, uno nei primi anni 2000 nel punto di congiunzione tra i due nuclei storici il quale, poiché momento di separazione, era l’unico luogo libero dove poterlo realizzare, oltre ad essere vicino ad entrambi i borghi. Per inciso, si riscontra che i Monumenti alla Grande Guerra sono presenti pure nei paesi che negli anni di quel conflitto bellico appartenevano al Molise e a Prata Sannita, oggi rientrante nella ripartizione provinciale di Caserta, si può leggere sul piedistallo del monumento a fianco al nome dell’insediamento la scritta Provincia di Campobasso. Da noi, forse è opportuno evidenziarlo, non vi sono opere commemorative poste sui luoghi delle battaglie, perché non siamo stati zona di guerra, e tutti i Monumenti sono all’interno del perimetro urbanizzato, magari alla sua periferia dovendosi prevedere, obbligatoriamente, il loro inserimento in Parchi o Viali della Rimembranza, oggi in gran parte scomparsi o per incuria o, specie in piano (S. Massimo), per far posto a parcheggi. Anche per via delle valenze artistiche che qualitativamente sono rilevanti, di norma, i Monumenti arricchiscono i paesaggi urbani.

Antecedentemente alla stagione dei Monumenti alla Grande Guerra erano rari i monumenti nei nostri centri abitati e i pochi che c’erano erano concentrati nel capoluogo di regione, all’epoca di provincia. Il più imponente è quello a Gabriele Pepe, opera di un artista di fama, Francesco Ierace, autore anche di tanti Monumenti ai Caduti nel Centromeridione, il quale sicuramente deve essere costato molto. Il generale molisano è una figura piena, intera e sta in una piazza a lui dedicata, mentre Garibaldi è a mezzobusto e sta in una piazza, per così dire, altrui nel senso che è intitolata a Vincenzo Cuoco. Ambedue abbelliscono lo spazio urbano in cui sono collocati, abbellimento che prima era compito delle fontane, vedi piazza del Municipio, funzione che hanno continuato a svolgere anche dopo ed è il caso di quella posta nel Giardino Musenga di Gino Marotta, un esponente dell’avanguardia artistica contemporanea. Neanche la comparsa dei Monumenti al I conflitto mondiale è stata da stimolo all’installazione di ulteriori opere scultoree negli abitati nonostante si fosse potuto constatare “de visu” l’effetto positivo che essi producono sull’estetica degli agglomerati edilizi. Nella stessa Campobasso le uniche sculture che si aggiungono sono quelle raffiguranti Antonio Cardarelli (recentemente affiancato nel giardino del “vecchio” ospedale dal suo allievo Luigi D’Amato) e Francesco D’Ovidio nell’omonima piazza. Nella gran parte dei casi i Monumenti ai Caduti sono opere statuarie, a volte delle vere e proprie opere d’arte e, perciò, in grado di abbellire i luoghi pubblici. Prima del XIX secolo non c’erano sculture all’aperto nella nostra regione, come in tutti gli altri territori periferici della Penisola. Non stiamo parlando solo della statuaria civile, ma pure di quella religiosa. Quest’ultima ha avuto la grande esplosione al momento della canonizzazione di Padre Pio quando ogni comunità ha voluto per sé una effige del nuovo Santo. Continua l’assenza di raffigurazioni di altri Santi, ad eccezione, per quanto riguarda il capoluogo regionale dove, peraltro, San Pio non ha ancora una statua in un luogo pubblico, di San Francesco nell’omonima piazza. Del resto, neanche Gesù e la Madonna sono presenti, in forma di rappresentazione scultorea dentro Campobasso che, essendo il centro maggiore dovrebbe rappresentare una tendenza generalizzata nei comuni molisani, il che non è del tutto vero in quanto a Trivento sono presenti statue sia della Madre di Dio (antistante la chiesa di S. Nicola) sia di Gesù Cristo del quale si venera il Sacro Cuore. Questa statua è sul punto più alto della cittadina, richiamando con questa collocazione quella dei vari Redentori, altro attributo del Figlio di Dio, tra i quali c’è quello di Casacalenda che sta in cima ad un colle, però, distante dall’agglomerato edilizio, parte di un progetto che prevedeva di distribuirli un po’ ovunque in punti ben visibili (sul modello di quello di S. Paolo del Brasile). Le due opere scultoree triventine sono in pietra, mentre il resto delle statue nell’area molisana sono in bronzo. In definitiva, salvo che all’interno delle chiese, sono assai limitate sculture a tema sacro presenti nel contesto urbanistico.

La maggioranza delle sculture è comunque laica, legata alla vita politica (la Grande Guerra innanzitutto) con in comune con quelle religiose, però, l’intenzionalità di formare le coscienze. Occorre sottolineare che il rapporto con il culto finisce lì perché i Monumenti ai Caduti sono rigorosamente separati dalle chiese (salvo che a Molise), quasi fossero il sacro e il profano. Quelle religiose sono opere con figure umane, mentre i soggetti scelti per la rappresentazione della Grande Guerra sono i più diversificati. Si va dall’alto obelisco di Campobasso il quale è piuttosto una colonna istoriata a mò della Colonna di Traiano alla colonna vera e propria, molto più bassa, di Oratino sulla quale è sovrapposto il simbolo della vittoria, un’aquila, all’obelisco, questa volta uno autentico, seppure in piccola scala, quella di Spinete, dal soldato dell’antico Sannio di Pietrabbondante sul cui piedistallo è incisa una frase celebrativa del famoso italianista Francesco D’Ovidio ai soldati, adesso due, del precedente monumento che era presente nel capoluogo regionale vestiti con costumi sanniti e proprio perciò esecrati dal Re che non riconosceva in essi i fanti che avevano combattuto al fronte inducendo le autorità locali a sostituirlo, da gruppi scultorei, cioè con più figure, di Vinchiaturo o, particolarmente bello, di Agnone a statue singole come quella di Molise oppure di Montenero di Bisaccia, nell’un caso raffigurante un milite, nell’altro la Patria. Vale la pena rilevare che se vi sono più figure il monumento è, di certo, più costoso così come la spesa è superiore nei monumenti in cui vi sono corpi umani, per la cui esecuzione è richiesto uno scultore, rispetto a quelli in cui l’iconografia è costituita da una stele, prendi il monumento che sta a Toro, oppure un cippo (a Monacilioni) frutto, invece, dell’arte lapidea, di artigiani, dunque, e non di artisti. 

 La memoria dei Caduti della Grande Guerra

Il ricordo della Grande Guerra è entrato nell’immaginario collettivo, pervadendo anche luoghi inaspettati come un caffè. Se si entra al Bar della Provincia in corso Garibaldi ad Isernia si possono osservare (ma sì, ammirare) i dipinti raffiguranti quasi tutti i Comuni della costituenda Provincia disposti sulle pareti, in alto e quindi ben visibile pure quando l’esercizio commerciale è molto affollato (in verità ce n’è uno che ritrae Campitello il quale, seppure a confine, rientra nella delimitazione provinciale di Campobasso). Nella maggioranza dei paesi l’immagine dell’abitato comprende, anzi ha al suo centro, il Monumento ai Caduti (si colgono pure scorci paesaggistici con i quali a volte il Monumento dialoga come a S. Polo in provincia di Campobasso). Ciò si giustifica non solo perché sono le uniche opere artistiche di questi centri, ad esclusione di qualche fontana o della facciata della chiesa, ma anche perché, è da ritenere soprattutto, rievocano un fatto davvero centrale nella vita della nazione e, a cascata, della comunità, la Grande Guerra. Per la nazione è stato un accadimento del quale va orgogliosa, per gli abitanti dei nostri borghi è, di certo, qualcosa di cui essere fieri, anche se, nello stesso tempo, è stata fonte di lutto. Di tanti lutti in quanto i giovani, data l’altitudine piuttosto elevata di gran parte degli insediamenti molisani, specialmente della Pentria, venivano arruolati tra gli Alpini e quindi mandati in prima linea. Se si aggiungono alle vittime negli eventi bellici quelli della “spagnola”, l’influenza che dilagò nei medesimi anni, e all’emigrazione che aveva cominciato a prendere avvio si può immaginare il depauperamento demografico, in particolare della componente giovanile della popolazione e di quella intellettuale, i laureati essendo promossi automaticamente ufficiali e quindi posti nelle battaglie davanti alle truppe per dare loro l’esempio (la carica negli assalti alla baionetta). Un periodo triste il primo dopoguerra pervaso dal dolore, dal sentimento per la perdita dei propri cari che i Monumenti ai Caduti non possono lenire e tantomeno le lapidi.

Per quanto riguarda queste chi ha detto che le lapidi ai Caduti non possono essere altrettanto belle dei Monumenti? Non è vero, o almeno non è sempre vero come dimostra quella di Macchiavalfortore infissa su una parete esterna della chiesa parrocchiale, quella di Montagano posta sul muro che sostiene la “rampa dei leoni” o quella di Pietracatella, particolarmente articolata, formata com’è da più lastre, ai piedi della scalinata della chiesa madre; quasi ovunque, lì dove l’iscrizione su pietra (non ve ne sono in bronzo mentre i Monumenti a volte sono di questo materiale) ha un carattere, è un aggettivo appropriato, monumentale, essa è protetta da una catena in ferro e illuminata da una lampada votiva. Sempre le lapidi presentano un fregio ornamentale al contorno. Vi sono situazioni nelle quali l’allestimento di una lapide rivela un intento architettonico. Stiamo parlando di quando la lapide non sfrutta un muro altrui, ma ne ha uno proprio e ciò succede a Forli del Sannio dove essa è in un’edicola a sé stante che costituisce una sorta di fondale della piazza. Nella stragrande maggioranza dei casi non c’è, però, competizione tra lapide e Monumento convivendo nel medesimo borgo distanziati fra loro. La questione del Monumento ai Caduti che non coinvolge anche le lapidi è quella della presenza di opere d’arte, all’interno, o meglio all’esterno nei borghi molisani. Fino alla conclusione del XIX secolo, per quanto riguarda Campobasso, e fino al terzo decennio di quello successivo, per gli altri centri urbani, qui da noi non erano presenti monumenti negli spazi pubblici. A qualificare esteticamente alcuni luoghi dell’agglomerato abitativo vi erano, a volte, le fontane le quali, poi, non sono troppo distanti dai primi in quanto a finalità che non sono semplicemente estetiche perché anche di tipo celebrativo: nel caso dei monumenti sono quella della commemorazione dell’epopea risorgimentale, le statue di Gabriele Pepe e di Garibaldi nel capoluogo regionale, e del sacrificio di Caduti della Grande Guerra, mentre per le fontane sono legate all’esaltazione del raggiungimento ottenuto con la costruzione dell’acquedotto di un importante traguardo sociale, quello di un’accresciuta disponibilità idrica. Il tema del patriottismo, è ovvio siamo tornati a parlare di monumenti, ha continuato ad essere il soggetto ispiratore anche in seguito di opere d’arte urbana, si prenda quella di Isernia vicino al Lavatoio che celebra l’atto di eroismo dell’ufficiale di Marina Tedeschi nel mare Egeo, mentre le nuove fontane che si è andato realizzando hanno perso un significato simbolico, che era prima quello di essere la manifestazione visibile nello spazio urbano dell’arrivo dell’acqua in città, altrimenti non percepibile all’esterno scorrendo in tubature interrate; vedi, per rimanere nel capoluogo pentro, quella baroccheggiante di piazza G. D’Uva oppure quella in stile contemporaneo di piazza della Stazione. Una precisazione doverosa per quanto riguarda le fontane è che ve ne sono alcune di quelle inaugurate insieme all’acquedotto ed è il caso di Trivento che fungono da fonte per l’attingimento dell’acqua e non sono, quindi, solo un elemento decorativo. Le fontane sono in tanti casi espressioni artistiche, però non di tipo figurativo, e in ciò hanno qualche affinità con quei Monumenti a forma di obelisco o colonna e con essi come pure con quelli con statue condividono pure il fatto di essere vistose. Non serve necessariamente una statua o altro di rilevante visibilità per evocare il ricordo di eventi bellici, quelli del ’15-’18, così tragici perché esso è impresso nella mente e nel cuore della maggioranza delle persone ancora oggi. Potrebbero bastare, non occorrono immagini retoriche, le targhette metalliche integrate nella catenella di protezione degli alberi del Viale della Rimembranza, rinnovata di recente a San Giuliano del Sannio, ma sicuramente sono più percepibili e quindi più capaci di colpire l’attenzione della popolazione le lapidi. Queste ultime sono una sorta di targhetta cumulativa (in pietra, riservando al bronzo solo i particolari) in quanto contiene i nomi di tutti i Caduti della Grande Guerra; i soldati sono, in altri termini, non più presi singolarmente, ma nel loro insieme. Tali iscrizioni hanno spesso una valenza monumentale o, perlomeno, di arredo urbano sia per la posizione che occupano, prendi quella di Montagano che costituisce il fondale del corso principale oppure quella di Pietracatella che sta in piazza, sia per la loro fattura non riducendosi a semplici lastre di pietra perché arricchite con modanature e con fregi bronzei. Le lapidi non sono mai state posizionate sui muri di stabili privati, bensì sulle pareti di edifici pubblici, dal Municipio (Mirabello S.) alla chiesa parrocchiale (Sepino) alla scuola (Vinchiaturo).

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